Che vuol dire essere conservatori

Articolo pubblicato su Lo Stato

conservatori

 EDMUND BURKE

FRIEDRICH GENTZ

HERMAN LUEBBE

BERTRAND DE JOUVENEL

HANS FREYER

KONRAD LORENZ

NIKOLAJ BERDJAEV

ERNS JÜNGER

RIVAROL

JOSE’ ORTEGA Y GASSET

GIUSEPPE PREZZOLINI

EDMUND BURKE Cambiare per conservare

Edmund BurkeLa mania dell’innovazione improvvisata rivela di solito temperamenti egoistici e angusti orizzonti mentali. Essa è caratteristica di gente che non si preoccupa di guardare innanzi verso la posterità né di volgere il pensiero ai propri predecessori…

Ogni contratto che si stipula dentro un singolo stato non è che la clausola di un grande contratto primordiale per cui la società, come valore eterno, vincola i gradi inferiori a quelli superiori, connette il mondo visibile con quello invisibile, conformandosi ad un ordine fissato che trova sanzione nel giuramento inviolabile onde sono insieme salvati i valori del mondo fisico e del mondo morale, ciascuno secondo il grado assegnatogli…

Non vorrei escludere che qualche cambiamento si dovrà fare, ma anche quando cambiasse, sarebbe per conservare. E dovrei essere indotto al cambiamento da una grande preoccupazione. In quanto facessi, seguirei l’esempio dei nostri antenati. Io farei le riparazioni quanto più possibile nello stile della costruzione… Uno stato che non abbia la possibilità di compiere alcun mutamento sarebbe anche privo di mezzi auto-conservativi…

FRIEDRICH GENTZ: Di solo progresso si muore

Friedrich_GenzDue principi costituiscono il mondo morale e intelliggibile. L’uno è quello del progresso continuo, l’altro quello della necessaria limitazione di questo progresso. Se regnasse solo questa, o acquistasse anche soltanto una dannosa prevalenza, tutto sarebbe pietrificato e corrotto. I periodi migliori nella storia del mondo sono sempre quelli in cui questi due principi opposti si trovano nel più vantaggioso equilibrio…

Ma in periodi violenti e tempestosi in cui l’equilibrio è turbato dal principio di conservazione, come in quelli oscuri e barbarici, in cui è rotto dal principio di progresso, anche il singolo individuo deve, mi sembra, prendere partito e diventare in certa misura fazioso, solo per opporre una specie di contrappeso al disordine che è intorno a lui… Io ho eletto il principio di conservazione a mia guida diretta, ma non dimentico mai che si possa e si debba anche muovere, oltre che frenare

HERMAN LUEBBE: Le regole del conservatore

Herman_Lubbe1) E’ conservatrice la cultura derivata dal dolore per i danni arrecati a un patrimonio insostituibile, che sono il prezzo del progresso. Questo dolore non implica un cieco rifiuto del progresso, anzi ne presuppone la visione sia nella sua necessità pratica che nella sua inarrestabilità, collabora ad esso e addirittura lo promuove.

2) E’ conservatrice la prassi della difesa di ciò a cui non si può rinunciare, contro le sue minacce attuali o prevedibili. Con questo si afferma insieme che la prassi così definita non è determinata dall’interesse a lasciare tutto com’è. Questo cambiamento conservatore dei rapporti può assumere addirittura dimensioni rivoluzionarie; in ogni caso costituisce l’origine storica dell’uso politico della metafora cosmologica rivoluzionaria nella concezione della Glorious Revolution.

E’ conservatrice l’esigenza della di validità di una regola distributiva dell’insieme degli argomenti, secondo la quale, sia nella scienza che nella politica il progresso e non la tradizione abbia bisogno di essere giustificato.

