L’eros anarchico e l’ideologia nichilista del Sessantotto. A proposito delle recenti “Note“ di Benedetto XVI

Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa

Newsletter n.994 del 16 Aprile 2019

don Samuele Cecotti

Papa Benedetto XVI, nelle sue Note scritte a favore di papa Francesco e dei presidenti delle Conferenze Episcopali riuniti in Vaticano per affrontare lo scandalo pedofilia nella Chiesa e ora pubblicate, individua nella Contestazione Sessantottesca una vera e propria rivoluzione affermatasi tanto nel mondo (occidentale) quanto nella Chiesa.

Come Osservatorio abbiamo dedicato al ’68 il numero 3 (2108) del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” [leggi] partendo proprio dal riconoscimento della natura rivoluzionaria della Contestazione e sviluppando una attenta analisi circa gli esiti socio-politici di tale rivoluzione nichilista.

Di tale rivoluzione il Papa emerito sottolinea soprattutto il carattere di rivoluzione sessuale, di rivoluzione dei costumi. Nello scritto di Benedetto XVI il ‘68 appare principalmente come una sconvolgente ribellione all’ordine morale e una generale “liberazione sessuale”.

In effetti la cifra più tipica della Contestazione fu la sintesi tra marxismo, freudismo e liberal-radicalismo in un esito nichilistico in cui alla dimensione destruens liberazionista tesa ad abbattere ogni ordine si associava un dionisismo pansessualista capace, nel suo estremo vitalismo, di dare un volto esuberante al nulla tendenziale della liberazione radical-nichilista.

Contestato ogni ordine e ogni fine, negato all’uomo ogni ordine finalistico per il quale vivere e sul quale misurare il proprio vivere, non resta che il vitalismo delle pulsioni esaltato e celebrato nell’ideale esistenzialistico dell’autenticità. In fondo l’uomo, animale razionale, esce dal Sessantotto ridotto ad animale concupiscente.

Persino l’io ne esce distrutto, proprio quella soggettività per la quale la modernità aveva innalzato tante pretese viene travolta dall’ultima rivoluzione della modernità. L’uomo non è più compos sui, dominus di se stesso, capace di governarsi secondo ragione e dunque tenuto (responsabile moralmente – e dunque giuridicamente – dei propri atti liberi) a vivere secondo ragione.

L’uomo è disgregato, ridotto a un fascio di pulsioni fenomenologicamente (non ontologicamente) unificate in un precario equilibrio dinamico che convenzionalmente possiamo chiamare “io” o “persona”. Un simile uomo sarà, di tutta evidenza, incapace di ogni sforzo ascetico, incapace pure d’una vera vita morale, anzi, accolte simili premesse, la pretesa morale e ascetica saranno giudicate non solo impossibili a realizzarsi, dunque illusorie, ma più coerentemente rifiutate come violenza sull’uomo, come inumane.

Si tratterà, coerentemente, non più di educare l’uomo alla virtù, al dominio di sé, alla tensione finalistica al bene (inteso in ragione di telos) naturale e sovra-naturale ma, piuttosto, di liberare l’uomo da tutto ciò che può rappresentare un ostacolo (esterno o interno) al pieno e totale libero darsi del suo desiderio. Tutto ciò chiamando autenticità, libertà, amore! Anche nelle Note di Benedetto XVI appare come cifra del Sessantotto sia un pansessualismo liberato, un eros libero, molteplice e polimorfo.

In tale autenticità erotica poliforme, slegata ormai da ogni teleologia naturale, l’omosessualità trova più che una giustificazione, diviene modello di sessualità libera da fini naturali, estranea al matrimonio e alla famiglia. Così una inclinazione sessuale intrinsecamente disordinata (cfr. CCC, 2357) diviene modello e paradigma, diviene ideologia. Sono gli anni successivi al ‘68 quelli che vedono il diffondersi in tutto l’Occidente dell’ideologia omosessualista, della così detta cultura gay, il formarsi di una vera e propria istanza rivoluzionaria avente nella omosessualità il proprio specifico.

