Riflessioni di mons. Paolo Benotto su orientamenti pastorali

Paolo_BenottoRassegna Stampa

Pubblichiamo l’intervento dell’Arcivescovo di Pisa in occasione del ritiro con le associazioni della diocesi. Pur trattandosi di un evento circoscritto ad un ambito locale ci sembra tuttavia significativo, poichè testimonia una ulteriore apertura nei confronti di realtà, quelle dei movimenti,  estremamente preziose per la vita della Chiesa

RITIRO DIOCESANO 26 SETTEMBRE 2009
RIFLESSIONE MONS. G.PAOLO BENOTTO SU ORIENTAMENTI PASTORALI

Ritengo significativo il fatto che ci si incontri (tra il vescovo e la consulta delle aggregazioni laicali) proprio nella data della dedicazione della nostra Cattedrale, cattedrale che è il segno dell’unità di una chiesa particolare. E’ il centro, è il punto di riferimento visibile di una stessa chiesa, la CHIESA MADRE di tutte le altre chiese della diocesi, per cui è una data che sta facendo guardare tutti i cristiani di questa nostra diocesi alla cattedrale, e permette di percepire l’unità della chiesa, la nostra chiesa.

Permette anche di approfondire il senso di appartenenza alla nostra chiesa, in un tempo in cui l’appartenenza sembra diventare sempre più fragile, fragilità di appartenenza alla famiglia, alla parrocchia, anche a quella che è la realtà civile, è ovvio quindi anche fragilità di appartenenza ad una chiesa particolare.

Questo ci può permettere appunto di recuperare il senso di una sola cosa per tutti. Ognuno ha la sua casa, ma c’è una casa che è CASA DI TUTTI, PER TUTTI, e sembra il segno di ciò che si ha nella cattedrale, segno a cui tutti apparteniamo. Viene in mente il Salmo 86 che dice: “Palestina, Tiro ed Etiopia TUTTI LA’ SONO NATI”. Mettiamoci i nomi delle varie aggregazioni, associazioni, movimenti: “Tutti là sono nati”. Tutti nascono dallo stesso seno, che è il seno della chiesa. “Si dirà di Sion: l’uno e l’altro è nato in essa e l’Altissimo la tiene salda”. Il Signore scriverà nel Libro dei Popoli “Là costui è nato” E danzando canteranno: sono in te tutte le mie sorgenti”.

Ecco essere insieme in questo giorno della DEDICAZIONE DELLA CATTEDRALE può significare per ciascuna associazione a cui appartenete proprio il dire di nuovo a se stessi, proclamare di nuovo alla propria consapevolezza “Sono in te tutte le mie sorgenti” intendendo questa nostra chiesa.

L’esperienza di fatto dei gruppi, dei movimenti, delle aggregazioni, sono diverse, però tutti sono nati nell’unica chiesa, tutti sono frutto dell’unico Spirito, in quanto sono riconosciuti tali dalla chiesa stessa, quindi con l’unico fine di rendere gloria a Dio e di servire alla santificazione non soltanto dei membri di ciascun gruppo o movimento, ma di tutta la chiesa. Nessuno deve pensare solo a sé, ma tutti siamo chiamati ad impegnarci a pensare a tutti, nessuno escluso.

Noi stiamo per presentare il nostro Piano Pastorale 2009-2014. Proprio in questo piano c’è un esplicito riferimento alla esperienza laicale dei vari gruppi, movimenti. Vorrei leggere un paio di pagine . Questo piano verrà presentato nel Vicariato a partire dal 7 ottobre per cui vi invito tutti ad essere presenti vicariato per vicariato alla consegna del piano. Volutamente non ve lo consegno adesso perché essere chiesa significa essere chiesa insieme a tutti gli altri, quindi ciascuno avrà modo di sapere nel suo vicariato quando questo momento avverrà perché possa riceverlo da me insieme a tutti gli altri.

Ho scritto nel Piano Pastorale n. 50 ”E’ stata per me una grande gioia e una forte esperienza di comunione la celebrazione della Lavanda dei piedi del giovedì Santo 2008. Infatti nella nostra Primaziale ho potuto lavare i piedi a dodici rappresentanti di altrettanti gruppi, associazioni e movimenti ecclesiali che partecipano alla Consulta delle Aggregazioni Laicali della nostra diocesi.

