Dalla differenza alla in-differenza di genere (2)

genderBrescia 13 Aprile 2013

GLI EQUIVOCI DEL GENDER

Gli interventi dei relatori al convegno che si è svolto a Brescia il 13 Aprile presso il Centro pastorale “Paolo VI”, organizzato dall’ Ufficio per la famiglia e Ufficio per la salute della Diocesi di Brescia e la collaborazione di: AGAPO, Alleanza Cattolica, AMCI Brescia, Ass. Gruppo LOT, Ass. Obiettivo Chaire, CIC-RNF, FederVita Lombardia,MEC , Scienza & Vita Brescia , UGCI Brescia, e il sostegno di: Forum Associazioni Familiari Lombardia, Ass. Nuove Onde, Scienza & Vita Milano, Il Timone – Milano. La giornata era destinata ad operatori di pastorale, educatori della comunità ecclesiale e membri delle organizzazioni promotrici coinvolte. Sono intervenuti: Dale O’Leary, Laura Palazzoni, Walt Heyer.

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GENDER: PREMESSE FILOSOFICHE E RICADUTE NEL DIRITTO IN ITALIA E IN EUROPA (1)

di Laura Palazzoni 

Laura Palazzoni è professore ordinario di filosofia del diritto e bioeticista, attualmente insegna presso il Dipartimento di Giurisprudenza della LUMSA,  Università nella quale dirige da anni il Centro Studi Biogiuridici e il Master di Bioetica e diritti umani. È membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, organo di consulenza del governo italiano, e dal 2007 ricopre il ruolo di vicepresidente. Dal 2010 è una componente dell’European Group of Ethics in Science and New Technologies (EGE), organo di consulenza del Presidente della Commissione Europea. Tra i suoi numerosi volumi ricordiamo: Il concetto di persona tra bioetica e diritto, Giappichelli, 1996; Identità di genere? Dalla differenza alla indifferenza sessuale, San Paolo, 2008; Sex/gender: gli equivoci dell’uguaglianza, Giappichelli, 2011.

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Grazie innanzitutto di questo invito che mi consente di tornare nella mia città.

Vorrei, seguendo l’impostazione delineata in modo molto efficace da Dale O’Leary, riportare anche un po’ il discorso sulla nostra lingua italiana.

Nel titolo del convegno (Dalla differenza alla in-differenza sessuale – gli equivoci del gender) è stato infatti mantenuto il termine inglese gender, scelta con la quale concordo pienamente e non per un omaggio alla lingua inglese, bensì perché esso non è ben traducibile in italiano. Lo tradurremmo con la parola genere. Ma se voi andate a cercare genere su un vocabolario della lingua italiana, trovate due significati:

1. si usa per indicare in grammatica il genere maschile e il genere femminile; nella lingua italiana non abbiamo il genere neutro, come invece hanno altre lingue.

2. si utilizza anche come categoria concettuale per raggruppare individui che hanno caratteristiche simili; per esempio usiamo la parola genere per indicare il genere umano.

Voi capite che qui c’è una differenza: usiamo genere per indicare, in fondo, la differenza tra maschile e femminile, però lo usiamo anche per indicare il genere umano, che include la differenza uomini-donne.

Vi sarà capitato anche di sentire nel linguaggio contemporaneo economia di genere, medicina di genere, farmacologia di genere. Sta qui cominciando ad entrare nel linguaggio addirittura un terzo significato, per indicare invece un’altra cosa: il genere femminile. Quando si parla di medicina di genere si parla di medicina delle donne.

Non riusciamo davvero a capire: con genere indichiamo la differenza tra maschio e femmina, indichiamo l’umanità o le donne? Non è chiaro.

Nel linguaggio anglosassone la parola gender ha un ulteriore significato, molto bene illustrato da Dale O’Leary, in cui è sempre contrapposto alla parola sex. Sex indica la condizione biologica dell’essere maschio o femmina e gender indica invece la condizione meta-biologica, non-biologica, cioè l’identità psicologica, come noi ci sentiamo, oppure il ruolo che acquisiamo all’interno della società. Simone de Beauvoir viene sempre citata quando si parla delle teorie gender, anche se non era una teorica gender.

Nel suo famoso libro Il secondo sesso de Beauvoir scrive: “Donna non si nasce, ma si diviene”. Questa distinzione tra essere e divenire porta alla distinzione tra cultura e natura, e tra sex e gender. “Donna non si nasce, ma si diviene” viene interpretato dalle teorie gender nel seguente modo: noi nasciamo donne o uomini, ma non è questo l’importante; l’importante è ciò che diveniamo, non ciò che siamo. È proprio il passaggio dall’essere al divenire che è il filo conduttore di tutte le teorie gender. Facciamo un piccolo rapidissimo percorso su queste teorie.

