Gianna Beretta Molla

“cercate ogni giorno il volto dei santi e traete conforto dai loro discorsi”

[Didaché IV, 2; CN ed., Roma 1978, pag. 32].

Beretta Molla

Tratto dal Sito ufficiale della Fondazione Santa Gianna Beretta Molla

PROFILO  BIOGRAFICO

La famiglia

Gianna nacque a Magenta (Milano), nella casa di campagna dei nonni paterni, da genitori profondamente cristiani, entrambi Terziari francescani, il 4 ottobre 1922, festa di San Francesco d’Assisi, e l’11 ottobre, nella Basilica di San Martino, ricevette il S. Battesimo con il nome di Giovanna Francesca.

Era la decima di tredici figli, cinque dei quali morirono in tenera età e tre si consacrarono a Dio: Enrico, medico missionario cappuccino a Grajaù, in Brasile, col nome di padre Alberto; Giuseppe, sacerdote ingegnere nella diocesi di Bergamo; Virginia, medico religiosa canossiana missionaria in India.

La famiglia Beretta  visse sino al 1925 a Milano, in Piazza Risorgimento n.10; durante i 18 anni della sua residenza milanese, frequentò assiduamente la Chiesa dei Padri Cappuccini in Corso Monforte.

Nel 1925, dopo che l’influenza spagnola si era portata via tre dei cinque figli che morirono in tenera età, e a seguito di un principio di tubercolosi della sorella maggiore Amalia, di sedici anni, la famiglia si trasferì a Bergamo in Borgo Canale n.1, dove l’aria di collina era più salubre.

Il papà di Gianna, Alberto, nato come lei a Magenta, era impiegato al Cotonificio Cantoni, e fece enormi sacrifici perché tutti i figli potessero studiare sino alla laurea, riducendo tutte quelle spese che riteneva essere spese inutili, come quando, di punto in bianco, smise di fumare il suo sigaro. Uomo dalla fede profonda, dalla pietà sincera, convinta e gioiosa, fu loro di grande esempio cristiano: ogni giorno si alzava alle 5 per recarsi alla S. Messa ed iniziare così, davanti al Signore e nel Suo nome, la sua giornata di lavoro.

Anche la mamma, Maria De Micheli, nata a Milano, era donna dalla fede profonda, dall’ardente spirito di carità, dal carattere umile e al tempo stesso forte, fermo e deciso. Si recava anch’ella ogni giorno alla S. Messa, insieme ai suoi figlioli, dopo che il marito era partito per raggiungere con il treno, a Milano, il suo posto di lavoro. Mamma Maria si occupò di ciascun figlio come se ne avesse avuto uno solo; correggeva i suoi figlioli aiutandoli a capire i loro sbagli e talvolta bastava il solo sguardo. Fu loro sempre vicina: imparò persino il latino e il greco per seguirli meglio negli studi.

La giovinezza

Gianna, sin dalla prima giovinezza, accolse con piena adesione il dono della fede e l’educazione limpidamente cristiana che ricevette dai suoi ottimi genitori, che con vigile sapienza la accompagnarono nella crescita umana e cristiana e la portarono a considerare la vita come un dono meraviglioso di Dio, ad avere una fiducia illimitata nella Divina Provvidenza, ad essere certa della necessità e dell’efficacia della preghiera. Fu da loro educata all’essenziale, alla sensibilità verso i poveri e le missioni, secondo lo stile francescano.

Immersa in questa atmosfera familiare di grande fede e amore per il Signore, Gianna ricevette la sua Prima Comunione a soli cinque anni e mezzo, il 4 aprile 1928, nella Parrocchia Prepositurale di Santa Grata a Bergamo Alta. Da quel giorno andò con la mamma tutte le mattine alla Messa: la S. Comunione divenne “il suo cibo indispensabile di ogni giorno”, sostegno e luce della sua fanciullezza, adolescenza e giovinezza. Il 9 giugno 1930 ricevette la S. Cresima nel Duomo di Bergamo.

Crebbe serena, prodigandosi per i fratelli e le sorelle, senza mai stare in ozio: amava tutte le cose belle, la musica, la pittura, le gite in montagna.