Si è trattato di un piccolo segno, ma estremamente forte, del valore delle associazioni ecclesiali alle quali deve essere offerta nuova attenzione, anche per realizzare un dialogo più attento e valido con il mondo di oggi e per aiutarle a vivere con maggiore intensità l’esperienza di appartenenza alla chiesa particolare. Può essere che uno senta l’appartenenza al proprio gruppo, ma non senta, o senta fino ad un certo punto, il senso di appartenenza alla chiesa particolare.

Un più intimo rapporto con la diocesi e con le parrocchie non può che favorire quello scambio di doni spirituali di cui si sente grande bisogno, perché i carismi che lo Spirito Santo suscita nella chiesa non vengano mortificati e, insieme, associazioni e movimenti non abbiano a rischiare di porsi ai margine del vivere ecclesiale. C’è da una parte la valorizzazione di ciascun carisma, dall’altra la ormai necessaria complementarietà e integrazione con tutti gli altri, anche quelli istituzionali. Anche la parrocchia è un carisma, ma ce lo dimentichiamo. Non è soltanto una figura istituzionale.

Come ha sottolineato il Papa nel Suo discorso ecclesiale di Roma fatto nel giugno, ringraziando il Signore per la presenza di queste realtà ecclesiali, per la loro vivacità e la loro capacità di inserimento nel vivere odierno, anch’io chiedo loro “di curare sempre che i loro itinerari formativi conducano i membri a maturare un vero senso di appartenenza non soltanto alla chiesa particolare diocesana, ma anche alla comunità parrocchiale che ha al suo centro l’Eucarestia e particolarmente la celebrazione domenicale, è nell’Eucarestia il centro della vita di un cristiano. E’ importante che la celebrazione eucaristica manifesti, comunichi, attraverso i segni sacramentali, la vita divina e riveli agli uomini e alle donne delle nostre città il vero volto della chiesa”.

In che modo allora ci possiamo domandare si realizza questa convergenza degli uni verso gli altri ma anche di un vero cammino di profonda comunione gli uni insieme agli altri in Cristo. Voglio sottolineare il mio motto episcopale OMNIS IN CRISTO UNUS se si toglie IN CRISTO gli OMNIS rimangono tali e l’UNUS non si realizza perché umanamente siamo portati ognuno a valorizzare ciò che porta in sé in Cristo. Se comprendiamo che Cristo è il centro, la fonte di tutto, è ovvio che in lui ci siamo tutti, nessuno escluso, se tutti deriviamo da Lui.

Dunque come far maturare la nostra esperienza di appartenenza all’unica chiesa? Il Piano Pastorale porta sulla copertina una immagine di una barca con delle vele. Questa immagine è tratta da un affresco del Camposanto e raffigura il ritorno di S. Ranieri a Pisa dalla Terra Santa. Che cosa succede in questo viaggio? Viene riportata come contro copertina una lauda del 13/14 secolo, quindi abbastanza vetusta, in onore di S. Ranieri. Dice così:

Gli apparve ancor con gran chiarore spesso la sua divota Vergine Maria e disse che voria che a Pisa tornasse (S. Ranieri è in Terra Santa e la Madonna dice: Voglio che tu torni a Pisa!)

Sicchè quando spirasse si seppellisse in Duomo pisano (La Madonna gli preannuncia che sarà sepolto in Duomo).

Allora Ranieri venne solo alla Marina (costa in Terra Santa – Palestina)

E non vi trovò il legno che lì passasse (non vi erano navi che passavano) Allor davasi pace e la virtù divina gli dimostrò che al quanto aspettasse(Il Signore gli suggeriva di aspettare, di non aver fretta):

Allora un vento trasse e una nave rivolse e S. Ranieri ricolse…(Passa una nave, prende S. Raniero e incomincia a navigare).

La notte fece sonno a quel nicchiere che governava il legno (il nocchiere si addormentò mentre doveva tenere in mano il timone).

Subitamente lo beato Ranieri si pose a poppa e governò il timone e dicendo orazione il vento era diritto e si facea zitto (si fermava).

La notte mille miglia andò lontano da golfi, fossi, pelaghi e gran cave e nessun vento allor andava dietro. Poi al mattin lo padron della nave si vide presso la città di Gaeta (che era successo, in una nottata dalla Palestina a Gaeta?)

La sua mente fu lieta ma pur stupefatta volse saper lo fatto: chi governato avea il timon con mano.