Quello che noi vediamo oggi nelle teorie sex/gender è un progressivo allontanamento della categoria gender (come ci sentiamo, il ruolo sociale che abbiamo) da sex (la nostra sessualità biologica, come nasciamo). Dal punto di vista teorico si può dire che ci allontaniamo dalla teoria del determinismo biologico, cioè dall’idea che noi nasciamo maschi o femmine e che questa sessualità biologica ci fa diventare maschi o femmine (se noi nasciamo maschi diventiamo uomini, se noi nasciamo femmine diventiamo donne).

L’idea del determinismo biologico afferma che c’è un rapporto automatico tra sex e gender, e che esso è immodificabile. In realtà questa teoria non è sostenibile, perché il transessualismo ci dà un’idea di chi nasce con un certo sesso biologico, ma si sente psicologicamente di un’identità diversa; oppure pensiamo ai casi di bambini che nascono con ambiguità sessuali, in cui la sessualità genetica, gonadica e ormonale non coincidono.

Vi ricorderete il caso di quell’atleta che vinse le Olimpiadi nelle gare femminili, poi si scoprì che aveva un’identità genetica maschile, e quindi le venne tolta la medaglia. Esistono queste ambiguità, i disordini della differenziazione sessuale.

Le teorie gender, a partire da questi casi nella realtà (il transessualismo, le ambiguità sessuali) dicono che sex e gender sono categorie separabili. Il primo a sostenerlo è stato John Money, come è stato illustrato molto bene nell’intervento precedente, che ha sostenuto che noi possiamo nascere maschi o femmine, ma questo non è così importante; l’importante è come siamo educati.

Sembra una cosa abbastanza strana, perché in effetti i genitori non scelgono l’identità sessuale in base alla quale educare i bambini, ma partono dalla biologia: se sono maschi li educano come maschi, se sono femmine li educano come femmine. Invece Money sostiene una cosa diversa, un po’ analoga a quanto accade per il linguaggio: noi tutti abbiamo una predisposizione a parlare (mentre gli animali non lo fanno), ma poi la lingua che parliamo dipende dal contesto in cui nasciamo: se nasciamo in Italia parliamo l’italiano.

Money sostiene che la stessa cosa vale per il sesso: non importa se si nasce maschi o femmine, l’importante è l’educazione dei genitori. È una tesi che certamente allontana il gender dal sex. La sua tesi era quella della malleabilità del gender.

Il secondo percorso che ha allontanato il gender dal sex è quello del costruzionismo sociale e del femminismo, i quali affermano che, in fondo, sex e gender sono legati nella società: noi colleghiamo la sessualità femminile ad un certo ruolo sociale, quello riproduttivo e domestico, la maternità, e quella maschile al ruolo economico, politico, pubblico. Le femministe, che mirano ad analizzare la condizione di inferiorità della donna e a tentare di ristabilire un’equiparazione rispetto all’uomo, dicono: “Allora dobbiamo modificare questa associazione per far sì che le donne siano sullo stesso piano degli uomini e possano partecipare anche al piano pubblico, economico e politico”.

Nella sua relazione Dale O’Leary diceva che questo avviene soprattutto garantendo il diritto alla contraccezione e all’aborto, quindi negando la maternità e, con le nuove tecnologie, anche garantendo i diritti riproduttivi positivi (una donna può affittare l’utero di un’altra donna per portare avanti la maternità, oppure si pensa all’ipotesi di un utero artificiale in cui la donna sia totalmente liberata dal proprio corpo, e quindi non abbia solo un ruolo domestico, ma anche un ruolo sociale). Anche queste sono teorie che hanno contribuito all’idea che i gender, i ruoli sociali, siano variabili e dissociati, separati dal sex.

Dopo Money e il femminismo, c’è un terzo gradino importante che ha portato veramente alla radicalizzazione delle teorie gender ed è la teoria di una autrice americana, Judith Butler, che ha scritto un libro, Undoing gender (La disfatta del gender). Butler sostiene la teoria più radicale che si possa immaginare di separazione sex e gender: la natura è irrilevante, come dicono oggi le teorie post-moderne è liquida, fluida, modificabile, e ciò che conta è la volontà, il desiderio, l’istinto.