4) E’ conservatore il riconoscere alla prevenzione delle catastrofi la priorità di fronte alla prassi della realizzazione delle utopie. Verso i mali che vanno indicati per la loro eliminazione è politicamente più sicuro di quello verso l’immagine di una felicità sconosciuta

BERTRAND DE JOUVENEL: Il dux passa lui resta

bertrand de jouvenelL’autorità conservatrice ci appare come l’autorità sociale per eccellenza. Senza di essa tutto crollerebbe. Ma è anche evidente che essa potrebbe immobilizzare una società. E ciò non sarebbe affatto difficile, perché le iniziative non nascono dappertutto e i trascinatori non sono affatto numerosi. Conseguentemente, è sufficiente una certa vigilanza sui fattori di mutamento e la disponibilità di ben radicate credenze o di mezzi repressivi, per soffocare ogni principio di cambiamento. E inoltre, come esiste una emulazione di iniziativa, esiste anche una emulazione di inerzia: può quindi accadere che la sorgente delle iniziative e del proselitismo si estingua in un popolo.

Cause differenti possono condurre allo stesso effetto: tanto l’assenza di iniziative, quanto il disordine di iniziative periferiche che il potere centrale non è in grado né di soffocare né di ordinare, possono ugualmente portare al centro di un’autorità trascinatrice, capace di destare dal torpore (allora verrà quasi sempre dall’esterno), o una coordinatrice. Così il trascinatore, il dux vive la sua ora. Tuttavia, non sembra che le società umane non possano sopportare per lungo tempo un potere centrale perennemente «dux». E’ l’autorità conservatrice a presiedere la società, mentre le autorità trascinatrici si sviluppano nella società, pertanto, un’autorità trascinatrice può rimanere alla testa della società solo ad intermittenze.

HANS FREYER: Conservare cioè rivoluzionare

Hans FreyerCome la vecchiaia e la giovinezza, l’uomo e la donna non solo si completano l’un l’altro, ma si confermano e si elevano, così il progresso e la perseveranza sono i due movimenti respiratori continui della storia; essi si vivificano e si giustificano reciprocamente. A queste potenze ausiliarie e ai loro avvocati si applica questa frase, pronunciata nella seconda parte del Faust dall’ancella Pantalide: «La persona non preserva solo il nostro merito, ma anche la nostra fedeltà».

Non si tratta di estetismo, e neanche di un semplice giudizio morale, ma di una dichiarazione della struttura dell’avvenimento storico. In ciascuna delle sue fasi, è un tessuto fatto di tre tempi. Esso disloca le dimensioni del futuro e del passato nell’opposizione delle forze del progresso e della perseveranza e, nel loro conflitto, le riunisce di nuovo. Il suo cammino, di epoca in epoca, è una sintesi sempre messa in pericolo, il cui successo non è sempre assicurato

Perché questa sintesi riesca, è necessario che molti astri siano favorevoli. Talvolta basta che il gioco delle opposizioni si bilanci in un equilibrio armonioso. E’ necessario inoltre che nella maggior parte dei casi vi si aggiungano delle forze di una terza specie, le quali, con una mediazione attiva, alimentino la nuova situazione con sostanze umane che esse attingono nel tesoro dell’eredità, liberandole dalle antiche forme a cui erano legate. Riempire di vino vecchio gli otri nuovi è in gran parte il segreto della storia…

KONRAD LORENZ: Lo dice anche l’etologia

Konrad LorenzLa massima capacità di conservare ciò che in una determinata situazione ha dato dei buoni risultati è una qualità d’importanza vitale dell’apparato cui spetta, nell’evoluzione culturale, una funzione analoga a quella del genoma nell’evoluzione specifica. La capacità di conservare non soltanto è importante quanto quella dell’acquisto, ma lo è in misura molto maggiore; e bisogna tenere presente che, a meno di compiere speciali ricerche in questo senso, noi non possiamo sapere quali, tra gli usi e costumi tramandatici dalla nostra cultura, derivano da superstizioni sorpassate, di cui ormai si può fare a meno, e quali invece fanno parte del patrimonio culturale indispensabile.