C’è una barca con le vele spiegate, c’è il vento, io penso sia il vento dello Spirito. Sulla nave dormicchiavano tutti e si risvegliano davanti a questo approdo. Probabilmente non era Gaeta ma Messina. A poppa c’è Ranieri. Ho scelto questa immagine perché significa che se mettiamo la santità al timone la nave va diritta e si raggiungono le mete alle quali siamo chiamati.

La nave è la chiesa, al timone la santità. Ecco perché il nostro Piano Pastorale vuol mettere proprio al timone delle nostre chiese l’impegno della santità come misura alta della vita cristiana ordinaria, come ha detto Giovanni Paolo II nella lettera a conclusione del Grande Giubileo del 2000, quando ci fa rileggere il capitolo della Lumen Gentium “la vocazione universale alla santità che è dono da una parte e che insieme è compito, impegno. Infatti nella NMI ci si pone una domanda: “Si può programmare la Santità?” Mettere al centro del Piano Pastorale la santità è possibile? Mi domando io. Se Paolo Giovanni II diceva SI, posso rispondere SI anch’io, ma non tanto per cose da fare, ma proprio per lo spirito che deve animare tutti i componenti della nostra chiesa nella fedeltà all’azione dello Spirito Santo.

Certamente allora questo comporta un impegno ben preciso, l’impegno di partenza, quello di riscoprire il nostro battesimo, il battesimo al centro della nostra attenzione, mentre la santità al centro della nostra programmazione pastorale. Mettere la SANTITA’ al centro della nostra programmazione pastorale significa “esprimere la convinzione che, se il Battesimo è un vero ingresso nella Santità di Dio attraverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione del Suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale” NMI 31.

Tre elementi che insidiano spesso il nostro vivere cristiano: una vita mediocre, non faccio il male, ma quanto bene faccio?, un’etica al minimo e una religiosità superficiale. Allora se mettiamo al centro il battesimo e vogliamo riscoprirlo è ovvio che non possiamo accontentarci di una navigazione sotto costa, c’è bisogno di lasciarci guidare dal vento dello spirito santo e attraversare come la Lauda antica, golfi, fossi, pelaghi e gran cave (che si incontrano nel corso della vita). Al centro quindi l’impegno alla santità nella imitazione di Cristo, riproducendo in noi gli stessi suoi sentimenti, confortati da quello che è stata l’esperienza dei Santi.

Se vogliamo, possiamo mettere al centro della nostra attenzione, non per distogliere lo sguardo da Cristo, ma perché ci siano degli amici che ci conducano a Cristo, mettere sotto ai riflettori la testimonianza dei Santi. San Ranieri (1117-1160) prima di tutto, ecco allora l’inno dedicato a questo santo dal prossimo giugno 2010 al giugno 2011, ma insieme a lui altre due figure di persone sante che sono state generate in qualche modo nel loro cammino di santità dalla chiesa pisana.

Giuseppe Toniolo (1845-1918) e Ludovico Coccapani (1849-1931). Vi faccio notare che sono tre laici. Vorrei proprio che sviluppassimo tutti una riflessione sulla santità laicale. E’ difficile che una diocesi abbia come Patrono un laico. Tante diocesi hanno papi, vescovi, martiri, apostoli, evangelisti, la Vergine Maria. Noi abbiamo questa ventura di un Patrono laico, più un Toniolo del quale speriamo di ottenere presto la beatificazione, e l’altro Coccapani di cui è stato celebrato recentemente il processo di canonizzazione, che esprimono tutti insieme una ricchissima figura di santità laicale.

Queste tre figure vivono tre aspetti diversi del mistero di Cristo. Ranieri indica ad ogni battezzato il cammino della fedeltà, soprattutto come pellegrino sulle orme di Gesù, nella preghiera e nella penitenza. Toniolo nel suo impegno tra famiglia e impegno social-culturale, figura capacissima di parlare anche ai laici di oggi nella carenza di figure cristiane laiche forti per il nostro tempo e Coccapani, altro laico mendicante per Cristo, presente nel povero.

Per cui pensate: LA PREGHIERA DI RANIERI, LA CARITA’ DEL COCCAPANI, L’IMPEGNO SOCIALE E POLITICO, FAMILIARE DI TONIOLO. Ma non perché Toniolo non pregasse, o Ranieri non avesse queste particolari attitudini, ma solo perché esercitavano il dono ricevuto e questo ci permette di entrare in un’altra attenzione e cioè la santità che poi è una, si esplicita attraverso carismi particolari dati dal Signore a ciascuno.