In quegli anni non le mancarono prove, sofferenze e difficoltà, che però non produssero traumi o squilibri in Gianna, data la ricchezza e la profondità della sua vita spirituale, ma anzi ne affinarono la sensibilità e ne potenziarono la virtù.

Nel gennaio 1937 morì la sua carissima sorella Amalia, all’età di 26 anni, e la famiglia si trasferì a Genova Quinto al Mare, città che era anche sede universitaria e favoriva, così, lo stare tutti insieme, come era sempre stato desiderio di papà Alberto. Qui Gianna si iscrisse alla 5ª ginnasio presso l’Istituto delle Suore Dorotee.

Negli anni della residenza genovese, Gianna maturò profondamente la sua vita spirituale.

Durante un corso di S. Esercizi Spirituali, predicato per le alunne della scuola delle Suore Dorotee dal Padre Gesuita Michele Avedano nei giorni 16-18 marzo 1938, Gianna, a soli quindici anni e mezzo, fece l’esperienza fondamentale e decisiva della sua vita. Di questi Esercizi è rimasto il quadernetto, di trenta paginette, di Ricordi e Preghiere di Gianna, tra i cui propositi si legge: “Voglio temere il peccato mortale come se fosse un serpente; e ripeto di nuovo: mille volte morire piuttosto che offendere il Signore”. E tra le sue preghiere: “O Gesù ti prometto di sottomettermi a tutto ciò che permetterai mi accada, fammi solo conoscere la tua Volontà…”.

Contribuì in modo determinante a far maturare in pienezza il cammino spirituale di Gianna anche l’azione pastorale dell’ottimo Parroco di Quinto al Mare, il noto liturgista Mons. Mario Righetti: egli, che divenne suo direttore spirituale, l’ebbe attiva collaboratrice nell’Azione Cattolica come delegata delle Piccolissime, e le inculcò l’amore alla liturgia, che fu per lei una fonte di vita spirituale; proprio a Genova ella acquistò il messale quotidiano del Caronti, che usò ogni giorno.

Finita la quinta ginnasiale, i genitori di Gianna credettero bene farle sospendere le scuole per un anno affinchè rinforzasse la sua delicata costituzione, e lei si sottomise docilmente, passando così un anno in dolce compagnia dei genitori, contenta di avere l’occasione di conoscerli maggiormente per poter poi imitare sempre più le loro virtù.

Nell’ottobre 1939 riprese gli studi, frequentando il liceo classico nell’Istituto delle Suore Dorotee di Lido d’Albaro.

I bombardamenti su Genova provarono molto mamma Maria, già debole di cuore, e così la famiglia, nell’ottobre 1941, ritornò a Bergamo, nella casa dei nonni materni a San Vigilio. Fu qui che Gianna, proprio nell’anno della maturità classica, perse entrambi i genitori, a poco più di quattro mesi di distanza l’una dall’altro, prima la mamma, il 29 aprile 1942, all’età di 55 anni, e poi il papà, il 10 settembre, all’età di 60 anni.

 La maturità

Dopo la morte dei genitori, nell’ottobre 1942 Gianna ritornò, con tutti i fratelli e le sorelle, a Magenta, nella casa dove era nata. Nel novembre dello stesso anno si iscrisse e frequentò la Facoltà di Medicina e Chirurgia, prima a Milano e poi a Pavia, dove si laureò il 30 novembre 1949.

Negli anni dell’università fu giovane dolce, volitiva e riservata, e andò sempre più affinando la sua spiritualità: quotidianamente ella partecipava alla S. Messa e alla S. Comunione, nel Santuario dell’Assunta nei giorni feriali, faceva la Visita al SS. Sacramento e la meditazione, recitava il S. Rosario.

Furono questi gli anni in cui, insieme alle sorelle Zita e Virginia, Gianna si inserì nella vita della comunità parrocchiale di San Martino, offrendo la propria collaborazione al Parroco, Mons. Luigi Crespi, e lavorando intensamente nell’educazione della gioventù nell’Oratorio delle Madri Canossiane, che divenne la sua seconda casa.