Dal Gay Liberation Front al Movimento di liberazione omosessuale fondato in Italia da Mario Mieli passando per mille altre esperienze di omosessualismo rivoluzionario in giro per l’Europa e il Nord America. La negazione dell’ordine naturale (in specie riguardo alla sessualità) non porta solo alla celebrazione dell’omosessualità ma pure alla legittimazione di tutte quelle devianze sino allora riprovate: pratiche orgiastiche, travestitismo, pederastia, incesto sono considerate pratiche liberatorie il cui tabù va abbattuto.

Mario Mieli

Scrive papa Benedetto XVI: «Della fisionomia della Rivoluzione del 1968 fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente. Quantomeno per i giovani nella Chiesa, ma non solo per loro, questo fu per molti versi un tempo molto difficile» e affinché non sembri un giudizio eccessivo lasciamo la parola a Mario Mieli, fondatore del movimento omosessualista in Italia e vero guru della cultura gay figlia del ‘68, che in Elementi di critica omosessuale del 1977 scrive: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l’Edipo, o il futuro Edipo, bensì l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica.. La società repressiva eterosessuale costringe il bambino al periodo di latenza; ma il periodo di latenza non è che l’introduzione mortifera all’ergastolo di una «vita» latente. La pederastia, invece, «è una freccia di libidine scagliata verso il feto» (Francesco Ascoli)» (M. Mieli, Elementi di critica omosessuale, a cura di Gianni Rossi Barilli e Paola Mieli, Feltrinelli, Milano, 2002, p. 62.

In nota 88, sempre a p. 62, Mieli precisa: «Per pederastia intendo il desiderio erotico degli adulti per i bambini (di entrambi i sessi) e i rapporti sessuali tra adulti e bambini. Pederastia (in senso proprio) e pedofilia vengono comunemente usati come sinonimi»).

Mario Mieli può essere considerato uno dei più completi ideologi della rivoluzione post-moderna e, al contempo, un prodotto paradigmatico della Contestazione. In lui le istanze e l’immaginazione del Sessantotto giungono ad un grado di coerenza difficilmente eguagliabile, in lui il Sessantotto vive integralmente in tutte le sue dimensioni nichilistico-vitaliste rivoluzionarie: marxista, liberazionista, omosessualista, teorico di un transessualismo universale, propone e pratica l’uso di droghe per superare lo stato normale della coscienza, aderisce entusiasta all’antipsichiatria considerando la follia come condizione superiore e collegandola all’omosessualità – «La paura dell’omosessualità che distingue l’homo normalis è anche terrore della “follia” (terrore di se stesso, del proprio profondo). Così, la liberazione omosessuale si pone davvero come ponte verso una dimensione decisamente altra: i francesi, che chiamano folles le checche, non esagerano» -, si dedica all’esoterismo, considera ogni pratica sessuale come meritevole di liberazione, anche le più turpi e devianti (pedofilia, necrofilia, zoofilia) – «Nel processo politico di ristrutturazione della società (…) Mieli non esita a includere nel suo elenco di esperienze redentive la pedofilia, la necrofilia e la coprofagia [..] ridefinisce drasticamente il comunismo descrivendolo come riscoperta dei corpi (…) In questa comunicazione alla Bataille di forme materiali, la corporeità umana entra liberamente in relazioni egualitarie multiple con tutti gli esseri della terra, inclusi “i bambini e i nuovi arrivati di ogni tipo, corpi defunti, animali, piante, cose” annullando “democraticamente” ogni differenza non solo tra gli esseri umani ma anche tra le specie» (T. Dean in Appendice a M. Mieli, Elementi di critica omosessuale, a cura di Gianni Rossi Barilli e Paola Mieli, Feltrinelli, Milano, 2002) – morì suicida a Milano nel 1983 dopo un lungo periodo di depressione.

La pedofilia, così come intesa da Mario Mieli, non è atto patologico d’un abusatore è piuttosto atto ideologico espressivo del disconoscimento di ogni ordine morale naturale e dell’affermazione d’un pansessualismo liberato e liberatorio. Sarebbe così un atto di liberazione del bambino “aiutato” dall’adulto pederasta a trovare la propria realizzazione in una «perversità poliforme».

