Allarme rosso: il nuovo papa è cattolico!

La Verità Domenica 11 Maggio 2025

Allarme rosso: il nuovo papa è cattolico!

Stampa e sinistra di fronte ad un imprevisto: «questo ci crede!»

È partita la gara a imbrigliare il pastore yankee che parla di fede e non dei temi cari al Pd: lo camuffano da leader progressista

di Maurizio Belpietro

Oddio, c’è un cattolico in Vaticano. Leggendo gli editoriali apparsi ieri sui giornali, dopo la prima omelia di papa Leone XIV, si percepiva lo sconcerto dei commentatori, che di fronte a un pontefice che parla di Gesù Cristo e non di ambiente, di migranti o di coppie gay, scoprono all’improvviso che il Santo Padre è il capo della Chiesa e non della Cgil o del Pd.

Le prime reazioni di fronte alla figura di Sua Santità si possono classificare in due modi: c’è chi prova ad accaparrarsi il missionario in Perù, utilizzando i suoi messaggi sui social per trasformarlo in un acceso avversario di Donald Trump, iscrivendolo d’ufficio al partito progressista. E chi invece manifesta stupore e orrore di fronte a un Papa che invece di Luca Casarini sembra intenzionato ad abbracciare la teologia, per riflettere sui grandi temi della fede.

I fronti sono entrambi ben rappresentati sulla stampa nazionale. Tra i più frastornati e critici, ieri c’era Vito Mancuso, teologo che in ricordo del periodo in cui vestiva la tonaca da prete è sempre pronto a fare la predica dal pulpito dei giornali del gruppo Gedi. Già il titolo del suo intervento sulla Stampa dice tutto, perché parla dei passaggi stonati del Papa. A suonare male alle orecchie di Mancuso è stato il fatto che il pontefice abbia parlato della natura divina di Gesù, dicendo che chi lo considera una specie di superuomo rischia di essere un «ateo di fatto».

Per lo scrittore si può benissimo essere cattolici senza credere che Cristo sia il figlio di Dio fatto uomo. Lo si può pensare «un grande uomo, un santo, un profeta, magari il più grande dei profeti, senza per nulla abbracciare né praticamente né teoricamente la visione atea della vita». Ma certo. Ci si può definire cattolici senza credere in Dio, nella vita eterna, e negando pure la discesa sulla terra di Gesù, la sua resurrezione, i suoi miracoli, i suoi insegnamenti. Ci si può iscrivere al cattolicesimo cosi come ci si iscrive a un’associazione di volontari. Anzi, come ci si arruola in una Ong.

«Negare la natura divina di Gesù non è ateismo», scrive Mancuso, «meno che mai è diminuirla rispetto alla pienezza della natura divina del Padre. Semmai è una forma di fede diversa dal cristianesimo ortodosso». Ma è ovvio. Quello che piace al teologo di pronto intervento della stampa di sinistra è un cristianesimo à la carte, dove ognuno ordina ciò che vuole e si fa un menu su misura, senza principi, senza fede. Per questo il discorso di papa Leone XIV suona stonato.

Il pontefice vuole tornare agli elementi cardine del cattolicesimo. Infatti, Mancuso si dice negativamente impressionato da un’altra affermazione, quella in cui Prevost collega «la mancanza di fede a effetti negativi, quali l’assenza del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona, la crisi della famiglia». Parole poco felici, le definisce Mancuso. Con l’intenzione, anche qui, di trasformare l’impegno politico di Casarini e compagni in qualche cosa che ha a che fare con la fede. «Lo dico pensando a tante persone che non hanno, o non han-no più, la fede in Dio […] ma non dimenticano la misericordia, anzi al contrario talora contribuiscono non meno dei credenti ad aiutare i bisognosi. Tanto per fare un nome, penso a Gino Strada, il quale non ha avuto bisogno della fede in Dio per fare del bene».

Eh, già: che cos’è quest’orpello della fede in Cristo? Leviamolo. Siamo tutti fratelli, tutti compagni. E per essere nominati santi è sufficiente dichiarare di voler aiutare il prossimo. Anche se non si crede in Dio, nei sacramenti, nella santa messa, nella confessione e pure nella resurrezione, basta aiutare i migranti e si conquista direttamente il regno di Dio pure se non ci si crede. In pratica, tra Chiesa e Pd non c’è differenza. Pure Elly Schlein può essere eletta pontefice se riesce a raggiungere la maggioranza in conclave.

Non meno sorprendente è la posizione di chi, di fronte a un Papa che parla di fede e di Cristo, cerca di usare le parole del pontefice per trasformarlo in un leader progressista. Sono gli stessi che prima applaudivano Bergoglio e che per giorni hanno auspicato la nomina di un clone del pontefice scomparso, tipo Matteo Zuppi.

Antonio Spadaro, gesuita ed ex direttore di Civiltà Cattolica, su Repubblica si è esibito non in una critica nei confronti di Leone XIV, ma in un tentativo di appropriazione indebita. Secondo lui, la prima omelia è stata una dichiarazione di guerra al potere. «Leone è ruggente nel criticare la città dell’uomo moderno -le grandi capitali mondane?- che non conosce la dignità». Per Spadaro, che è stato trombettiere di Bergoglio, c’è una singolare sintonia fra il Santo Padre scomparso e quello appena nominato. «Non dobbiamo nasconderci dietro un’idea di autorità che al giorno d’oggi non ha più senso». E allo stesso tempo, Spadaro dice che ci siamo preoccupati più di insegnare la dottrina, dimenticando la testimonianza. Quasi che le parole di Leone XIV con un richiamo alla fede e un annuncio che anche il pastore di Dio debba fare un passo indietro e sparire per lasciare spazio al messaggio di Cristo, siano un ritorno al passato, quando il Papa non parlava in diretta tv da Fabio Fazio o dal palco del Festival di Sanremo, ma interveniva nelle sedi opportune, senza confondere la semplicità con il semplicismo.

Si, la dottrina è una brutta bestia. Così come l’invito a parlare con le parole di Cristo e non con quelle degli Spadaro o dei Mancuso. Se si restituisce spazio al messaggio di Gesù, come sembra volere papa Leone, è evidente che lo si toglie ai tanti che negli ultimi anni si sono fatti interpreti interessati del pensiero di Dio, distorcendolo o interpretandolo. Gli stessi che, con i loro interventi, ci fanno capire che c’è un cattolico in Vaticano e loro non hanno niente da mettersi. E soprattutto, niente di decisivo da dire.