Il rapido invecchiamento della Cina

Aleteia 23 Agosto 2918

Il fenomeno costituisce una sfida per il sistema pensionistico di Pechino

di Paul De Maeyer

Fanno sempre impressione le foto che mostrano il tasso di inquinamento dell’aria in alcune metropoli cinesi (o altrove nel mondo), con un cielo “grigio grigio” e una fitta cappa di smog che avvolge tutto, effetto di concentrazioni troppo elevate di polveri sottili dannose.

Anche se la situazione è migliorata negli ultimi anni, i livelli sono ancora superiori ai limiti stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o WHO, dall’inglese World Health Organization). A Hong Kong, alcuni anni fa, hanno persino installato dei grandi cartelloni o tele, con i panorami più famosi della città, fotografati rigorosamente col cielo blu.

Alle autorità cinesi preoccupa però anche un altro grigio, cioè quello dei capelli di un numero in continuo aumento dei suoi cittadini. Il Paese più popoloso al mondo — la Cina conta oggi circa 1,4 miliardi di abitanti — deve infatti vedersela con una curva demografica sempre più sfavorevole, frutto dell’invecchiamento della sua popolazione.

Alcuni dati

Come spiega il sito Business Standard in un articolo pubblicato il 20 agosto, quasi un quinto della popolazione cinese, cioè il 17,3%, ossia circa 241 milioni di cittadini, hanno ormai raggiunto o superato la soglia dei 60 anni. A fornire questi dati è stato il ministero degli Affari Civili a Pechino, così rivela la fonte indiana.

Più preoccupante ancora è il fatto che nel corso dei prossimi decenni la popolazione della Cina continuerà a invecchiare. Secondo le stime della Commissione di Lavoro Nazionale sull’Invecchiamento (National Working Commission on Aging) [1], questo numero è destinato a salire a quasi mezzo miliardo, ossia 487 milioni di cittadini, cioè il 34,9% della popolazione, entro il 2050.

Tutto questo significa e conferma che la Cina appartiene ormai al gruppo di Paesi definiti Ageing society (un termine più corretto sarebbe Ageing population). Come ricorda il Business Standard, si parla di Ageing society quando la quota di abitanti della fascia di età dai 60 anni in su raggiunge o supera in una Nazione o regione il 10% della popolazione totale.

Le varie cause

Tra le cause di questo invecchiamento spicca in primo luogo un aumento significativo dell’aspettativa di vita della popolazione cinese. Secondo i dati della Banca Mondiale, essa è salita da 66 anni nel 1979 a più di 76 anni nel 2017, effetto del progresso della scienza medica in generale e del miglioramento dell’assistenza medica nell’enorme Paese, a sua volta frutto dello sviluppo economico della Cina.

Un secondo elemento di spiegazione sono le conseguenze della “politica del figlio unico” o One Child Policy, introdotta alla fine degli anni ‘70 del XX secolo da Deng Xiaoping con l’obiettivo di contrastare l’aumento della popolazione cinese. Questa decisione non solo ha contribuito a frenare la crescita demografica della Cina — la popolazione era aumentata vertiginosamente da 540 milioni nel 1949 a 970 milioni nel 1979 — ma ha provocato anche uno squilibrio tra i sessi.

Come le coppie indiane, anche quelle cinesi prediligono il figlio maschio e tendono a far eliminare gli embrioni del sesso “sbagliato”, cioè femminile. Secondo le stime dei demografi John Bongaarts e Christophe Guilmoto, mancano all’appello nel Paese oltre 60 milioni di donne e bambine, ricorda l’Economist. Mentre il Global Gender Ratio Rate è di 101 maschi ogni 100 donne, in Cina ci sono oggi 106 maschi per ogni 100 donne.

Questo quadro spiega perché Pechino ha deciso nel 2015 di abolire la One Child Policy, sostituendola nel 2016 con una politica detta “dei due figli”. Ma nonostante un aumento delle nascite nel 2016, queste sono scese nuovamente nel 2017 del 3,5% rispetto all’anno precedente, cioè da 18,5 milioni a 17,2 milioni (un calo quindi di 1,3 milioni), spiega il South China Morning Post. Sul numero delle nascite pesano fattori come i costi diretti di mantenimento e crescita di un figlio, che risultano molto elevati nelle grandi città, e anche i timori delle donne per la propria carriera, spiega Matthias Stepan sulla Neue Zürcher Zeitung.