Mentre si dedicava con diligenza agli studi di medicina, tradusse la sua grande fede in un impegno generoso di apostolato tra le giovani nell’Azione Cattolica e di carità verso i vecchi e i bisognosi nelle Conferenze delle Dame di San Vincenzo, sapendo che “a Dio piace chi dona con entusiasmo” (2 Cor. 9,7): amava Dio e desiderava e voleva che molti lo amassero.

L’impressione che lasciava è riassunta da una sua compagna di liceo: “Gianna donava il suo sorriso aperto, pieno di dolcezza e di calma, riflesso della gioia serena e profonda dell’anima in pace”.

Dopo la laurea in Medicina, il 1 luglio 1950 Gianna aprì un ambulatorio medico INAM a Mesero, mentre a Magenta continuò a sostituire, al bisogno, il fratello medico Ferdinando. Si specializzò in Pediatria a Milano il 7 luglio 1952, e predilesse, tra i suoi assistiti, poveri, mamme, bambini e vecchi.

Mentre compiva la sua opera di medico, che sentiva e praticava come una missione, premurosa di aggiornare la sua competenza e di giovare al corpo e all’anima della sua gente, accrebbe il suo impegno generoso nell’Azione Cattolica, prodigandosi per le “giovanissime”, e, al tempo stesso, continuò a sfogare con la musica, la pittura, lo sci e l’alpinismo la sua grande gioia di vivere e di godersi l’incanto del creato.

Si interrogava, pregando e facendo pregare, sulla sua vocazione, che considerava anch’essa un dono di Dio, perché: “Dal seguire bene la nostra vocazione dipende la nostra felicità terrena ed eterna.” Le lettere del fratello padre Alberto, che parlavano del lavoro cui doveva far fronte da solo ogni giorno, maturarono in lei la specifica vocazione missionaria e la decisione di raggiungerlo a Grajaù per aiutarlo. Ma la sua costituzione fisica non era robusta, e il suo direttore spirituale riuscì a convincerla che questa non era la sua strada. Gianna si rasserenò e attese che il Signore le desse un segno.

L’8 dicembre 1954, in occasione della celebrazione della Prima Messa di padre Lino Garavaglia da Mesero, Gianna ebbe il suo primo incontro ufficiale con l’uomo della sua vita, l’ingegner Pietro Molla, dirigente della S.A.F.F.A., la famosa fabbrica di fiammiferi di Magenta, appartenente egli pure all’Azione Cattolica e laico impegnato nella sua parrocchia di Mesero; Gianna e Pietro erano stati entrambi invitati da padre Lino Garavaglia.

 Il fidanzamento e il matrimonio

Il fidanzamento ufficiale si tenne l’11 aprile 1955, lunedì di Pasqua, con la S. Messa celebrata da Don Giuseppe, fratello di Gianna,  nella Cappella delle Madri Canossiane a Magenta. Gianna e Pietro vissero il loro amore alla luce della fede. “Carissimo Pietro…”, gli scrisse Gianna nella sua prima lettera, il 21 febbraio 1955, “ora ci sei tu, a cui già voglio bene ed intendo donarmi per formare una famiglia veramente cristiana.” Ti amo tanto tanto, Pietro, – gli scrisse il 10 giugno 1955 – e mi sei sempre presente, cominciando dal mattino quando, durante la S. Messa, all’Offertorio, offro, con il mio, il tuo lavoro, le tue gioie, le tue sofferenze, e poi durante tutta la giornata fino alla sera”.

Gianna godette il periodo del fidanzamento, radiosa nella gioia e nel sorriso. Ringraziava e pregava il Signore. Era chiarissima nei suoi propositi e nelle progettazioni della nuova famiglia, e, al tempo stesso, era meravigliosa nel trasmettere a Pietro la sua grande gioia di vivere, nel chiedergli come doveva essere e ciò che doveva fare per renderlo felice, nell’invitarlo a ringraziare con lei il Signore per il dono della vita e di tutte le cose belle.

