Addirittura sociologia della baldoria

baldoriail Domenicale. Settimanale di cultura, anno 3, numero 22, 29 maggio 2004

Lo statunitense Randall Collins lo chiama carousing. È la scienza che studia le occupazioni rituali, piacevoli e ostentatamente non produttive. Come l’arte di fumare il sigaro, anzi il “cubano”. Del resto, per il filosofo Josef Pieper è l’otium la radice della cultura

di Massimo Introvigne

 

A woman is only a woman; but a good Cigar is a Smoke

Rudyard Kipling (1865-1936), The Betrothed (1888)

La sociologia del tabacco non è una disciplina nuova, ma i suoi cultori affrontano oggi principalmente il tema macro-sociologico dei movimenti contro il fumo e del loro improvviso successo nell’ultimo decennio del secolo XX, dopo qualche secolo di fallimenti.

Negli stessi Stati Uniti del proibizionismo, le leghe per la temperanza, che inizialmente si proponevano di lottare sia contro l’alcol sia contro il fumo, dovettero rapidamente rinunciare al secondo obiettivo per non compromettere anche il primo. Naturalmente un militante anti-fumo ci dirà che il suo movimento “finalmente” ha successo perché “ha ragione”.

Ma questa spiegazione non può bastare alle scienze sociali che quando indagano, per esempio, sul diffondersi di una religione non si fermano all’opinione dei fedeli secondo cui il successo deriva dal fatto che “la religione è vera” o che “Dio è con noi”. A poco di più equivale l’argomento secondo cui il movimento anti-fumo basa il suo successo su una solida letteratura medica.

Senza volere promuovere un dibattito con il ministro Sirchia o con altri su quanto in questa letteratura (specie in tema di fumo passivo) vi sia di esagerato – e dopo avere rilevato, di passaggio, che molti degli argomenti medici si applicano alle sigarette ma non ai sigari – il sociologo, per natura sospettoso, si interroga su perché una mobilitazione delle risorse di questo tipo abbia successo in un determinato contesto storico e non in altri.

David Wagner, nel suo studio sulla “nuova temperanza”, risponde che la crociata anti-tabacco corrisponde alla prevalenza economica e demografica della classe media, che almeno negli Stati Uniti fuma meno e considera il fumo parte del capitale simbolico delle classi alte (i sigari) o basse (le sigarette).

Ma soprattutto che il motivo medico sia prevalente è messo in dubbio dal fatto che quella anti-fumo è una causa percepita come progressista o liberal, che identifica come avversari le multinazionali e la pubblicità. Molti fra coloro che lottano contro il fumo sono nello stesso tempo anti-proibizionisti in materia di droga. Se si trattasse solo di medicina, considerare il tabacco più nocivo delle droghe sarebbe assurdo.

Viceversa, in molti la droga evoca ancora l’immagine di una cultura alternativa, degli hippie e della trasgressione alle regole del mercato capitalista, di cui invece le multinazionali del fumo e della pubblicità sono viste come la quintessenza. La “nuova temperanza” è del resto un’ideologia statalista a forti tinte socialiste, che vuole punire il capitalista ed emarginare chi non è politicamente corretto: oggi il fumatore (e le multinazionali del tabacco), domani (ma la battaglia è già cominciata, e la promuovono le stesse persone) chi mangia troppo, non segue i consigli dei dietologi e finanzia le multinazionali del fast food. Il nuovo socialismo non si accontenta di controllare il mercato ma vuole estendere il controllo al corpo umano, vecchio sogno di ogni utopista.

Quando i rituali vanno in fumo

Fin qui la prospettiva macro-sociologica. Ma quando un autore noto per i suoi studi in tema di esoterismo, minoranze religiose, New Age, terrorismo – e la lista non è completa – decide di dedicare il suo tempo a una guida enciclopedica e definitiva del sigaro cubano, si tratta già di un avvenimento culturale. Habanos. Guida completa al sigaro cubano di Pier Luigi Zoccatelli (Giunti 2004) è appunto un’enciclopedia.

Dopo una panoramica generale sui sigari e la loro cultura, per ogni tipo è offerta una scheda che comprende fotografia, dimensioni, recensione, voto e prezzo. Nessun appassionato di sigari potrebbe ragionevolmente chiedere di più.

Il problema che intendo affrontare in questa sede è diverso. Vorrei spiegare perché il libro è importante, dovrebbe essere letto, e offre lo spunto per riflessioni di qualche pondo anche a chi, come il sottoscritto, non è fumatore e ha interessi che si situano principalmente sul versante della sociologia.

Per una bella coincidenza, il libro di Zoccatelli esce insieme a un corposo (oltre quattrocento pagine) trattato di micro-sociologia del massimo esponente mondiale di questa disciplina, Randall Collins (Interaction Ritual Chains, Princeton University Press, 2004), il quale tra l’altro raccomanda di impostare una sociologia del tabacco, e in particolare del sigaro, in termini specificamente micro-sociologici, e lamenta che nessuno si sia finora messo all’opera in questo senso. Il cuore della micro-sociologia (che riprende categorie di uno dei padri della sociologia, Émile Durkheim [1858-1917]) è la nozione di rituale della vita quotidiana.

Dal salutarsi al chiedersi “Come sta?” e al conversare prendendo un caffè – passando per tutte le attività che si riferiscono all’amore e alla sessualità, centrali nelle analisi di Randall Collins – la vita è piena di rituali, che non ci rendiamo conto di compiere, proprio come il borghese di Molière non si rendeva conto di stare facendo della prosa ogni volta che parlava (dal momento che non parlava in poesia).