Credo che faccia parte del patrimonio stabile di conoscenze dell’umanità soltanto ciò che è comprensibile per via razionale, o addirittura soltanto ciò che è scientificamente dimostrabile, è un errore che comporta conseguenze disastrose. Ed è anche l’errore che induce la gioventù «illuminata dalla scienza» a gettare a mare l’ingente tesoro di conoscenze e di saggezza contenuto nelle tradizioni di tutte le antiche culture e delle dottrine delle grandi religioni universali.

Chi considera tutto questo superfluo e privo di valore commette un altro errore ugualmente pernicioso, quello cioè di vivere nella convinzione che la scienza sia in grado di dar vita dal nulla, unicamente per via razionale, a una intera cultura con tutto ciò che essa comporta… Una cultura contiene in sé tanta sapienza «maturata» attraverso la selezione quanta ne potrebbe contenere una specie animale, che finora, come si sa, non siamo ancora in grado di «fabbricare!».

NIKOLAJ BERDJAEV: Il passato vi schiaccia

Nikolaj BerdjaevSi parla della comparsa di un uomo nuovo. Si cerca l’uomo nuovo. Nulla di originale, in questo: lo si è già fatto spesso… L’uomo può migliorare e peggiorare nei limiti del proprio tipo; ma non è questa la creazione di un uomo nuovo. Dobbiamo dire che le rivoluzioni politiche, anche le più radicali, modificano l’uomo relativamente.

Il potere del passato sull’uomo permane anche nelle rivoluzioni più radicali: nelle rivoluzioni, antichi istinti di violenza, di crudeltà e di dominio si scatenano. Essi si manifestano anche nelle reazioni turbinose contro il passato. Gli uomini della rivoluzione francese erano uomini dell’ancien régime. Lo stesso si deve dire della rivoluzione russa, nella quale operarono uomini che portavano nel sangue la schiavitù. Il terrore rappresenta nelle rivoluzioni ciò che in loro è vecchio, non ciò che è nuovo.

Nessuna rivoluzione può forgiare in un breve lasso di tempo un uomo completamente nuovo… le rivoluzioni – tutte le rivoluzioni – rivelano accanto all’eroismo di pochi l’estrema bassezza della natura umana della grande maggioranza. La rivoluzione è figlia del fato, non della libertà… I tratti più positivi dell’uomo russo rivelatosi nella rivoluzione e nella guerra – lo straordinario spirito di sacrificio, la capacità di sopportare le sofferenze, lo spirito di comunarietà – sono tratti cristiani impressi nel popolo russo dal cristianesimo, cioè dal passato.

ERNS JÜNGER: Siamo antiromantici

Ernst JüngerPerché nell’uso del termine «conservatore» si provano delle inibizioni così forti, e proprio in un’epoca che come nessun’altra avrebbe bisogno di forze mantenitrici e conservatrici? Si è giunti a ciò, prescindendo dai nudi interessi, per colpa degli influssi romantici che fin dall’inizio si sono mescolati a questa parola e che, dipendendo dal sentimento della perdita, hanno degli effetti negativi. Essi non possono reggere né a una luce critica, né alla lotta per il potere. Il vero conservatore è quindi colui che si abbandona meno di tutti al romanticismo o perfino alla passione, e neanche ha bisogno di essi…

Il termine «conservatore» non fa parte delle creazioni felici. Esso infatti nasconde un carattere riferito al tempo e lega la volontà alla restaurazione di forme e situazioni ormai insostenibili… I movimenti ruotano attorno a questi , e solo i mezzi e i nomi cambiamo. In questo senso non si può non approvare la definizione di Albrecht Erich Gunther, che non vede nell’elemento conservatore «un dipendere da ciò che era ieri, ma un vivere su ciò che è valido sempre». Però può essere sempre valido solo qualcosa di sottratto al tempo, che riuscirebbe anche a imporsi, e in modo disastroso, se non si fa attenzione a esso.