Gli scritti di Mieli appaiono estremi, scioccanti, scandalosi ma non si pensi a tali idee come confinate in circoli marginali. Certo Mieli giunge ad una folle coerenza estranea ai più ma il pansessualismo che ne nutre la prosa è comune ai più che il Sessantotto fanno e del Sessantotto sono figli, anche in ambiente cattolico.

Si consideri solamente il contenuto scandaloso della lettera di don Lorenzo Milani a Giorgio Pecorini dove il priore di Barbiana, vero “profeta” del ’68 cattolico, scrive: «Quei due preti mi domandavano se il mio scopo finale nel fare scuola fosse portarli alla Chiesa o no e cosa altro mi potesse interessare al mondo nel fare scuola se non questo. E io come potevo spiegare a loro così pii e così puliti che io i miei figli li amo, che ho perso la testa per loro, che non vivo che per farli crescere, per farli aprire, per farli sbocciare, per farli fruttare? Come facevo a spiegare che amo i miei parrocchiani più che la Chiesa e il Papa? E so che se un rischio corro per l’anima mia non è certo di aver poco amato, piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!)»

E ancora: «E chi potrà amare i ragazzi fino all’osso senza finire di metterglielo anche in culo, se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno?» (in G. Pecorini, Don Milani! Chi era costui?, Baldini e Castoldi, 1996, pp. 386-391).

Don Milani speriamo amasse Dio e temesse l’inferno, chi però è convinto l’inferno non esista o sia vuoto …

Ecco perché Benedetto XVI, per affrontare lo scandalo pedofilia, parla del Sessantotto, della rivoluzione sessuale, dell’omosessualità nei seminari («In diversi seminari si formarono club omosessuali») e della pornografia («Un vescovo, che in precedenza era stato rettore, aveva mostrato ai seminaristi film pornografici»), non perché ogni sessantottino sessualmente libero pratichi l’omosessualità e tanto meno la pedofilia o perché si dia identità tra omosessualità e pedofilia ma perché la pedofilia oggi, nella post-modernità, è molto più che il crimine compiuto da un malato psichiatrico, è espressione estrema d’un eros anarchico, dentro uno schema ideologico nichilistico.

Gli abusi a danno di bambini, crimine orrendo e peccato abominevole, ci sono sempre stati in ogni epoca ma il proprio della nostra è il quadro ideologico pansessualista e negatore di ogni ordine morale oggettivo in cui si collocano. Così se si vuole seriamente affrontare il problema non si può restare alla semplice condanna del crimine o alla sua trattazione psichiatrica, si deve piuttosto considerare il collasso morale che, come scrive Benedetto XVI, ha investito l’Occidente e, ancor più acutamente, risalire alle premesse filosofico-ideologiche di tale collasso.

Ecco perché Benedetto XVI denuncia l’abbandono del giusnaturalismo ovvero il rifiuto di un ordine morale-giuridico naturale riconosciuto dalla ragione e normativo sempre, ovunque e per ogni uomo. Qui il Papa emerito tocca il cuore del problema. L’Occidente contemporaneo, nella sua cultura prevalente e nelle sue istituzioni giuridico-politiche, nega la legge naturale, l’esistenza/conoscibilità stessa di un ordine di giustizia precedente ogni ordinamento giuridico perché naturale e non positivo.

È l’idea stessa di una norma morale oggettiva, razionale, fondata nell’essere e non sull’opinione/opzione. La Chiesa da secoli va denunciando la natura nichilista della modernità (ora inveratasi nella post-modernità) e mentre denuncia e condanna, la Santa Madre Chiesa insegna la verità sull’uomo e sulla società, sulla morale e sul diritto. I grandi documenti del Magistero anti-moderno dei Papi degli ultimi tre secoli sono lì a dimostrarlo così come il costante insegnamento giusnaturalista del Magistero (tra i Papi del ‘900 si vedano, in particolare, gli insegnamenti di Pio XII e Giovanni Paolo II).

