La mattanza dei boxers

Il Timone n.225  Febbraio 2023

In Cina, nel 1900, i «pugili della giustizia e della Concordia» massacrarono fino a 50.000 tra missionari cristiani e connazionali battezzati. Che ancora oggi Pechino considera «banditi»

di Rino Cammilleri

Chi ricorda il bel kolossal (prima si chiamavano così i film di oltre tre ore) del 1963, 55 giorni a Pechino, con un cast stellare (Charlton Heston, David Niven, Ava Gardner), sa qualcosa della grande rivolta dei boxers che insanguinò la Cina nel 1900. Ovviamente, per cercare di capire certe lontane cose, noi occidentali non abbiamo che le nostre categorie. Così quella rivolta fu definita xenofoba e nazionalista, perché era indirizzata contro gli stranieri e contro la loro religione.

In realtà, i cinesi il nazionalismo neanche sapevano che cosa fosse, almeno fino a che Sun Yatsen, che non a caso aveva studiato in Europa, non lo importò e uso per instaurare la Repubblica. Che infatti dopo di lui, subito si scisse in destra (Chiang Kaishek) e sinistra (Mao Zedong) sempre di importazione. I Boxers se la presero soprattutto con i missionari e i cinesi battezzati, sterminandone un numero stimato tra i 33.000 e i 50.000.

Il fatto era che, dalle vergognose «guerre dell’oppio» contro gli inglesi (la prima, 1839-1842; la seconda, 1856-1860), i cinesi non avevano fatto altro che perdere. E ciò secondo loro non era tanto dovuto all’arretratezza tecnologica: i cinesi ritenevano di essere culturalmente superiori a tutti e di non avere niente da imparare dai «barbari» occidentali. No, il vero nemico era il cristianesimo, che aboliva il fondamentale culto degli antenati. I quali antenati, secondo il taoismo, non erano venerati perché lì si amava, no. Al contrario, li si temeva quali apportatori di ogni sorta di disgrazia se si fosse trascurato di offrire loro continui sacrifici.

La vendetta degli spiriti

Secondo tale filosofia tutti i mali fisici e le sventure provengono dalla vendetta degli spiriti, specialmente quelli che vagano senza pace perché nessun discendente se ne cura. Tale mentalità era così radicata che non di rado gli stessi giudici penali ne erano succubi nell’emettere le loro sentenze. Per esempio, un assassino era, sì, passibile di decapitazione, ma prima bisognava esaminare la sua famiglia, se ne aveva una. Infatti, uccidendo lui, c’era qualcuno in grado di placarne lo spirito? Ecco il genere di ragionamento che spesso guidava il giudizio di un magistrato.

Il filosofo del cristianesimo, Gesù, invece diceva «lascia che i morti seppelliscano i loro morti». Che per un cinese era il massimo dell’empietà. Nonché fonte di ogni malanno individuale e sociale.

Naturalmente anche confuciani e buddisti soffiavano sul fuoco, se non altro per motivi di concorrenza (erano stati i bonzi a provocare, nel vicino Giappone, la mattanza dei cristiani, e lo stesso nell’ancora più vicina Corea), nessuno aveva mai avuto niente da ridire circa la religione di ciascuno. Ognuno seguiva le divinità che voleva. Ma il cristianesimo era speciale. In Cina, per i motivi che sappiamo. In Giappone, perché, piccolo arcipelago, viveva sempre nel timore di invasioni (come gli inglesi, del resto) ed era stato facile per i bonzi buddisti (che in Giappone scendevano in guerra, altro che pace&compassione) convincere gli Shogun che i missionari erano i battistrada di spagnoli e portoghesi.

La Corea, anche per la continuità territoriale, era sempre stata un satellite del Paese di mezzo (il Celeste Impero) e ne adottava supinamente le mode culturali. Divenne cristiano quando il gesuita Matteo Ricci fece del cristianesimo la moda chic della corte imperiale cinese. E persecutore quando a Pechino il vento cambiò

I martiri dei Boxers sono stati beatificati dalla Chiesa, solo che la loro ricorrenza cade nel giorno della fondazione della Repubblica popolare maoista. Da qui, gli screzi col Vaticano per quelli che i comunisti considerano banditi. Infatti, non pochi cristiani cinesi si organizzarono e resistettero con le armi ai boxers i quali massacravano indiscriminatamente anche i bambini.

Circa duecento i missionari europei che ci lasciarono le penne prima che una spedizione congiunta delle potenze occidentali (anche l’Italia) riportasse la situazione sotto controllo. Ovviamente, non certo per salvare i cristiani, bensì i loro interessi economici in Cina. Cioè, il regime di “concessioni” che il Celeste Impero aveva dovuto “concedere” con una pistola puntata alla tempia.

I Boxers erano così chiamati dagli inglesi (i primi ad entrare in Cina a mano armata) per una approssimativa traduzione di “Società dei pugni armoniosi” oppure “Pugni della giustizia e della concordia”. Si allenavano continuamente nelle antiche arti marziali, rifiutavano le armi da fuoco, sempre in omaggio alla tradizione.

Portavano abiti azzurri cinti da una fascia rossa e amuleti che, secondo loro, li rendevano invulnerabili. In breve, una enorme banda di fanatici si riversò per la Cina, assolutamente convinti che la decadenza del paese fosse dovuta all’abbandono delle usanze tradizionali, soprattutto – come abbiamo visto – il culto degli antenati.

Imperatore dichiarato pazzo

Ora, anche i vertici governativi avevano un problema. Infatti, regnava la dinastia Manchu che duecento anni prima era venuta da oltre confine. Dunque, straniera pur essa. È tollerata finché le cose erano andate bene. Così, la scaltra Cixi cerco di giocare su due tavoli: ufficialmente condannava i Boxers, ma sottobanco li favoriva. Cixi (non un nome ma un appellativo onorifico) era stata l’unica moglie del defunto imperatore a partorire un maschio. E la Cina poteva avere solo imperatori maschi. Ma il titolare aveva due anni e chi reggeva era lei.

Cresciuto che fu, il figlio provò a riformare la Cina in senso occidentale come aveva fatto il Giappone ma i mandarini di Corte lo fecero dichiarare pazzo e rinchiudere. Al solito: la cultura cinese è superiore a quella dei “barbari”, da cui non abbiamo niente da imparare. Ma il gioco di Cixi durò poco, perché i “barbari” avevano i cannoni e le navi a vapore.

La Francia si era impadronita della confinante Indocina, Gli Stati Uniti delle vicine Filippine, La Russia aveva uno smisurato confine con la Cina. Si aggiungono i soliti inglesi, ai quali interessavano i porti, ma anche Germania, Italia, Giappone e Austria, tenutari di “concessioni”.

La goccia che fece traboccare il vaso fu l’assassinio da parte dei Boxers dell’ambasciatore tedesco e il loro assedio al quartiere delle ambasciate nella Città Proibita. Che durò, appunto, 55 giorni.

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