La volontà di conservare ciò che non deve essere conservato rende sterile la critica conservatrice, spesso legata alla bellezza e alla chiarezza spirituale. Si entra con essa in palazzi a metà diroccati, divenuti inabitabili: è questa l’emozione che oggi comunicano le opere di Chateaubriand, Donoso Cortès, e anche quelle di Burke, che ha esercitato un influsso così potente sul romanticismo tedesco. E’ sicuramente la stessa emozione nella quale Nietzsche formulò il paradosso per cui ciò che cade va anche abbattuto, e in pratica lo spianamento deve precedere la costruzione…

RIVAROL: Contro la rivoluzione

Antoine de RivarolLa sovranità è la potenza conservatrice. Perché vi sia sovranità, occorre che vi sia potenza. Ebbene la potenza, che è l’unione dell’organo con la forza, non può risiedere che nel governo. Il popolo ha solo delle forze, come si è detto, e queste forze, quando sono disgiunte dal loro organo, ben lungi dal conservare tendono solo a distruggere; ma lo scopo della sovranità è di conservare : dunque la sovranità non risiede nel popolo, ma risiede nel governo.

Di tutti i francesi fummo i primi a levare la penna contro la rivoluzione, anche prima della presa della Bastiglia… Non senza pericolo e tuttavia fiduciosi nella ricompensa che avremmo trovata nelle nostre stesse convinzioni e nella nostra coscienza, ci arrischiammo a combattere in un tempo in cui ancora tutti ancora scorgevano nella rivoluzione la grande opera benefica della filosofia, il suo alto risuonare, il portato dei lumi.

Invano levammo la parola e la penna per la religione, la morale e la politica nel nome dell’umanità e dell’esperienza dei secoli: La nostra voce si perse nella gigantesca catastrofe, e noi restammo ammutoliti.

Invece dei diritti dell’uomo sarebbe stato meglio enunciare i principi fondatori dello Stato. Si fosse dedicata a questo la Costituente che, comunque si sa, null’altro ha costituito che la nostra sventura! Tuttavia, su questo terreno, essa doveva temere la critica; perciò preferì armarsi delle passioni, in specie della vanità, mentre assumeva come tema dei propri lavori i diritti dell’uomo senza pensare che sotto questo titolo nessuna costituzione è possibile… Tutti i poteri, e anche il re, sono stati travolti perché hanno cercato di attenersi alla lettera della costituzione contro lo spirito della rivoluzione. La Costituzione, invece di dire «hoc et jus», diceva «jus esto», e con ciò essa violava parimenti la propria costituzione insieme con la monarchia.

JOSE’ ORTEGA Y GASSET: Il progressista è puerile

José Ortega y GassetLe epoche di decadenza sono le epoche in cui la minoranza-guida di un popolo – l’aristocrazia – ha perduto le sue qualità superiori, precisamente quelle che dettero occasiona alla sua ascesa . Contro quest’aristocrazia inefficace e corrotta la massa si ribella giustamente. Ma, confondendo le cose, generalizza le contestazioni che quella determinata aristocrazia ispira e, invece di sostituirla con un’altra più virtuosa, tende a eliminare ogni progetto aristocratico.

Si giunge a credere che è possibile l’esistenza sociale senza una superiore minoranza; si costruiscono teorie politiche e storiche che presentano come ideale una società senza aristocrazia. Poiché questo è praticamente impossibile, la nazione prosegue rapidamente la sua traiettoria di decadenza. Ogni giorno le cose stanno peggio. Le masse dei diversi gruppi sociali – un giorno la borghesia; un altro l’esercito; un altro il proletariato – cercano vane panacee di buon governo che nella loro semplicità mentale immaginavano possedere.