Le sfide pensionistiche

L’invecchiamento della popolazione costituisce anche un rompicapo per le casse dello Stato. Infatti, come rivelano gli ultimi dati messi a disposizione dal ministero delle Finanze, nel 2016 le spese pensionistiche sono aumentate dell’11,6% a 2,58 trilioni di yuan (quasi 410 miliardi di dollari) — scrive il South China Morning Post —, costringendo Pechino ad affrontare un disavanzo di 429,1 miliardi di yuan.

Senza riforme, questo deficit salirà quest’anno a 600 miliardi di yuan e nel 2020 a 890 miliardi di yuan, avverte Wang Dehua sul SCMP. Secondo il ricercatore della National Academy of Economic Strategy a Pechino, “il più grande rischio fiscale della Cina è il rischio pensionistico”. Preoccupato è anche Liu Shangxi, direttore dell’Academy of Fiscal Sciences, il quale teme che il disavanzo sia destinato ad “aumentare rapidamente” dopo il 2020.

Nel novembre scorso, la Cina ha del resto avviato un programma pilota, il quale prevede il trasferimento di risorse statali ai fondi pensionistici per coprire eventuali ammanchi o squilibri nel sistema previdenziale. Ad annunciare l’iniziativa è stato il governo centrale popolare o Consiglio di Stato, così riferisce sempre il SCMP.

La “vecchia” Europa

Anche i sistemi pensionistici dei Paesi europei sono alle prese con l’impatto di una popolazione sempre più longeva da un lato e di un calo della fertilità dall’altro. I dati contenuti nel 2018 Ageing Report confermano infatti che la popolazione dell’Unione Europa diventerà nei prossimi decenni “sempre più grigia”.

“Si prevede che la popolazione totale nell’UE aumenti da 511 milioni nel 2016 a 520 milioni nel 2070 — continua il rapporto –, ma la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) diminuirà in modo significativo da 333 milioni nel 2016 a 292 milioni nel 2070 a causa della fertilità, dell’aspettativa di vita e delle dinamiche del flusso migratorio.”

Il fenomeno dell’Ageing spiega anche perché la cosiddetta Silver Economy, cioè quella dei prodotti e servizi destinati agli anziani, sia oggi la “terza economia” a livello globale. Nel 2014 essa rappresentava un valore di circa 7.000 miliardi di dollari, una cifra che secondo le previsioni dovrebbe raggiungere quota 15.000 miliardi nel 2020, cioè più del doppio, ha ricordato La Repubblica nel maggio scorso.

Come spiega a sua volta Federica Addabbo, che nel febbraio scorso ha firmato un numero del settimanale Focus del Servizio Studi del gruppo BNL (Banca Nazionale del Lavoro) dedicato al tema della Transizione demografica e sistema previdenziale nei paesi UE, l’invecchiamento della popolazione europea viene confermato da “un aumento significativo” del tasso di dipendenza degli anziani.

La riforma dei sistemi pensionistici

Infatti, così continua l’economista, che si basa sulle previsioni dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), “se nel 1975 per ogni over 65 c’erano 5 persone in età lavorativa nel 2050 ci saranno poco meno di due persone in età lavorativa per ogni anziano”.

Di fronte a questa enorme sfida, già negli anni ‘90 del secolo scorso alcuni Paesi europei hanno avviato delle riforme strutturali dei loro rispettivi sistemi pensionistici, tra cui anche l’Italia, passando ad esempio dal metodo definito “retributivo” a quello “contributivo nozionale” o NDC (da Notional Defined Contribution) ed incoraggiando (o persino rendendo obbligatorio, come nel caso dell’Austria) il ricorso a forme o fonti pensionistiche integrative private.

Nel frattempo, continua Federica Addabbo, per garantire la “sostenibilità finanziaria” quasi tutti i Paesi membri dell’UE hanno innalzato l’età pensionabile, che del resto è destinata a crescere ulteriormente. E’ previsto un innalzamento della media europea dal 2008 al 2070 da 64 anni a 67,4 per gli uomini e da 62 anni a 67,1 per le donne, riducendo in questo modo quasi completamente il gap o divario di genere, ricorda l’autrice.

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1] Aging è inglese americano. Invece si scrive Ageing in inglese britannico.