Si preparò spiritualmente a ricevere il “Sacramento dell’Amore” con un triduo, S. Messa e S. Comunione, che propose anche al futuro marito: Pietro nella Chiesetta della Madonna del Buon Consiglio a Ponte Nuovo, lei nel Santuario dell’Assunta a Magenta. Pietro ringraziò Gianna del santo pensiero del Triduo, e lo accolse con tutto l’entusiasmo.

Gianna e Pietro si unirono in matrimonio il 24 settembre 1955, nella Basilica di San Martino a Magenta. Si stabilirono a Ponte Nuovo, nell’accogliente villetta riservata alla famiglia del Direttore degli Stabilimenti S.A.F.F.A., a pochi metri di distanza dalla Chiesetta della Madonna del Buon Consiglio, dove Gianna si recò quotidianamente a pregare e a partecipare alla S. Messa.

Nella piccola frazione di Ponte Nuovo Gianna, dal 1956, svolse con dedizione il compito di responsabile del Consultorio delle mamme e dell’Asilo nido facenti capo all’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (O.N.M.I.), e prestò assistenza medica volontaria nelle Scuole Materna ed Elementare di Stato.

Fu moglie felice, e il Signore presto esaudì il suo grande desiderio di diventare mamma più che felice di tanti bambini: il 19 novembre 1956 nacque Pierluigi, l’11 dicembre 1957 Maria Zita (Mariolina) e il 15 luglio 1959 Laura, tutti e tre nati nella casa di Ponte Nuovo. Gianna seppe armonizzare, con semplicità ed equilibrio, i suoi doveri di madre, di moglie, di medico a Mesero e a Ponte Nuovo, e la sua grande gioia di vivere.

In questa armonia, continuò a vivere la sua grande fede, conformando ad essa il suo operare e ogni sua decisione, con coerenza e gioia. Nella comunione di vita e d’amore della famiglia, che la nascita dei figli aveva reso ancora più ampia ed impegnativa, Gianna si sentì sempre pienamente appagata.

Il mistero del dolore

Nel settembre 1961, verso il termine del secondo mese di una nuova gravidanza, Gianna fu raggiunta dalla sofferenza e dal mistero del dolore: si presentò un voluminoso fibroma, tumore benigno, all’utero. Prima dell’intervento operatorio di asportazione del fibroma, eseguito nell’Ospedale San Gerardo di Monza, pur ben sapendo il rischio che avrebbe comportato il continuare la gravidanza, supplicò il chirurgo di salvare la vita che portava in grembo e si affidò alla preghiera e alla Provvidenza.

La vita fu salva. Gianna ringraziò il Signore e trascorse i sette mesi che la separavano dal parto con impareggiabile forza d’animo e con immutato impegno di madre e di medico. Trepidava e temeva anche che la creatura che portava in grembo potesse nascere sofferente e pregava Dio che così non fosse.

Alcuni giorni prima del parto, pur confidando sempre nella Provvidenza, era pronta a donare la sua vita per salvare quella della sua creatura. “Mi disse esplicitamente” – ricorda il marito Pietro – “con tono fermo e al tempo stesso sereno, con uno sguardo profondo che non dimenticherò mai: Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete – e lo esigo – il bimbo. Salvate lui”.

Pietro, che conosceva benissimo la generosità di Gianna, il suo spirito di sacrificio, la ponderatezza e la forza delle sue scelte e delle sue decisioni, si sentì nell’obbligo di coscienza di doverle rispettare, anche se potevano avere conseguenze estremamente dolorose per lui e per i loro figli.

Per Gianna la creaturina che portava in grembo aveva gli stessi diritti alla vita di Pierluigi, Mariolina e Laura, e lei sola, in quel momento, rappresentava, per la creaturina stessa, lo strumento della Provvidenza per poter venire al mondo; per gli altri figli, la loro educazione e la loro crescita, ella faceva pieno affidamento sulla Provvidenza attraverso i congiunti.

La scelta di Gianna fu dettata dalla sua coscienza di madre e di medico e può essere ben compresa solo alla luce della sua grande fede, della sua ferma convinzione del diritto sacro alla vita, dell’eroismo dell’amore materno e della piena fiducia nella Provvidenza.