Eppure oggi, e non da oggi ma da almeno mezzo secolo, la Chiesa patisce quello stesso collasso morale che segna la contemporaneità occidentale. Benedetto XVI, nelle sue Note, non lo tace anzi lo denuncia e ne individua la causa nella nuova teologia morale affermatasi negli anni ’60, quella stessa nuova teologia morale che fece parlare padre Cornelio Fabro di “pornoteologi”.

E questa nuova teologia morale cosa è se non la ricezione in ambiente teologico della filosofia novecentesca, a partire proprio dal misconoscimento dell’oggettività e dell’ordine naturale universalmente normativo. Il rapporto tra Sessantotto e Cattolicesimo è complesso. Se considerate le essenze non vi è che opposizione per contraddizione.

Tuttavia storicamente il Sessantotto si è alimentato di un certo “cattolicesimo” e così pure un certo “cattolicesimo” si è alimentato di Sessantotto. E poi il Sessantotto ha imposto la propria agenda ideologica non solo all’Occidente mondano ma pure dentro la Chiesa, come amaramente denuncia Benedetto XVI, per errori di vigilanza ma anche perché la struttura del pensiero cattolico era da tempo corrosa e porosa alla modernità assiologica. Scrive Benedetto XVI: «Indipendentemente da questo sviluppo, nello stesso periodo si è verificato un collasso della teologia morale cattolica che ha reso inerme la Chiesa di fronte a quei processi nella società».

Oggi dentro e fuori la Chiesa sembra aver vinto la rivoluzione sessantottesca: «Il processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale, da lungo tempo preparato e che è in corso, negli anni ’60, come ho cercato di mostrare, ha conosciuto una radicalità come mai c’era stata prima di allora».

E l’esito è un generale collasso morale! Benedetto XVI, con queste sue Note, colloca i crimini di pedofilia (così come lo scandalo dell’omosessualità nei seminari e tra i preti e il generale degrado dei costumi del clero) nel quadro della crisi sistemica dell’Occidente, in quello che definisce collasso morale. Una crisi senza precedenti che sconvolge e travolge la stessa Chiesa.

Le Note di Benedetto XVI sono occasionate dalla riunione vaticana sulla questione degli abusi sui minori ma certo offrono motivi di riflessione ben più ampi. A partire proprio dalla considerazione del ’68 e della rivoluzione compiutasi in tutto l’Occidente. Nella prospettiva della Dottrina sociale della Chiesa è capitale il recupero della nozione classica di diritto naturale, la riaffermazione della capacità della ragione umana di conoscere con certezza la norma impressa dal Creatore, l’oggettività della morale (e dunque del diritto), il dovere per l’uomo di agire secondo la propria natura razionale.

Solo in questo quadro è possibile una società ordinata e dunque pacifica, una res publica finalizzata al bene comune, un vivere veramente umano e dunque aperto alla luce sovra-naturale di Cristo. L’ambito della sessualità può essere considerato come cartina di tornasole dell’intero orizzonte etico-giuridico-culturale della società post-moderna figlia del ‘68 così che se il pansessualismo a-morale (nella concezione) e immorale (nei fatti) odierno è sintomo di una Weltanschauung nichilista, solo la riscoperta e la riaffermazione, forte e chiara (nel mondo e nella Chiesa), dell’ordine naturale della sessualità, della inseparabile finalità procreativa dell’atto sessuale, della sua naturale dimensione sponsale (dunque della liceità dell’atto sessuale solo tra coniugi), della vera natura del matrimonio (eterosessuale, monogamico, indissolubile, aperto alla vita) segnerà l’inizio della guarigione da quel collasso morale denunciato da Benedetto XVI.

Per fare ciò, però, è indispensabile la confutazione della modernità filosofica che di quel collasso è intellettuale premessa, più o meno remota, e il ritorno alla filosofia dell’essere, al realismo gnoseologico e metafisico classico-cristiano di cui san Tommaso d’Aquino è Maestro (come Leone XIII, con l’Aeterni Patris, e Giovanni Paolo II, con la Fides et ratio, insegnano).

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