Le verità nascoste di Zapatero

ideazione.com 1 giugno 2005

 di Enzo Reale

Mentre Zapatero ballonzola tra Berlino e Parigi trasformando in sconfitta tutto quel che tocca, mentre l’Eta detta l’agenda del governo, mentre Madrid si lancia in una corsa già persa verso l’Olimpiade 2012, El Mundo continua da un anno un’inchiesta solitaria e impopolare: le verità non raccontate degli attentati dell’11 marzo 2004. Sono verità che in pochi hanno voglia di sentire e che chi non legge Libertad Digital o non ascolta la Cope non conoscerà mai, data la cappa di omertà che dalla vittoria elettorale dei socialisti è scesa sulla Spagna.

La commissione parlamentare istituita più per dovere che per convinzione è stata chiusa in fretta e furia prima che a qualcuno, magari ispirato dalle colonne di un giornale, venisse in mente di indagare per davvero, mentre la magistratura ha proceduto fin dall’inizio ad un’accorta selezione degli eventi da includere ed escludere dai propri fascicoli: a quasi quindici mesi dagli attentati non sappiamo ancora chi abbia macellato 192 persone salite sui treni della morte e mai più scese. Avete capito bene, nessun responsabile accertato.

Si sa, certo, che il terrorismo islamico ci ha messo lo zampino ma le domande di fondo restano senza risposta: chi è l’autore intellettuale del massacro? Chi l’ha preparato? Quando? Con quali complicità? Buio pesto, come ha ammesso di recente in un’intervista a Newsweek lo stesso ministro della giustizia spagnolo che si è guardato bene dal replicare le stesse dichiarazioni in casa: la verità ufficiale, politicamente corretta, qui è che i fondamentalisti islamici hanno colpito la Spagna per punire la partecipazione al conflitto in Iraq decisa dal governo Aznar e che il Partito Popolare ha perso le elezioni dello scorso anno per aver mentito ai cittadini sulla responsabilità degli attentati.

Ma El Mundo, unico quotidiano a rompere il muro di omertà, non ci sta e insiste – inascoltato ma perseverante – nel rompere le uova nel paniere. Ha cominciato nell’aprile dello scorso anno a evidenziare tutte le contraddizioni della versione istituzionale: perché nelle ore convulse che seguirono la strage alcuni settori dei servizi segreti informarono esponenti socialisti invece che i membri del governo?

Perché la polizia ritardò di molte ore l’analisi del furgone presumibilmente utilizzato dai terroristi islamici? Perché rifiutò l’offerta di collaborazione da parte di esperti israeliani e statunitensi? Come è possibile che in poche ore la stessa polizia sia stata in grado di escludere del tutto la pista Eta e di sgominare la banda degli autori della strage nel corso della mortale incursione di Leganés? Dove si trovava tra le 7,20 del mattino e le 2,40 di notte la borsa contenente un cellulare e una quantità di esplosivo Goma 2 (servita per confermare la matrice islamica degli attentati) le cui foto vennero diffuse in tutto il mondo dal network Abc una volta che fu “disattivata” dai Tecnici disattivazione artefatti esplosivi (Tedax)?

E’ di pochi giorni fa la rivelazione che quelle foto erano false e che i Tedax, non avendo a disposizione al momento delle riprese la borsa originale, l’avevano sostituita con una simile a beneficio dei reporter dell’Abc. Ma c’è di più: i Tedax nascosero per tre mesi agli investigatori il fatto che la vera borsa ritrovata misteriosamente inesplosa in un parco della capitale non avrebbe mai potuto detonare dal momento che i fili non erano collegati.

Tre mesi per far sapere che la borsa contenente Goma 2 non apparteneva alla stessa famiglia degli zainetti esplosivi di Atocha. Tre mesi dopo e non tre ore dopo. Perché? Perché il numero di telefono del capo dei Tedax si trovava nell’agenda di Carmen Toro, una delle persone accusate di aver fornito la dinamite ai terroristi?

C’è un altro motivo per cui l’origine di quella borsa è importante, nota il blogger catalano Franco Alemán riprendendo le conclusioni de El Mundo: “…per la SIM card dentro il telefono. Ma, se i fili fossero stati collegati, la bomba non sarebbe esplosa in seguito a una chiamata telefonica o a un altro meccanismo elettronico, ma per un allarme interno programmato per accendere e far vibrare il telefono.

La maggior parte dei telefoni non richiedono una SIM card per questo, ma il modello scelto da persone considerate esperte (visto che avevano un negozio di telefoni) fu il Mitsubishi Trium, proprio uno dei pochi che ha bisogno di una SIM card per funzionare come allarme. E fu l’analisi della SIM che, meno di 48 ore dopo le esplosioni, permise alla polizia di arrestare i presunti responsabili”.

Ancora. Tutti sanno che fu attraverso le tessere dei telefoni cellulari che si arrivò all’appartamento di Leganés e all’eliminazione di quello che venne considerato il nucleo operativo della banda terrorista e che grazie al ritrovamento delle cassette con versi del Corano nel famoso furgone di Alcalá prese forza la pista islamica. Cosa ha scoperto El Mundo?

Che un cittadino spagnolo di origine siriana, Maussili Kalaji, ex membro di Al Fatah ed ex agente sovietico, attualmente assunto nella polizia nazionale e in passato scorta del giudice Garzón (“sono sicuro che non è stata l’Eta”) era anche il proprietario del negozio in cui i cellulari vennero attivati; che sua sorella traduceva le conversazioni telefoniche dei terroristi intercettate dalla polizia; che la sua ex moglie, agente di polizia anch’essa, fu tra i primi a poter ispezionare il furgone di Alcalá pochi minuti dopo la sua localizzazione.

Una serie di coincidenze impressionante alla quale va aggiunto un ultimo (per ora) sconcertante dato: l’imam della moschea madrileña di Villaverde, confidente della polizia sotto lo pseudonimo di Cartagena, informò nei diciotto mesi che precedettero gli attentati dei movimenti e delle intenzioni dei terroristi poi implicati.

Gli investigatori conoscevano perfino i loro numeri di telefono ma nessuna intercettazione fu utilizzata, nessun provvedimento fu preso. Un mese dopo l’ultima nota informativa, gli arti amputati di centinaia di innocenti riempivano i binari di Atocha, Santa Eugenia ed El Pozo. Ufficialmente non c’è più niente da capire.