Il sacrificio

Nel pomeriggio del 20 aprile 1962, Venerdì Santo, Gianna fu nuovamente ricoverata nell’Ospedale S. Gerardo di Monza, dove le fu provocato il parto, per espletarlo per vie naturali, ritenuta la via meno rischiosa, senza esito favorevole.

Il mattino del 21 aprile, Sabato Santo, diede alla luce Gianna Emanuela, per via cesarea, e per Gianna iniziò il calvario della sua passione, che si accompagnò a quella del suo Gesù sul Monte Calvario. Già dopo qualche ora dal parto le condizioni generali di Gianna si aggravarono: febbre, sempre più elevata, e sofferenze addominali atroci per il subentrare di una peritonite settica.

“Gianna”, ricorda la sorella Madre Virginia, che, rientrata inspiegabilmente e provvidenzialmente dall’India potè assisterla nella sua agonia, “solo raramente svelava le sue sofferenze. Ha rifiutato ogni calmante per essere sempre consapevole di quanto avveniva e presente a se stessa. Non solo, ma per essere lucida nel suo rapporto con il suo Gesù, che costantemente invocava”. “Sapessi quale conforto ho ricevuto baciando il tuo Crocifisso!”, le disse Gianna, “Oh, se non ci fosse Gesù che ci consola in certi momenti!…”.

“Attingeva la forza del suo saper soffrire”, ricorda ancora Madre Virginia, “dalla preghiera intima manifestata in brevi espressioni di amore e di offerta: “Gesù ti amo” – “Gesù ti adoro” – “Gesù aiutami” – “Mamma aiutami” – “Maria…”, seguite da silenziose riflessioni”.

Nonostante tutte le cure praticate, le sue condizioni peggiorarono di giorno in giorno. Desiderò ricevere Gesù Eucaristico anche giovedì e venerdì: causa l’incoercibile vomito, con suo grande rincrescimento, per non mancare di rispetto al Signore, si accontentò di ricevere sulle labbra una minima parte dell’Ostia.

Il fratello Ferdinando aveva accettato da Gianna l’incarico di avvisarla quando fosse giunto il momento della sua morte con una frase stabilita. Ferdinando non ebbe il coraggio di eseguirlo: ne incaricò Madre Virginia, che, al momento opportuno, disse a Gianna: “Coraggio, Gianna, Papà e Mamma sono in Cielo che ti aspettano: sei contenta di andarvi?” “Nel movimento del suo ciglio”, ricorda Madre Virginia, “si potè leggere la sua completa e amorevole adesione alla Volontà Divina, anche se velata dalla pena di dover lasciare i suoi amati figli ancor tanto piccoli. Gianna, come il suo Gesù, si consegnò al Padre”.

All’alba del 28 aprile, Sabato in Albis, venne riportata, come da suo desiderio precedentemente espresso al marito Pietro, nella sua casa di Ponte Nuovo, dove morì alle ore 8 del mattino. Aveva solo 39 anni.

I suoi funerali, celebrati nella Chiesetta di Ponte Nuovo, furono una grande manifestazione unanime di profonda commozione, di fede e di preghiera.

Fu sepolta nel Cimitero di Mesero, dove riposa tuttora nella Cappella di famiglia, mentre rapidamente si diffuse la fama di santità per la sua vita e per il gesto di amore grande, incommensurabile, che l’aveva coronata.

Le lettere

Il 21 febbraio 1955 Gianna scrive a Pietro:

“…Vorrei proprio farti felice ed essere quella che tu desideri: buona, comprensiva e pronta ai sacrifici che la vita ci chiederà.”… “Ora ci sei tu, a cui già voglio bene ed intendo donarmi per formare una famiglia veramente cristiana.”…

L’11 marzo scrive:

“…Pietro, potessi dirti tutto ciò che sento per te! ma non sono capace – supplisci tu. Il Signore proprio mi ha voluto bene – tu sei l’uomo che desideravo incontrare, ma non ti nego che più volte mi chiedo: “sarò io degna di lui?” Sì, di te, Pietro, perchè mi sento così un nulla, così capace di niente, che pur desiderando grandemente di farti felice, temo di non riuscirvi. E allora prego così il Signore: “Signore, tu che vedi i miei sentimenti e la mia buona volontà, rimediaci tu e aiutami a diventare una sposa e una madre come Tu vuoi e penso che anche Pietro lo desideri”. Va bene così, Pietro?