Sulla base di questa idea l’autrice americana afferma che è vero che noi nasciamo maschi o femmine, che siamo educati come uomini o come donne, che entriamo nella società con un certo ruolo sociale di uomini e di donne. Tuttavia questo non c’entra niente con la natura, è una sorta di normalizzazione che è influenzata dalla società. Bisogna allora disfare (da qui il titolo Undoing gender) la natura e la società, e noi dobbiamo liberare completamente la nostra volontà. Parafrasando la frase di Cartesio “Cogito ergo sum”, Butler è come dicesse: “Voglio, dunque sono”.

È il gender che determina il sex. Siamo arrivati quindi a un capovolgimento radicale: il sesso biologico non conta nulla, conta la volontà, quello che noi vogliamo essere. Questa tesi sostiene fondamentalmente due punti principali:

1. Il polimorfismo sessuale, cioè l’idea che i sessi non sono due, maschio o femmina, ma sono molti. Io ricordo quando è uscito un articolo di Anne-Fausto Stirling che diceva “Why male and female are not enough” (Perché la sessualità maschile e femminile non sono sufficienti). Questo autore sosteneva che i sessi erano almeno cinque. L’idea era che maschio o femmina va riformulato con l’affermazione del maschio e femmina. Vi chiederete che differenza c’è; è stata cambiata solo una congiunzione, sostituendo la disgiunzione o con la congiunzione e. Beh, in realtà si ribalta tutto nella teoria sex/gender, perché significa dire che non nasciamo maschi o femmine, non c’è un’alternativa dal punto di vista della natura, ma possiamo anche essere maschi e femmine, cioè essere in una dimensione di confusione, di oscillazione, di transizione tra una sessualità e l’altra.

2. Strettamente legata è l’idea del pansessualismo, cioè l’idea dell’orientamento sessuale che è indifferente. Così come è indifferente la nostra identità sessuale, perché è semplicemente l’effetto di quello che vogliamo, è altrettanto indifferente anche il nostro rapporto con gli altri; possiamo essere in una relazione sessuale con chi ha un sesso diverso o anche chi ha il nostro stesso sesso. Il pansessualismo dice che l’omosessualità, l’eterosessualità, ma anche la bisessualità, sono indifferenti, non fanno nessuna differenza.

Queste teorie sono state elaborate dalla filosofia. Qualcuno può pensare che siano solo teorie; che Money, il femminismo radicale, Butler, siano dei teorici, abbiano scritto delle cose che ci sembrano un po’ anche strane per il senso comune, e di cui poco ci importa.

Ebbene, non lo possiamo dire, perché queste teorie hanno avuto e stanno avendo un enorme influsso nell’ambito giuridico.

Faccio qualche esempio. Nelle conferenze ONU del Cairo e di Pechino la parola sesso ha cominciato ad essere sostituita dalla parola gender. Rileggendo i documenti, la Santa Sede, ma anche i rappresentanti di altri Paesi, hanno chiesto perché fosse stato cambiato il termine; ci si rendeva conto che c’era qualcosa di strano e si voleva capire il perché.

Fino ad arrivare, a livello internazionale alla cosiddetta Dichiarazione dei principi di Yogyakarta, del 2007, in cui si dice che gender identity e sexual orientation sono due espressioni che devono rientrare all’interno dei diritti dell’uomo. Noi siamo abituati a parlare di diritti dell’uomo pensando alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo; ebbene, all’interno di questa dichiarazione oggi bisognerebbe inserire anche la gender identity e sexual orientation.

E cosa significa? Che ognuno può scegliere l’identità sessuale che vuole (l’idea di Butler) e che ognuno può scegliere l’orientamento sessuale che vuole. E quale che sia la scelta è indifferente: non c’è una scelta migliore e una peggiore. Tutto si equivale.

Si potrebbe pensare: “Questa è una dichiarazione internazionale, che rilievo ha?” In realtà ha un grosso rilievo: anche in Europa ci sono molti documenti che cominciano ad incorporare questo principio di equivalenza e di indifferenza dal punto di vista dell’identità gender/orientamento sessuale. Ne cito solo alcuni.

Il Trattato di Amsterdam (1999) è un testo in cui accanto alla sequenza a cui noi siamo abituati (i diritti dell’uomo vanno riconosciuti a prescindere dall’età, dall’appartenenza politica, dall’appartenenza a uno Stato o a un altro Stato, dal credo religioso…) si aggiunge “a prescindere dalla gender identity e sexual orientation”, ecco che troviamo queste due espressioni.

