Il vero Irak

Bagdaddal New York Post, 18 luglio 2003

Aprendo quasi ogni pubblicazione Americana o Europea in questi giorni si e’ tempestati da sgradevoli notizie su quanto sia “orribile” la situazione in Irak, e sulla difficoltà, se non incapacità degli USA di controllare la situazione nello sforzo di ricostruzione post-bellico. A tutto ciò – viene detto – si aggiunge tragicamente la dolosa esagerazione della minaccia irakena compiuta da Bush e Blais. Possono aver vinto la guerra ma stanno perdendo la pace.

Lo scrittore e giornalista iraniano Amir Taheri, esperto di Medio Oriente, ha passato diversi giorni sul suolo irakeno la scorsa settimana accertando che la realtà e’ completamente diversa da quanto ovunque rappresentato sui nostri media.

Segue un resoconto di prima mano su un Irak che sta rapidamente progredendo in ogni aspetto della vita, da quello politico a quello economico e culturale. Un Irak dove la gente, sebbene comprensibilmente scettica dopo decenni di tirannia, e’ nondimeno piena di speranza e grata per la propria liberazione.

Gli editori del New York Post

IL VERO IRAK

di Amir Taheri

Bagdhad, Iraq

“L’ Intifada Irakena !” Questo il titolo di copertina del Al-Watan Al-Arabi, un settimanale pro-Saddam pubblicato a Parigi. Trova eco nell’ultimo numero della rivista Americana Time, che dipinge uno squallido ritratto del paese appena liberato. Il quotidiano Al Quds, un altro giornale pro-Saddam, cita niente meno che il Washington Post a supporto delle proprie affermazione, che cioe’ una “guerra popolare di resistenza” sta crescendo in Irak. Alcuni giornali negli Stati Uniti, Inghilterra e della “vecchia Europa” vanno oltre, sostenendo che l’Irak è diventato un “pantano” o “un altro Vietnam”. Il quotidiano parigino Le Monde preferisce il termine più chic e francese “engrenage”.

Questo coro vuole farci credere che la maggior parte degli Iracheni rimpiangono il vecchio regime, e sono proti a uccidere e morire per espellere i loro liberatori.

Mi spiace, gente, ma non è così.

Nè il pio e illusorio desiderio dei media Arabi, a lungo sotto paga di Saddam, e neppure il viscerale odio di parte dei media occidentale per George W. Bush e Tony Blair, sono in grado di cambiare i fatti sul terreno Irakeno. UN FATTO è che chi andasse in Irak in questi giorni non riuscirà a trovare qualcuno che rimpianga Saddam.

Vi sono molte lamentele, soprattutto in Baghdad, riguardo la mancanza di sicurezza e la mancanza di elettricità. C’e’ ansia sul futuro in un momento in cui la disoccupazione fra il ceto medio e’ stimata al 40 per cento. Gli irakeni si domandano anche perchè la coalizione non sia stata in grado di comunicare con loro più efficacemente. Tutto questo non significa assolutamente che vi sia un supporto popolare per le azioni violente contro gli Alleati.

Altro fatto : la violenza cui abbiamo assistito, soprattutto contro i militari USA nelle ultime sei settimane, ha avuto luogo esclusivamente su meno dell’uno per cento del territorio Irakeno, nel cosiddetto “triangolo sunnita”, che include parte di Bagdhad. In qualunque altro posto le forze Alleate sono accettate o addirittura benvenute. Il 4 luglio, giorno dell’Indipendenza Americana, molti negozi e case private in varie parti dell’Irak, comprese le aree Kurde e le città nel cuore sciita della nazione, hanno esibito bandiere a stelle e strisce in segno di gratitudine per gli Stati Uniti.

“Vediamo la nostra liberazione come l’inizio di un’amicizia con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna che durerà mille anni”. dice Khalid Kishtaini, uno dei più importanti scrittori e romanzieri Irakeni. “Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno mostrato che un vero amico si riconosce nel momento del bisogno. Niente può cambiare questo fatto.” Nei primi giorni della liberazione, alcuni predicatori delle Moschee saggiarono il terreno parlando contro “l’occupazione”. Presto capirono che i loro fedeli avevano un’idea ben diversa. Oggi, il tema dominante dei sermoni nelle moschee riguarda l’unione fra popolo irakeno e le forze di coalizione per ricostruire il paese distrutto dalla guerra e metterlo sulla via verso la democrazia.

Persino il religioso radicale Sciita Muqtada Sadr oggi dice che “del buono” può venire dalla presenza Alleata in Irak. “Gli Alleati devono aiutarci a stabilizzare la situazione”, dice. “Il risanamento di cui abbisognamo non sarebbe possibile se fossimo lasciati soli”.

Ancora un altro fatto è che tutte le 67 citta’ dell’Irak e l’85 per cento dei paesi minori ora hanno delle istituzioni locali e municipali in piena funzionalità. Diversi ministri, inclusi quelli della sanità e dell’istruzione, sono nuovamente all’opera. L’industria petrolifera è stata rivitalizzata e programma la produzione di 2,8 milioni di barili al giorno prima della fine dell’anno.

Certamente la vita in Irak oggi non e’ rose e fiori. Ma non va dimenticato che e’ una situazione post-bellica. Non c’è fame e in effetti i bazar sono ripieni di cibo come mai dagli anni 70, mentre i prezzi del cibo che erano andati alle stelle nelle prime settimane dopo la liberazione, ora sono più bassi che ai tempi di Saddam.