I rituali riusciti creano energia emotiva (l’“effervescenza collettiva” di cui parlava Durkheim), quelli falliti la sottraggono ai partecipanti

I rituali hanno però anche un altro effetto. Creano, confermano e rafforzano le gerarchie, che (piaccia o no) sono onnipresenti in ogni tipo di società umana. La micro-sociologia distingue fra gerarchie situazionali e strutturali. Le gerarchie strutturali corrispondono a rapporti permanenti: fra ricchi e poveri, dirigenti e subordinati, padri e figli, e così via.

Le gerarchie situazionali, più sottili ma non meno importanti, nascono dai rituali dell’interazione sociale quotidiana in cui qualcuno si mette in luce e diventa il centro di una conversazione o di un ricevimento, mentre altri fanno brutta figura o “fanno tappezzeria”; o a scuola – nell’esempio di Randall Collins – qualcuno è considerato simpatico e brillante e qualcun altro noioso. Il secondo può essere il “secchione” sempre promosso a pieni voti, ma la sua teorica preminenza gerarchica strutturale è in pratica rovesciata dalla gerarchia situazionale: sarà pure il primo della classe, ma gli altri lo considerano più un rompiscatole che un capo.

Tutto questo, ci assicura Randall Collins, c’entra moltissimo con i sigari. Il sociologo americano pensa (e qui Zoccatelli non sarà forse d’accordo) che la capacità del sigaro di creare energia emotiva sia interamente il frutto di una costruzione sociale e di un “significato durkheimiano al grado più alto della scala”. Secondo Collins. “la parte migliore del fumare il sigaro vene prima: scegliere, mostrare, offrire, annusare, tenere in mano il sigaro spento; segue l’elaborato rituale dell’accensione”. In seguito “l’esperienza va decrescendo: l’odore del sigaro peggiora rapidamente a mano a mano che lo si fuma”.

Citando un altro padre della micro-sociologia, Erving Goffman (1922-1982), Collins ritiene che fumare il sigaro sia tipicamente una “attività dello scenario”, dove quello che appare produce effetti più importanti della realtà: “ci sono seri indizi che nel fumo del sigaro il rituale è un elemento di attrazione più forte dell’esperienza fisica in se stessa”.

Il buonumore è un’arte. E una virtù

Senza entrare nel dibattito tecnico, rileviamo che il rituale del sigaro è una forte affermazione – per riassumere in breve un ragionamento che Collins articola nell’arco di parecchie pagine – sia di gerarchie strutturali (il sigaro, specie quello costoso, è un emblema delle classi alte, di uomini che in gran parte dal rituale del sigaro escludono le donne – anche se oggi non mancano le eccezioni –, di persone potenti per cui si tratta di uno status symbol), sia di gerarchie situazionali.

Sono queste ultime a interessare particolarmente Collins, che da anni si interessa alla sociologia del carousing, un’espressione che si potrebbe tradurre in italiano come “sociologia della baldoria”. “Fare baldoria”, cioè dedicarsi a occupazioni rituali, piacevoli e ostentatamente non produttive, è un’attività tipica di certe cerchie sociali, che in genere – e qui il pensiero corre alle citate osservazioni macro-sociologiche di Wagner sui movimenti anti-fumo – non fanno parte delle classi medie.

“Fanno baldoria” i poveri e lo fanno i ricchi, o coloro che fanno parte di cerchie di élite non necessariamente economiche, per esempio gli studenti di un certo tipo o gli intellettuali. In entrambi i casi, la baldoria ha un elemento trasgressivo che ha implicazioni almeno implicite di carattere sessuale, il che suscita l’avversione dei vari paladini della temperanza.

La baldoria crea gerarchie situazionali: nell’esempio della scuola, il “secchione” non è capace di fare baldoria, e questo lo rende ulteriormente impopolare. Ma nel caso della baldoria di élite si tratta anche di “rituali di eleganza”, in cui alcuni si manifestano come portatori di un capitale culturale radicato in una tradizione, non necessariamente collegato alla ricchezza economica, e non aperto a tutti. Fumare il sigaro – e un sigaro di qualità – rientra nella “sociologia della baldoria” di Collins come “rituale di eleganza” fra i più tipici.

La baldoria è avversata da molti in nome, per esempio, di etiche centrate sul lavoro o sulla produttività, o di un odio per le attività non direttamente utilitarie. L’alta tecnologia e l’informatica hanno anche dato più potere ai primi della classe abituati ad astenersi dalla baldoria e a stare a casa a studiare i computer: è la rivolta dei nerd, la “rivincita dei secchioni” di cui hanno parlato diversi studi americani. Finché l’eleganza è stata ritenuta un valore, i relativi rituali sono stati protetti dagli assalti di questi nemici.

Quando invece l’apprezzamento per l’eleganza è stato sostituito da un culto dello stile casual, sono cadute le barriere di protezione anche per questi rituali. Di qui l’attacco alla baldoria rappresentata dal fumo, e la campagna che ha coinvolto anche la cultura del sigaro. Quest’ultima però, nota Collins, sta mostrando una capacità di reagire ignota alla più plebea baldoria delle sigarette.

Il libro di Zoccatelli è più che un esempio: è un veicolo di questa reazione. Lasciando aperto il dibattito medico e de gustibus sul fumo e sui sigari, chi pensa che i rituali di eleganza abbiano un ruolo nel conservare tradizioni sociali, e anche forme di baldoria, necessarie perché la vita non si riduca a un puro continuum di produzione e scambio economico, non potrà che apprezzare il gesto del nostro autore. Egli dà un contributo perché i rituali mantengano la loro forza creativa in genere: e senza rituali, come già insegnava Durkheim, la società non può veramente sopravvivere.