Vi faccio un altro esempio: la Carta di Nizza (2000) è la carta dei diritti fondamentali su cui si fonda l’Unione Europea. Nella carta dei diritti fondamentali ci sono due articoli che ci interessano: uno dice che gli individui hanno gli stessi diritti a prescindere dall’orientamento sessuale (si usa l’espressione sexual orientation che in italiano è stato tradotto con tendenza sessuale).

Un altro articolo dice che gli individui hanno “diritto a sposarsi” – punto. Non dice che gli individui hanno diritto a sposarsi e costituire una famiglia tra un uomo e una donna. L’interpretazione più ingenua potrebbe ritenere che ci si sia dimenticati di scrivere “tra un uomo e una donna”; ma non è questione di dimenticanza, c’è dietro l’ideologia gender: non bisogna scrivere “tra uomo e donna” perché la differenza sessuale non è rilevante per la costituzione della famiglia.

Potrei fare tanti altri esempi: risoluzioni del Parlamento Europeo, raccomandazioni del Consiglio d’Europa, che comunque citano ancora la sexual identity/sexual orientation. Ma anche le legislazioni dei diversi Stati europei stanno cominciando ad inserire questi riferimenti. Per esempio in Inghilterra, con il “Gender Recognition Act” (2004).

Questa legge dice che chi vuole modificare la propria sessualità non è obbligato a cambiare il proprio corpo. In Italia abbiamo una legge sul transessualismo: chi vuole modificare la propria identità sessuale, da maschio vuole diventare femmina o viceversa, deve avere la certificazione medica di un disagio dal punto di vista psicologico e poi acquisisce un’identità che è maschile o femminile, la può modificare, ma deve anche modificare il proprio corpo per potere modificare la propria identità sessuale. La Gender Recognition Act dice che non è necessario modificare chirurgicamente il corpo

In Spagna nel 2007 la legge intitolata “Legge sulla rettificazione sessuale nei registri civili” dice che nei documenti civili, come la carta d’identità e la patente, si possono modificare il nome e il sesso a prescindere dalla modificazione del corpo. In Australia un individuo ha detto: “Io voglio un passaporto in cui io non sia obbligato a scrivere maschio o femmina; voglio anche un’altra categoria, la X, quella del transgender, cioè non voglio essere né maschio, né femmina, oppure voglio essere maschio e femmina”. E’ un processo che sta avviandosi in Europa.

Persino in Germania si sta discutendo sulla possibilità di registrare all’anagrafe oltre a maschi e femmine anche la sigla IS (che indica intersex). L’intersessualità è una categoria che sta incominciando a essere usata anche in Europa, importata dagli Stati Uniti, dove è stata fondata una North American Society of Intersex. Con intersex si indicano quei casi di bambini che possono avere delle ambiguità sessuali, anziché utilizzare l’espressione più usata in letteratura medica “disturbi della differenziazione sessuale”.

La parola disturbo, non è la parola malattia, ma fa capire che si tratta di un’anomalia nel processo di differenziazione sessuale. Invece la Germania, l’America preferiscono usare la categoria dell’intersessualità. Che differenza c’è tra le due espressioni disturbo della differenziazione sessuale e intersessualità? Intersessualità sembra rilevare che c’è una ambiguità, ma che questa ambiguità sia accettabile. C’è un progetto di legge in Germania che dice che noi dovremmo immaginare che nella registrazione anagrafica ci dovrebbero essere tre caselle: M –F –IS, come se fosse una terza condizione, lasciando la possibilità del transgender.

Ora, si potrebbe pensare che questa sia la dimensione internazionale ed europea, ma in Italia non abbiamo mai sentito entrare queste espressioni e usare questa terminologia. In realtà non è così: la Corte Costituzionale, per esempio, si è pronunciata più volte sulle varie richieste di una possibilità di riconoscimento dei matrimoni omosessuali. Questo è certamente un modo in cui sta entrando questa teorizzazione.

Ma ce n’è un altro: c’è stato un inizio di legislazione su una legge, scritta in una commissione al Parlamento dall’onorevole Concia, che prevede un’aggravante dal punto di vista penale, quindi una sanzione più gravosa dal punto di vista penale, per atti di omofobia e transfobia. Omofobia vuol dire “odio nei confronti degli omosessuali”, transfobia “odio nei confronti dei transessuali”. Chi manifesta questo atteggiamento di odio deve essere punito in modo più gravoso. Nel disegno unificato che si è discusso inizialmente in Parlamento c’era anche l’espressione identità di genere e orientamento sessuale.

