R.E. Maya: il sonno della verità genera mostri

arresto_Speranza

L’arresto di Danilo Speranza

cesnur.org – 16 marzo 2010

di Massimo Introvigne

L’arresto a Roma con gravi accuse di abusi sessuali anche su bambine di dieci anni del fondatore del movimento religioso R.E: Maya, Omar Danilo Speranza, personaggio controverso e che aveva avuto il suo momento di gloria come dirigente di una piccola ma attiva organizzazione musulmana romana, non è un caso isolato, e offre l’occasione per tre ordini di considerazioni.

Anzitutto, in un momento in cui la stampa è piena di accuse, vere e false, nei confronti della Chiesa Cattolica per gli episodi di pedofilia, il caso R.E. Maya mette l’opinione pubblica italiana di fronte a un dato noto agli specialisti ma forse non al grande pubblico: il rischio di abusi sessuali non è più forte nella Chiesa Cattolica che altrove.

Al contrario, come dimostrano gli studi di Philip Jenkins, questi abusi nelle organizzazioni religiose diverse dalla Chiesa Cattolica sono da due a dieci volte più frequenti a seconda del tipo di organizzazioni. E c’è anche una ragione sociologica per questo: per quanto i controlli nella Chiesa Cattolica non abbiano sempre funzionato, almeno dei sistemi di controllo esistono, mentre non è così per una miriade di gruppi e gruppuscoli che sfuggono facilmente a ogni sorveglianza.

In secondo luogo, gruppi come R.E. Maya richiamano l’attenzione sul fatto che oggi esiste una seconda generazione di nuovi movimenti religiosi, quelli che con espressione meno tecnica e meno accettata, per la difficoltà di definirla, dagli studiosi accademici sono spesso chiamati “sette”.

Le “sette” di prima generazione mantenevano molte caratteristiche sociali delle religioni tradizionali: avevano una struttura e dottrine precise e conservavano riferimenti a universi simbolici e religiosi tratti o dal cristianesimo o dalle religioni orientali.

Nella seconda generazione di “sette”, di cui R.E. Maya è un esempio, tutto questo è sparito, sostituito dai soli rapporti personali con il capo e da vaghi sincretismi dove l’emozione sostituisce la dottrina. Non tutti i gruppi di seconda generazione sono criminali ma i rischi di derive pericolose si moltiplicano, perché aumenta la “dissonanza cognitiva” fra i movimenti e società abituate ad altre forme di religione.

L’aumento di questa dissonanza favorisce la nascita di ambienti particolarmente chiusi, ghetti auto-costruiti dove la separatezza dalla società fa ruotare ogni gruppo esclusivamente su se stesso e sul proprio leader, con il rischio che l’esperienza diventi soffocante e malsana, o peggio sia sfruttata a proprio profitto da truffatori e criminali.

In terzo luogo, la tolleranza e la simpatia di cui personaggi come Speranza, da anni chiacchierato, sono riusciti a beneficiare nasce ultimamente dal relativismo, tanto spesso denunciato da Benedetto XVI, per cui tutte le religioni sono uguali e non ci sono criteri che permettano di dire che un’esperienza che si presenta come religiosa è autentica e positiva mentre un’altra è falsa e dannosa.

Anche la “lotta alle sette” è una bandiera che spesso non funziona, perché fa di ogni erba un fascio e non riesce a distinguere i gruppi effettivamente criminali da quelli dottrinalmente eterodossi e discutibili ma che non violano le norme del diritto comune. Questo relativismo e questo sonno della verità che produce mostri vanno combattuti anzitutto sul piano educativo e culturale.

Allo Stato laico moderno, per definizione non competente in fatto di religioni, non possiamo chiedere di giocare la partita della verità religiosa ma soltanto di fare l’arbitro. Come dimostra il caso R.E. Maya, è importante però che l’arbitro quando è necessario fischi.