Assalto all’ultimo don: scomunica e vecchi moschetti

Pieve Cevoli

La pieve di Cevoli

pubblicato su Avvenire del 9 marzo 2004

INCHIESTA / 10-2

di Roberto Beretta

PISA – Fu l’ultimo prete vittima dei «rossi» (o presunti tali) in Italia. La guerra era finita da quasi 6 anni allorché l’omicidio di don Ugo Bardotti, pievano di Cevoli (Pi) nella diocesi di San Miniato, venne a rinfrescare sulle prime pagine dei giornali di tutta la Penisola il clima acceso della contrapposizione ideologica e la mitica paura dei comunisti. Il vescovo, per esempio, fulminò subito la scomunica su esecutori e mandanti e ai funerali non esitò ad accomunare la fine del suo sacerdote al clero martire della guerra di Spagna e alla Chiesa perseguitata dell’Est Europa; anche sulla tomba, del resto, verrà scritto: «Ucciso in odio alla fede».

Intanto la giustizia intraprendeva le indagini con dovizia di mezzi, nonché ripetuti colpi di scena. E i giornalisti di mezza nazione incombevano sulla piccola canonica dove don Ugo era stato trucidato nella tarda sera del 4 febbraio 1951, una domenica di pioggia.Il «delitto in canonica» è stato ben ricostruito pochi anni fa in una plaquette del giornalista toscano Riccardo Cardellicchio.

Quella sera tre persone avevano suonato alla casa parrocchiale e la perpetua, zia di don Ugo, non aveva aperto prima di essersi fatta dire il nome: che poi era un cognome molto comune nella zona. Si era però trovata dinanzi tre uomini mascherati e all’inizio aveva pensato a uno scherzo (era l’ultimo giorno di carnevale), poi vedendo le armi si era spaventata. Frattanto il nipote era sopraggiunto, forse aveva fatto resistenza; fatto sta che di lì a poco risuonavano alcuni colpi e il prete cadeva a terra ucciso.

Rapina o esecuzione programmata? Delitto politico oppure semplice tentativo di furto? La pista dei comunisti viene seguita da subito: siamo in terre dove l’odio del prete gode di fresche testimonianze, e inoltre si parla di minacce ricevute dal pievano in seguito al progetto di acquistare proprio la casa del popolo per farci un asilo. Tra l’altro in canonica gli assassini hanno abbandonato un moschetto da guerra modello ’91, sporco come se fosse stato sotterrato a lungo: che siano le famose armi dei partigiani nascoste in vista della rivoluzione? Per il resto, però, don Bardotti – un ex ciabattino appassionato di Papini, divenuto prete a 37 anni – non risultava avere pendenze con i partigiani.

Insomma, nonostante clamorosi fermi di varie persone, i colpevoli non si trovano finché alla fine del 1958 tre giovani di un paese vicino (all’epoca del delitto due erano minorenni) non confessano: volevano fare una rapina, il prete ha reagito, loro si sono spaventati e hanno sparato. Durante il processo, però, cambiano parzialmente versione, asserendo di aver agito per intenti politici, forse allo scopo di guadagnarsi uno sconto di pena.

La stessa sentenza di condanna non dirime la questione: il primo pronunciamento propende infatti per la rapina (questa è anche la tesi di Cardellicchio), quello d’appello torna invece sul movente politico. «Infatti qui la voce comune sostiene tuttora che si trattò di omicidio comunista», spiega l’attuale parroco don Bruno Nuti. Il quale, quando venne a Cevoli nel 1969, pensò bene di celebrare liturgicamente l’anniversario del predecessore, ma in chiesa la gente era sempre pochina; uno, due, tre anni…

«Alla fine mi spiegarono: “Sono cose del passato, meglio dimenticarle; qui in paese abbiamo sofferto tanto, molti innocenti sono finiti in carcere e noi ci sentivamo tutti sospettati, avevamo paura…». Così oggi il 4 febbraio a Cevoli passa inosservato; anzi, qualcuno vorrebbe togliere persino la lapide posta sul luogo dell’assassinio: «Qui cadde il pievano don Ugo Bardotti… Qui aleggia il suo spirito ancora pregando e sempre amando parrocchiani e assassini».