Capite a questo punto che dietro queste espressioni ci sono delle teorie, non sono espressioni neutre, sono espressioni che veicolano delle teorie. E in effetti, anche in questo progetto di legge c’era la ferma pressione ad introdurre anche nelle nostre leggi espressioni che il nostro ordinamento giuridico non ha mai conosciuto. Ho partecipato a due audizioni in Parlamento per discutere di questo progetto e sono riuscita ad ottenere una piccola cosa, ma credo che sia un passo avanti importante, e cioè di togliere queste due espressioni dal progetto di legge perché sono espressioni ambigue, e perché sono espressioni che non hanno significato nel nostro ordinamento giuridico.

Come vedete, c’è una sorta di passaggio dalla filosofia al diritto, dalle teorizzazioni filosofiche al diritto positivo, alle legislazioni, alle dichiarazioni, ai documenti internazionali. Non possiamo solo enunciare queste teorie; è anche necessario fare uno sforzo di riflessione critica su di esse. Non basta dire: “Sono strane, vanno fuori dal senso comune, non le accetto, le rifiuto”. Non è sufficiente Spesso quando ci troviamo di fronte a teorie che si impongono, anche attraverso i mass media, in modo forte, bisogna anche elaborare un pensiero che sia solido, che sia razionalmente argomentato per contrapporsi ad esse. Io vorrei indicarvi alcune riflessioni tra le tante che si potrebbero fare.

1. No alla malleabilità del gender. La teoria che è stata portata avanti da Money e dalle femministe, afferma che il gender, l’identità gender è malleabile, è plastica. Non è così. La realtà ci deve guidare in questa risposta. Sappiamo che il processo di differenziazione sessuale avviene secondo un ordine un τέλος. C’è una certa composizione genetica che determina uno sviluppo ormonale, che determina lo sviluppo delle gonadi, che determina i caratteri morfologici sessuali. C’è un ordine. Ecco perché si parla di disturbi della differenziazione sessuale. Io combatterei per tenere questa espressione perché sono anomalie di un processo normale di sviluppo, che ha una sua consequenzialità, un suo progetto coordinato.

È interessante che tanti casi clinici diffusi dai mass media sono stati casi drammatici dal punto di vista esistenziale, il che significa che le indicazioni che provengono dalla biologia, meglio dalla natura, sono necessarie. Un paio di anni fa al Comitato nazionale di Bioetica abbiamo scritto un documento su questo tema, sui disturbi della differenziazione sessuale in cui si diceva che se nasce un bambino che ha ambiguità sessuali non possiamo limitarci a prenderne atto, dicendo che c’è una nuova condizione oltre a quella di maschi e femmine e che è l’intersessualità.

Sappiamo bene che questa non potrebbe che essere una condizione di grandissimo disagio sul piano psicologico e sociale. Dobbiamo diagnosticare questa ambiguità e intervenire sul piano terapeutico, bilanciando gli interventi. Non possiamo pensare che non sia una patologia. È una patologia che va trattata, con i modi appropriati, proporzionati, come vengono trattate tutte le patologie.

Allora, non è vero che il gender è malleabile, noi abbiamo delle indicazioni che provengono dalla biologia. Non è che il medico di fronte a un bambino che ha una ambiguità sessuale fa quello che è più semplice dal punto di vista tecnico, pratico, e poi i genitori lo educano in modo conseguente.

Non è così. Pensiamo al famoso caso John/Joan di Money, del gemello nato maschio e trasformato in femmina, che poi è voluto tornare maschio e poi si è suicidato. Il che ci fa pensare che certamente viveva un profondo disagio. Non possiamo modificare a nostro piacimento la natura, dobbiamo trarre delle indicazioni dalla natura.

C’è anche la provocazione del transgender, che è quella che abbiamo avuto anche con Vladimir Luxuria, che esibiva la sua volontà di non intervenire sul proprio corpo e di vivere l’oscillazione tra una sessualità maschile e femminile. Ma Il transgender è una provocazione. Tra l’altro, se ci pensate bene, è colui che va oltre la differenza maschio-femmina, e dunque presuppone quello che vuole superare: vuole superare la differenza, perché la differenza c’è. Quindi è una forte provocazione, è una trasgressione che non riconosce quello che è la natura, che è rilevante.