Con tanto tanto affetto ti saluto        

Tua Gianna.”

Il 23 marzo, scrive da Sestriere:

“Carissimo Pietro, …è meraviglioso, quando si è in alto in alto, con un cielo sereno, la neve bianchissima, come si gode e si loda Iddio.

Pietro, tu già lo sai, mi sento così felice quando sono a contatto con la natura così bella, che passerei delle ore in sua contemplazione.”…

Il 9 aprile, Gianna scrive:

“… Pietro carissimo, tu sai che è mio desiderio vederti e saperti felice; dimmi come dovrei essere e ciò che dovrei fare per renderti tale.

Ho tanta fiducia nel Signore e son certa che mi aiuterà ad essere la tua degna sposa.

Mi piace spesso meditare il brano dell’Epistola della Messa di S. Anna – “La donna forte chi la troverà?…… Il cuore di suo marito può confidare in lei… non gli farà che bene, né mai gli recherà danno, per tutto il tempo della vita” ecc –

Pietro, potessi essere per te la donna forte del Vangelo! Invece mi pare e mi sento debole. Vuol dire che mi appoggerò al tuo braccio forte. Mi sento così sicura vicino a te!”…

“In realtà”, ricorda Pietro,  “è stata, da subito, una donna forte. L’ho chiamata ad abitare nella villetta entro il recinto degli stabilimenti di cui ero direttore e il suo sì è stato pronto. E quando, nel triennio 1956-1957-1958, scioperi prolungati e molto pesanti le hanno fatto condividere in diretta preoccupazioni e amarezze, non mi ha mai chiesto di cambiare casa; sapeva che questa residenza facilitava l’adempimento dei miei compiti e delle mie responsabilità.

Il 18 aprile:

“…Già lo sapevo che tu mi volevi tanto bene, ma l’avermelo oggi confermato nella tua lettera, mi hai riempito il cuore di gioia.

Pensa però Pietro, il Signore ci ha fatto questa grande grazia, come dovremo sempre essergli riconoscenti!”. …

Il 10 giugno:

“… Ti amo tanto tanto Pietro, e mi sei sempre presente, cominciando dal mattino quando durante la S. Messa, all’Offertorio, offro con il mio, il tuo lavoro, le tue gioie, le tue sofferenze e poi durante tutta la giornata fino alla sera.” …

Il 4 settembre:

“…Mancano solo venti giorni e poi sono…Gianna Molla! Che diresti, se per prepararci spiritualmente a ricevere questo Sacramento facessimo un triduo? Nei giorni 21 – 22 – 23 S. Messa e S. Comunione, tu a Ponte Nuovo, io nel Santuario dell’Assunta. La Madonna unirà le nostre preghiere, desideri, e poiché l’unione fa la forza, Gesù non può non ascoltarci ed aiutarci. Sono certa che dirai di sì, e ti ringrazio.” …

GLI  APPUNTI DI GIANNA

Gli scritti di Gianna, appunti e lettere, sono certamente quanto di più significativo, prezioso e caro conserviamo di lei.

Gli appunti sono stati da lei manoscritti, in massima parte, per le sue conferenze alle giovani di Azione Cattolica, e, in piccola parte, sono documenti e note che riguardano i suoi incarichi direttivi svolti nell’Azione Cattolica.

Dagli appunti e dai propositi scritti durante i ritiri spirituali emergono chiaramente le radici profonde della sua spiritualità, della sua grande fede, del suo spirito di preghiera, della sua fiducia nella Divina Provvidenza, del suo amore e del suo rispetto sacro per la vita.

Rileggendoli alla luce della sua vita, delle sue scelte, del suo comportamento, emerge chiaramente che quanto Gianna ha esposto e raccomandato alle sue giovani lo ha realizzato pienamente in lei stessa con coerenza e coraggio sino alla fine.

Ecco alcune delle sue riflessioni sulla preghiera, la devozione alla Mamma Celeste, l’apostolato, la vocazione, la missione di medico, la gioia, l’amore, e  l’amore e il sacrifizio.

