Contrabbando di armi in Africa? Viene dall’Africa

La Nuova Bussola quotidiana

20 Febbraio 2023

Un rapporto Onu rivela che il proliferare di armi che insanguina l’Africa occidentale è originato anzitutto dagli eserciti nazionali di altri paesi africani, in testa Sierra Leone e Liberia. Motivo principale? La corruzione. Ma un forte impulso alla diffusione di armi in Africa è stato dato dalla situazione della Libia, dopo l’uccisione di Gheddafi.

di Anna Bono

Al contrario di quanto molti possono pensare, la maggior parte delle armi da fuoco, e sono tante, che vengono contrabbandate in Africa occidentale, in particolare in Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger, provengono da altri stati africani e non da altri continenti. A rivelarlo è un rapporto dal titolo “Il traffico di armi da fuoco nel Sahel”, appena pubblicato dall’Ufficio dell’Onu contro la droga e il crimine (Unodc) e che fa parte di una più ampia ricerca sulla minaccia della criminalità organizzata transnazionale nel Sahel.

Per lo più le armi vengono trasportate in piccole quantità, spiega il rapporto, percorrendo distanze anche notevoli e superando più di un confine nazionale.  Molti degli “hub” del traffico illegale si trovano in piccole città e in villaggi situati in punti strategici di territori caratterizzati da scarsa e “distratta” presenza dello Stato, così come lo sono le rotte seguite dai convogli dei contrabbandieri e i punti di frontiera attraverso i quali transitano. Assente lo Stato, a controllarli sono dei gruppi armati. Quelli in grado di imporre dazi lungo le poche piste che solcano il deserto del Sahara ne ricavano cospicui introiti.

Oltre alla assenza di presidi governativi, anche la comune appartenenza etnica facilita il contrabbando transnazionale, come nel caso dei Fulani, una etnia in gran parte dedita alla pastorizia in parte transumante, che è presente in almeno 15 stati. 

Quanto alle armi destinate al mercato nero, gli eserciti nazionali ne sono i primi fornitori: sottratte ai soldati in battaglia, rubate negli arsenali, vendute da militari corrotti. In effetti la corruzione, a causa della quale tante armi spariscono dagli arsenali e che lascia alla mercé di organizzazioni criminali estesi territori e lunghi tratti di confine, è il “grande elefante della stanza”, il fenomeno onnipresente, il dato di fatto vistoso che tuttavia si continua invece a minimizzare o a ignorare del tutto.

A ricordarlo in occasione della presentazione del rapporto è stato Leonardo Lara, dirigente della prevenzione della criminalità e della giustizia penale all’Unodc, secondo cui la corruzione è «sicuramente un elemento che deve essere preso in considerazione quando si parla dei responsabili della diversione delle armi».

Tra i maggiori paesi da cui provengono le armi di contrabbando il rapporto cita Sierra Leone e Liberia. Sono residui di quelle importate e usate durante le lunghe guerre civili combattute rispettivamente dal 1991 al 2002 e dal 1989 al 2003. Un’altra consistente fonte di approvvigionamento di armi per il mercato nero sono le milizie popolari di autodifesa presenti in diversi stati, volontarie o create e armate dai governi stessi là dove forze dell’ordine e militari non proteggono i civili dalla violenza di bande criminali, gruppi ribelli e organizzazioni jihadiste.

Le armi più moderne, di fabbricazione industriale sono anche le più costose, spiega ancora il rapporto, e per questo sono soprattutto i gruppi jihadisti come al Qaeda e l’Isis a disporne, mentre altre milizie, ad esempio quelle delle comunità dedite alla pastorizia che in tutto il continente, non solo nel Sahel, si costituiscono per razziare bestiame e per difendere pascoli e sorgenti, si accontentano di armi artigianali e più economiche.

Dalla Libia, a partire dal 2019, provengono i costosi fucili AK di nuova fabbricazione reperibili in quantità al mercato nero di Gao, Timbuktu e Menaka, tre città del Mali settentrionale dove hanno le loro basi molti dei gruppi jihadisti africani più attivi. Ma dalla Libia si sono riversate armi in tutto il continente già a partire dal 2011, anno in cui è stato destituito e ucciso il presidente Muhammar Gheddafi. Il grosso del suo immenso arsenale contrabbandato è finito nel Sahel, nel Maghreb, nel Corno d’Africa e ci sono prove di materiale esportato illegalmente fin nella Striscia di Gaza e in Siria.

La Libia, dopo la caduta del colonnello Gheddafi, ha fornito abbastanza armi da armare l’intero continente africano, si diceva all’epoca, e il paese era stato definito il “supermercato mondiale del commercio illegale di armi”. “La primavera araba porterà a un’estate di follia nella regione” aveva ammonito l’allora presidente del Mali, Amadou Toumani Touré, e la storia gli ha dato ragione. Le armi di contrabbando di origine libica reperibili in quantità specialmente tra il 2011 e il 2013 hanno consentito a centinaia di gruppi armati e di organizzazioni criminali di intensificare ed estendere le attività.

Che gli eserciti nazionali siano la prima fonte di armi da fuoco non sorprende chi segue le vicende del continente africano. È effettivamente una delle conseguenze devastanti della corruzione onnipresente. Clamoroso è il caso della Nigeria dove da anni spariscono armi e attrezzature militari per milioni di dollari e intanto la criminalità organizzata è del tutto fuori controllo e i due gruppi jihadisti locali più volte dati per quasi sconfitti, Boko Haram e Iswap, resistono nelle loro roccaforti del nord est.

Il fenomeno appare se possibile ancor più grave e deplorevole alla luce dei dati diffusi il 18 febbraio dalla confederazione di organizzazioni non governative Oxfam. Nel 2022 i governi africani hanno raddoppiato la spesa per l’acquisto di armi portandola in media al 6,4% del bilancio, mentre hanno diminuito ulteriormente la spesa pubblica destinata all’agricoltura, già ridotta di anno in anno a partire dal 2019, che in media è stata al massimo del 3,8%, ma in alcuni stati è scesa all’1%.

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