Invece di analizzare preventivamente quello che è, si procede subito a dare pareri su come debbono essere le cose. Questo è stato il difetto caratteristico dei «progressisti», dei «radicali» e, più o meno, di tutto quello spirito chiamato «liberale» o «democratico». Si tratta di un’attitudine mentale oltremodo comoda. Ma questa sostituzione del reale con quello che è astrattamente desiderabile è un sintomo di puerilità.

GIUSEPPE PREZZOLINI: Insomma, un realista

Giuseppe PrezzoliniUn conservatore è un realista; ed è opposto a tutti coloro che sognano soluzioni politiche, o sociali, o economiche che non sono state mai nella realtà. Il passato appartiene alla storia.

Un conservatore non può essere un ottimista. Non crede, per esempio, che mai gli uomini abbiano pagato le tasse, o che mai le pagheranno nel futuro volentieri; anzi crede che la maggior parte farà di tutto per evitare di pagarne una porzione, o la totalità, potendo; e che quindi uno dei compiti principali dello Stato sia quello di farle pagare esattamente, dai ricchi come dai poveri, sapendo anche che i ricchi hanno maggior incentivo e maggiori mezzi per non pagarle.

Un conservatore non crede che gli uomini abbiano mai combattuto volentieri per il proprio Paese, salvo che in momento di disperazione o di entusiasmo, ed ancora sempre con dissensi e con riserve, e che quindi la disciplina che forma gli eserciti è necessario sia forte.

Un conservatore non crede che gli uomini lavorino volentieri per le prossime generazioni, oppure per altri popoli, e neanche per il vicino, che lavora alla stracca o non lavora; e quindi crede che per fare lavorare gli uomini siano necessari la proprietà individuale, il profitto (che premiale iniziative e gli sforzi e le pene), l’incentivo e la soprappaga per chi lavora di più o meglio, l’ispezione di chi lavora tanto nelle fabbriche come negli uffici, la cacciata dalla fabbrica e dagli uffici di chi non lavora o lavora male. In breve, un conservatore non crede che gli uomini siano o stiano per diventare degli angeli, anche se indottrinati da dottrine che pretendono di farli diventare tali.

Un conservatore sa che per ottenere questo è necessario uno Stato forte, uno Stato sovrano, uno Stato indipendente sia da imposizioni straniere come da interessi personali di coscienza degli individui ma non quelli della Nazione.

I CONSERVATORI

Gli antesignani: Edmund Burke; Rivarol; Friedrich Gentz; Renè Chateaubriand; Vincenzo Cuoco; Thomas Buechkardt.

I “padri nobili”: Nicolaj Berdjaev;  Charles Maurras; Gustave Le Bon; Vilfredo Pareto; Gaetano Mosca; Roberto Michels.

Cattolici conservatori: Georges Bernanos; Gustave Thibon; Eric Voegelin;  Thomas Molnar;  Russel Kirk;  Augusto del Noce;  Plino Correra De Oliveira; Marcel De Corte; Etienne Gilson; Regine Pernoud; Michele Federico Sciacca; Cornelio Fabro; Romano Guardini; Gabriel Marcel.

Letterati conservatori: Thomas Mann; Hugo von Hofmansthal; Karl Kraus; Stefan Zweig; Ferdinando Pessoa; Thomas Stearns Eliot; Vintila Horia; Giuseppe Tomasi di Lampedusa; Giovanni Guareschi; Alexander Solzenicyn.

Rivoluzionari conservatori: Carl Schmitt; Ernst e Friederich George Junger; Martin Heidegger; Oswald Spengler; Hans Freyer;  Moeller Van den Bruck; Werner Sombart; Armin Mohler; Herman Rauschning.

Conservatori “inquieti”: René Remond; Arnold Gehlen; Konrad Lorenz; Bertrand de Jouvenel; Giuseppe Prezzolini; Panfilo Gentile; Ernst Topisch; Paul Johns