La preghiera

La preghiera è la ricerca di Dio che sta nei cieli, e ovunque poiché è infinito…

Chi non prega, non può vivere in grazia di Dio.

Pregare, pregare bene, pregare molto. Non solo quando abbiamo bisogno di grazie, non solo per chiedere. La vera preghiera è quella di

adorazione: riconoscimento della bontà, dell’amore di Dio

poi di ringraziamento: sono un nulla, eppure sono un corpo, ho dei doni, tutto tuo dono – il mondo l’hai creato per me.

Vediamo la mano di Dio dappertutto, e ringraziamolo

di perdono

di richiesta: non solo le cose materiali, ma “cercate prima il Regno dei Cieli”, la grazia, il Paradiso per noi e per gli altri.

Pregate e vi santificherete – santificherete – vi salverete.”

(Quaderno dei ricordi durante i SS. Esercizi, ? 1944 – 1948)

La devozione alla Mamma Celeste

La devozione alla Mamma Celeste fu in Gianna intensa e determinante:

– per la vita di Pietà della giovane di Azione Cattolica, Gianna raccomanda con insistenza il S. Rosario e aggiunge: “senza l’aiuto della Madonna in Paradiso non si va.

(Quaderno dei ricordi durante i SS. Esercizi, ? 1944 – 1948)

Amare la Madonna = confidenza tenera nelle nostre difficoltà. La Madonna è la Mamma non può lasciar cadere la nostra domanda.” (anni 1947 – 1948)

– Alle nuove Delegate delle Giovanissime di Azione Cattolica: “Amate le vostre bambine, vedete in loro Gesù fanciullo e pregate tanto per loro, tutti i giorni mettetele sotto la protezione di Maria Santissima.” (anno 1948)

L’ apostolato

“La condizione più essenziale di ogni attività feconda è l’immobilità  pregante. L’apostolato si fa prima di tutto in ginocchio.

Il Signore desidera vederci accanto a Lui per comunicarci, nel segreto della preghiera, il segreto della conversione delle anime che avviciniamo…

Non ci dovrebbe essere mai nessuna giornata nella vita di un apostolo che non comprenda un tempo determinato per un po’ di raccoglimento ai piedi di Dio…

Noi dell’Azione Cattolica dobbiamo dare del divino alle anime, non dell’umano. Ma capite bene che per poter dare dobbiamo avere, cioè dobbiamo possedere Dio.

Più si sente il desiderio di dare molto, e più sovente bisogna ricorrere alla sorgente che è Dio.”    (lunedì 11.11.1946)

“Pretendere di essere apostoli, di far parte dell’Azione Cattolica e non partecipare  poi al sacrificio del Salvatore del mondo è pura immaginazione e illusione! Azione Cattolica è Sacrificio, non dimentichiamolo. Dobbiamo sempre accettare i sacrifici che ci vengono chiesti. Non ritirarsi quando ciò che vi si chiede di fare costa tempo, costa fatica, costa sacrificio. Le persone tiepide il Signore le detesta. La semigenerosità Gesù non l’amava.”  (lunedì 30.12.1946) 

La vocazione

“Tutte le cose hanno un fine particolare. Tutte obbediscono a una legge: le stelle seguono la loro orbita, le stagioni si seguono in modo perfetto. Tutto si sviluppa per un fine prestabilito. Tutti gli animali seguono un istinto naturale. Anche a ciascuno di noi Dio ha segnato la via, la vocazione – oltre la vita fisica, la vita della grazia…

Dal seguire bene la nostra vocazione dipende la nostra felicità terrena ed eterna…

Che cos’è la vocazione? E’ un dono di Dio – quindi viene da Dio. Se è un dono di Dio, la nostra preoccupazione deve essere quella di conoscere la volontà di Dio. Dobbiamo entrare in quella strada:

1)     se Dio vuole – non forzare mai la porta

2)     quando Dio vuole
3)     come Dio vuole

Conoscere la nostra vocazione – in che modo?:

1)       interrogare il Cielo con la preghiera

2)        interrogare il nostro direttore spirituale
3)        interrogare noi stessi – sapendo le nostre inclinazioni.