2. Altro concetto importante è la stretta connessione tra sex e gender e l’importanza dell’identità sessuale per la costituzione della nostra identità. Butler parla perfino del corpo come di un attaccapanni, sul quale noi possiamo appendere qualsiasi vestito. Non è così. Il corpo non è biologicamente amorfo, bensì veicola un’identità che è costitutiva. Provate a pensare a un soggetto neutro: non è facile, perché la neutralità è qualcosa che dobbiamo costruire. La differenza sessuale è addirittura la categoria del nostro pensare, oltre che del nostro vivere, e questo è qualcosa che non possiamo non riconoscere.

3. La rilevanza della differenza sessuale come costitutiva non solo della nostra identità, ma della società, è osservabile attorno a noi. Sappiamo bene che solo dall’unione di un sesso maschile e di un sesso femminile è possibile la procreazione e quindi questa è la condizione di possibilità della nostra stessa società. Molti obiettano sostenendo che con le nuove tecnologie riproduttive il problema è superato. Non è vero: le tecnologie riproduttive, che chiamano riproduzione assistita, usano sempre un gamete maschile e uno femminile. La differenza sessuale è rilevante per la costituzione della nostra società.

Potremmo solo immaginare in ipotesi gli scenari futuri della clonazione. Con la clonazione potremmo prelevare, da un solo individuo, una cellula, prenderne il DNA, trasferirlo in una ovocellula e costituire un clone. Quindi avremmo un solo individuo, non due; i due sessi non sarebbero più rilevanti per la riproduzione. Ma la clonazione è una delle tecnologie contro la quale si è levato il più ampio dissenso, anche a livello internazionale.

Quando è stata clonata la pecora Dolly, prima ancora che questa tecnica fosse applicata sull’uomo, si è detto che era necessario impedire l’applicazione di questa tecnologia sull’uomo perché è estremamente pericolosa. Essa metterebbe sicuramente in discussione il legame triadico del figlio con due genitori di sesso diverso. Inoltre, la differenza sessuale non solo è condizione necessaria per la società, essa è anche la condizione necessaria della nostra identità.

Noi siamo noi stessi perché ci confrontiamo con chi è diverso da noi. L’identità si costituisce sulla differenza, l’in-differenza impedisce, ostacola il nostro processo di identificazione. E’ un punto molto importante da enunciare contro le teorie gender, che veicolano come bandiera il concetto di neutralità, in-differenza e superamento della differenza sessuale.

Il passaggio dalla filosofia al diritto nell’ambito delle teorie gender è un passaggio che parte da una filosofia di tipo relativistico: le teorie gender, dicendo che tutto è equivalente, che tutto è indifferente, sono teorie relativistiche; esse dicono che tutto è relativo all’individuo e alla sua volontà, alla sua pulsione, al suo desiderio. Ebbene, queste teorie relativistiche hanno una forte ricaduta nel diritto, perché portano a pensare che il diritto è solo la legittimazione della nostra volontà: quello che io voglio il diritto me lo deve garantire.

Non solo: esse portano avanti l’idea che l’uguaglianza sia l’equivalenza e cioè trattare tutti nello stesso modo. Se io tratto qualcuno in modo diverso, io compio una discriminazione. In realtà non è così.

Richiamo solo il concetto di Aristotele, secondo il quale la giustizia consiste nel trattare in modo eguale gli eguali, e trattare in modo diseguale i diseguali. Non è detto che io debba trattare tutti nello stesso modo; non siamo una società di omologazione. Devo avere delle ragioni precise, ma questo può giustificare una differenza di trattamento. In questo senso penso sia importante recuperare una filosofia con delle radici, non voglio dire metafisiche perché oggi la metafisica è in crisi, ma delle radici antirelativistiche, una filosofia che sappia giustificare un diritto che sia in funzione dell’identità e non sia solo la legittimazione della volontà, ma sia funzionale all’identità e alla difesa della differenza sessuale.

Solo in questo modo possiamo difendere l’idea della famiglia fondata sul matrimonio, che è anche il principio della nostra Costituzione, oltre che di altri importanti documenti internazionali, contro l’ideologia gender che porta all’idea delle famiglie, declinate al plurale, delle famiglie arcobaleno, esprimibili in tanti diversi modi (l’arcobaleno è di sette colori, ma ci possono essere tante sfumature), all’idea che la famiglia sia disgregabile, ossia esprimibile in tanti diversi modi. Io penso che sia importante di fronte alle teorie gender difendere la differenza sessuale e l’identità sessuale come valori costitutivi della nostra identità.

Note

1) Testo non rivisto dalla relatrice

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