La maggior parte degli ospedali stanno funzionando con l’arrivo di medicinali e attrezzatura essenziale, per la prima volta dal ‘99. Ancora, l’ottantacinque per cento delle scuole secondare e tutte le università, tranne due, hanno riaperto con grande affluenza di allievi e docenti. La differenza è che oggi non c’è più alcun mukaheberat (agente della polizia segreta) che gira per i campus e sorveglia le classi per assicurarsi che non siano discussi argomenti proibiti. E gli studenti non devono più iniziare ogni giornata con il solenne giuramento di fedeltà al dittatore.

Non c’e’ stato alcun esodo di massa in Irak. Al contrario molti Irakeni, che erano stati deportati dalle loro case da Saddam, stanno tornando alle proprie città e paesi. Il loro ritorno ha già dato impulso alle imprese di costruzioni, moribonde negli ultimi anni di Saddam. Esuli Irakeni e rifugiati all’estero stanno tornando. Molti dall’Iran e dalla Turchia. Solamente nell’ultimo mese la Mezzaluna rossa Iraniana ha contato il rimpatrio di 10.000 Irakeni, la maggior parte Kurdi e Sciiti. In Irak oggi non ci sono più profughi, comunità estirpate dal loro paese, e neppure lunghe file di vittime di guerra che cercano un qualche rifugio.

Per la prima volta in quasi 50 anni non ci sono prigionieri politici, non ci sono esecuzioni, non ci sono torture e limiti alla libertà di espressione. L’irak oggi e l’unica nazione musulmana dove qualsiasi corrente di pensiero, dagli islamisti estremisti dell’Hezbollah agli stalinisti, dai liberali ai socialisti, hanno piena libertà di competere nel libero mercato delle idee. Meglio ancora, tutti sono oggi rappresentati nella Assemblea governativa di nuova creazione (Majlis al-Hukum).

L’irak è ora l’unica nazione musulmana dove più di 100 giornali e settimanali, che rappresentano ogni diversa opinione, vengono editi senza alcun permesso o censura da parte dell’autorità.

I molti blackout e carenze di elettricità, soprattutto a Bagdhad sono dovuti niente meno che all’incremento del consumo del 30 per cento a causa degli impianti di condizionamento, date le temperature fino a 46 gradi. In alcune città, per esempio Basra (Bassora), la seconda città Irakena per popolazione, si ha un consumo di elettricità che mai si era visto per tutto il periodo della dittatura saddamita.

Una passeggiata al mercato dei libri all’aperto di Rashid Street rivela che migliaia di libri che erano proibiti e banditi ai tempi di Saddam Hussein, sono ora disponibili in vendita. Fra gli autori proibiti vi erano quasi tutti i migliori scrittori e poeti, che molti giovani Irakeni stanno scoprendo per la prima volta. Appaiono a Baghdad e nelle altre maggiori città nuovi locali con in vendita videocassette e cd che aprono l’accesso a un universo culturale prima proibito.

Stanno tornando persino i negozi di fiori sul Tigri. “Business is good”, dice Hashem Yassin, un fiorista. “Nel passato vendevamo fiori ai funerali e per la devozione ai defunti. Adesso vendiamo per matrimoni, feste di compleanno e per regali”. L’economia di libero mercato sta facendo i primi passi nel sistema socialista irakeno in tanti piccoli modi. Centinaia di mercanti offrono beni importati ma anche bibite, spesso imbottigliate in Iran, e biscotti e chewing gum dalla Turchia.

Alcune sale da té competono per attrarre clienti offrendo tv satellitare come attrazione. Ogni sera la gente vi si affolla per guardare, fare zapping fra i canali e discutere ciò che hanno visto in una atmosfera sconosciuta sotto Saddam. Può essere difficile per un occidentale capire quanto sia esilarante poter guardare il canale televisivo che si desidera. In questa nazione, sotto Saddam, si poteva essere condannati come spie e venire appesi per il solo fatto di possedere una parabola satellitare.

Un altro simbolo della nuova libertà è la moltiplicazione dei telefoni cellulari e persino satellitari. La maggior parte appartengono agli esuli che sono tornati, ma la loro apparizione e’ rassicurante per molti Irakeni. Sotto Saddam il loro possesso poteva comportare la pena di morte.

Il ritratto di Bagdhad come una versione orientale del Far West hollywoodiano e’ totalmente fuori luogo. Nasconde il fatto che la vita sta tornando alla normalità, che i matrimoni, che per tradizione avvenivano in estate, sono tornati con la tradizionale celebrazione ed esibizione tribale. Il primo concerto rock è già stato fatto da un gruppo di ragazzi e la squadra di calcio nazionale ha ripreso gli allenamenti con un allenatore tedesco.

Ci sono due Irak oggi. Uno dipinto da coloro che in America e in Europa hanno il solo scopo di usare qualsiasi notizia per danneggiare Bush e Blair, e l’altro Irak, che è quello reale, con 24 milioni di Irakeni e le loro speranze, aspirazioni, e naturalmente ansietà per il proprio futuro. “Dopo aver espresso le nostre rimostranza non dimentichiamo il punto essenziale : Saddam non c’è più”, dice Mohsen Saleh, geologo di Bagdhad. “Un uomo guarito dal cancro non si preoccupa dei raffreddori”.