Ogni vocazione è vocazione alla maternità – materiale – spirituale – morale, perché Dio ha posto in noi l’istinto della vita.

Il sacerdote è padre, le Suore sono madri, madri delle anime.”

 (Quaderno dei ricordi durante i SS. Esercizi, ? 1944 – 1948)

La missione del medico

Bellezza della nostra missione

“Tutti nel mondo lavoriamo in qualche modo a servizio degli uomini. Noi (medici) direttamente lavoriamo sull’uomo. Il nostro oggetto di scienza e lavoro è l’uomo che dinnanzi a noi ci dice di se stesso, e ci dice “aiutami” e aspetta da noi la pienezza della sua esistenza…

Noi abbiamo delle occasioni che il sacerdote non ha. La nostra missione non è finita quando le medicine più non servono. C’è l’anima da portare a Dio e la nostra parola (dei medici) avrebbe autorità. Ogni medico deve consegnarlo (l’ammalato) al Sacerdote. Questi medici cattolici, quanto sono necessari!

Il grande mistero dell’uomo: egli è un corpo ma è anche un’anima soprannaturale. C’è Gesù (che dice): chi visita il malato aiuta “me”. Missione sacerdotale – come egli (il sacerdote) può toccare Gesù, così noi (medici) tocchiamo Gesù nel corpo dei nostri ammalati: poveri, giovani, vecchi, bambini.

Che Gesù si faccia vedere in mezzo a noi, trovi tanti medici che offrano se stessi per Lui. “Quando avrete finito la vostra professione – se l’avrete fatto – venite a godere la vita di Dio perché ero ammalato e mi avete guarito.

(Blocchetto ricettario, ? 1950 – 1951)

La gioia

“Il mondo cerca la gioia ma non la trova perchè lontano da Dio.

Noi, compreso che la gioia viene da Gesù, con Gesù nel cuore portiamo gioia. Egli sarà la forza che ci aiuta.”

(Quaderno dei ricordi  durante i SS. Esercizi, ? 1944 – 1948)

“Il segreto della felicità è di vivere momento per momento, e di ringraziare il  Signore di tutto ciò che Egli nella sua bontà ci manda giorno per giorno.”

L’amore

Amare vuol dire desiderio di perfezionare se stessa, la persona amata, superare il proprio egoismo, donarsi…

L’amore deve essere totale, pieno, completo, regolato dalla legge di Dio, e si eterni in Cielo.”

(Quaderno dei ricordi durante i SS. Esercizi, ? anni 1944 – 1948)

L’amore e il sacrifizio

“Amore e sacrifizio sono così intimamente legati, quanto il sole e la luce.

Non si può amare senza soffrire e soffrire senza amare.

Guardate alle mamme che veramente amano i loro figlioli: quanti sacrifici fanno, a tutto sono pronte, anche a dare il proprio sangue purché i loro bimbi crescano buoni, sani, robusti! E Gesù non è forse morto in croce per noi, per amore nostro! E’ col sangue del sacrificio che si afferma e conferma l’amore.

Quando Gesù, nella S. Comunione, ci mostra il suo cuore ferito, come dirgli che lo amiamo se non si fanno sacrifizi da unire ai suoi, da offrirgli per salvare le anime? E qual è la maniera migliore per praticare il sacrificio? La maniera migliore consiste nell’adorare la volontà di Dio tutti i giorni, in tutte le piccole cose che ci fanno soffrire, dire, per tutto quello che ci succede: “Fiat: la tua volontà, Signore!” E ripeterlo cento volte al giorno! Non sono solo le grandi penitenze: portare il cilicio, digiunare, vegliare, dormire sulle tavole ecc., che fanno sante le anime, ma il vero sacrificio è quello di accettare la croce che Dio ci manda – con amore, con gioia e rassegnazione…

Amiamo la Croce” e ricordiamoci che non siamo sole, a portarla, ma c’è Gesù che ci aiuta e in Lui, che ci conforta, come dice S. Paolo, tutto possiamo.”

(anni 1945 – 1946)