Quel manuale per “buoni genitori” (intesi gay) che detta legge sull’omofobia

gay_coverIl Foglio, giovedì 29 agosto 2013

di Carlo Giovanardi

C’è è un libro, a firma Chiara Lalli, con postfazione dell’onorevole vicepresidente del Pd, Ivan Scalfarotto, che andrebbe letto da tutti, in questi giorni di discussioni sulla cosiddetta legge sull’omofobia e la transfobìa. Il libro, “Buoni genitori. Storie di mamme e dì papa gay”, ha infatti il pregio di essere stato scritto nei 2009, prima quindi dell’attuale dibattito, e di parlare quindi con molta schiettezza e sincerità. Non si finge, non si tergiversa, si dice quello che si pensa.

Cosa pensa Lalli, di solito più nota per le sue difese della legge 194 e dell’aborto? Cosa pensa l’onorevole Scalfarotto, elogiando e benedicendo l’opera apologetica della Lalli? La prima “verità” proposta è questa: le famiglie sono di tanti tipi, tutte equivalenti. Anzi, forse ce ne sono di migliori e di peggiori. Lalli, infatti, non ama per nulla quella che chiama la “famiglia tradizionale”: padre, madre, figli. Non perde occasione per dirlo o per farlo dire ai protagonisti della sua indagine.

A pagina 228 per esempio spiega che “le competenze genitoriali” dei genitori gay, sono “superiori”: “Una ricerca condotta su 256 genitori omosessuali, per esempio, ha rilevato che una bassissima percentuale di genitori omosessuali ricorre a punizioni fisiche, prediligendo invece il ragionamento e la discussione”. A pagina 229-230 riporta uno dei tanti studi pro gay alla fine dei quali deve essere chiaro che “il rapporto tra la madre non genetica e il bambino (nelle famiglie omosessuali) era addirittura qualitativamente migliore rispetto ai rapporto tra padre e figlio (nei gruppi di famiglie eterosessuali.

Altrove, a pagina 174, la famiglia composta da padre e madre viene definita “famiglia cristallizzata e idealizzata nella trita formula di ‘famìglia normale’ o tradizionale”.

Un po’ di eterofobia, insomma, non manca. Condita con forti spruzzate di cristianofobia.

Tra Lalli e le persone da lei intervistate ricorre un ritornello: gli uomini di chiesa “dovrebbero predicare amore, invece predicano l’odio e l’intolleranza”, e tutto il mondo dovrebbe stigmatizzare la “violenza omofobica del Vaticano” (p.128). L’emofobia starebbe non solo nel considerare l’omosessualità un disordine morale, visione che accomuna la chiesa a Platone, ai filosofi pagani romani e alla stragrande parte dei pensiero d’occidente e d’oriente, africano e asiatico, ma anche nell’opporsi al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali, al matrimonio gay, insomma, e a tutto ciò che ne consegue: adozione e produzione, tramite fecondazione artificiale, di figli, ricorso, per le coppie di maschi gay, all’utero in affitto…

Quali sono le famiglie belle, quelle interessanti, quelle che, sì auspica, abbonderanno in futuro, a discapito della trita e noiosa e triste famiglia tradizionale? Lalli, con benedizione finale di Scalfarotto, giova ripeterlo, le identifica con precisione. Buona famiglia è quella dì Francesco e Arthur, suo compagno, che hanno pagato una donna, per ottenere il materiale genetico femminile necessario, e hanno affittato l’utero dì un’altra donna californiana, per poi sottraile, a lavoro finito, il frutto della gravidanza.

E fortunati sono i piccoli Niccolo e Violetta, nati in questo modo, con due padri, che però potranno ogni tanto, prendendo l’aereo, andare negli Usa a trovare la loro madre sdoppiata: quella genetica e quella gestazionale. Magari a Natale una e a Pasqua l’altra. Fortunati, in generale, per Lalli, i bimbi nati da madri surrogate, cioè “prestatrici” (suona meglio che affittuarie) d’utero, perché è sciocco credere che si legame dì sangue tra figli e genitori sia così importante.

Altre “buone famiglie”? Altre famiglie che dovrebbero diventare la norma? Le coppie di donne lesbiche che hanno ordinato figli al grande supermarket della fecondazione artificiale, utilizzando uomini, purtroppo consenzienti, come tubetti di dentifricio da spremere e da buttare… Negando così, coscientemente, ai figli così concepiti, il diritto ad un padre.

Ideale, benché i cattolici non lo capiscano, anche le famiglie fondate sui “cogenitori”: come nel caso dei gemelli Silvia e Andrea, dì un anno e mezzo, che hanno due padri, uno genetico e uno no, Matteo e Nicola, e due madri (Sofia e Barbara; una genetica e una no). Silvia e Andrea hanno dunque due mamme e due papa, con annessi nonni (ben 8). Inoltre, che fortunati, possiedono due case (la casa dei due padri e, separata, la casa delle due madri): “Avere due case può essere molto bello – dichiara la mamma bis Sofia – perché hai più spazi, doppi giochi…”.

Epperò, qui è la sorpresa, non ci sono solo i cattolici, in Italia, a non capire (come non capiscono gli africani, gli asiatici, molti europei ecc,); non sono solo loro a vivere di “stereotipi e pregiudizi”, tipo quello, “tra i peggiori”, secondo cui “la figura materna” sarebbe “indispensabile”! (p. 237). Anche molti omosessuali esprimono “perplessità e crìtiche contro l’omogenitorialità”. Soprattutto diversi omosessuali maschi sarebbero “più realisti del re”, sino a concordare “sulle principali concezioni contrarie all’omogenitorìalità, come quella che due persone dello stesso sesso non dovrebbero crescere figli” (p.235).

Non è chiaro se anche loro, pur omosessuali, cadranno un domani sotto S’accusa di omofobia, che Lallì e Scalfarotto lanciano, nel libro citato, con grande generosità.