Potremmo dire da una parte la molteplicità che però tende all’unità; la diversità che non diventa mai scontro o impossibilità di comunicazione ma che diventa comunione, l’individualità che non diventa mai individualismo ma che si esprime sempre in un impegno comune, tematiche che riguardano tutta la chiesa e nella chiesa le varie realtà presenti e in modo speciale anche le associazioni e movimenti che hanno particolarità proprie, peculiarità, doni e carismi particolari, quindi esprimono una ricchezza della diversità ma che provenendo dalla stessa fonte e avendo la stessa meta debbono comunicare insieme.

Questo ci permette di sottolineare un altro aspetto: la necessità di avere sempre presente che la teologia della chiesa deriva in maniera immediata dalla teologia di Cristo: dalla CRISTOLOGIA. L’Ecclesiologia nasce ed è in rapporto sempre con la Cristologia perché Cristo e Chiesa sono uniti in una maniera inscindibile, non c’è Cristo senza Chiesa e viceversa.

Allora da quello che è la realtà di Cristo, capo, corpo, nel rapporto con le membra, nel mistero della nostra inserzione in Gesù mediante il battesimo, si deve sviluppare anche tutta la riflessione del rapporto delle membra tra di loro, e non parlo soltanto delle membra intese come singoli cristiani, ma parlo anche delle diverse appartenenze all’interno del corpo di Cristo che è chiesa, cioè le stesse dinamiche che ci sono tra Cristo Gesù e ciascuno dei figli di Dio che nel battesimo sono diventati fratelli di Cristo individualmente, comandano, guidano, danno senso anche al rapporto che ci deve essere tra le varie realtà di Associazioni, gruppi e movimenti, ma metto anche Parrocchie e quant’altro, nei confronti dell’unico corpo di Cristo che è la chiesa nella sua pienezza, qui mettendo in evidenza che uno dei doni fondamentali è proprio il dono dell’UNITA’.

Approfondisco questo tema nel Piano Pastorale: l’unità non è mai uniformità. Non è mai l’azzeramento delle diversità, perché la molteplicità in se stessa non è indice di mancanza di unità. E’ il Signore che ha previsto e voluto la diversità nella distinzione degli uni rispetto agli altri: “Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto come Egli ha voluto” (1 Cor.12,18) E distinzione non significa disparità di dignità e di valore. Ciò che da questo corpo deve essere bandito è la divisione. Non esiste una vite che porti frutto se i suoi tralci sono tagliati e separati da essa. Non esiste corpo integro, completo e vivente, se i suoi organi vitali vengono da esso separati.

Ciò che non può esistere nella Chiesa è dunque la divisione, non la distinzione, non la diversità e la molteplicità. Ciò chiede che ogni membro abbia cura dell’altro membro: ciascuno infatti è chiamato a prendersi cura di chi gli sta accanto, perché la forza dell’uno sia anche la forza dell’altro. E non soltanto per realizzare una efficienza maggiore: l’unione fa la forza e allora uniti nella comunione. Non si tratta infatti di efficienza e di migliore funzionalità operativa pastorale, bensì, è questione di mistero, di comunione, di spazio offerto all’azione di Dio in noi, perché tutte le volte che si opera divisione, in realtà ostacoliamo o addirittura impediamo a Dio di realizzare la Sua salvezza.

Diversità e distinzioni diventano allora ricchezze condivise nella complementarietà della comunione che non si esprime tanto nella razionale distribuzione dei compiti, bensì, nella espressione di capacità sacramentali diverse e dei carismi donati dallo Spirito a ciascuno per il bene comune.

Ecco allora una visione sacramentale e non soltanto funzionale. Su questo punto sto insistendo molto per quanto mi riesce, perché se non sappiamo leggere in termini di fede, se non sappiamo entrare nel mistero, noi abbassiamo il livello della chiesa ad una azienda qualsiasi, ad una delle tante organizzazioni umane. La chiesa è il corpo di Cristo, e il segno è il volto visibile di Cristo nel mondo, insieme a tanti altri segni.

Soltanto nella chiesa viene a noi la grazia dei sacramenti, che è la via normale per un cammino di fede e di conformazione personale…, detta in altra maniera, tutto è dono che viene dall’alto, i ministeri, i servizi, i doni non hanno la loro anagrafe soltanto in necessità e bisogni che vengono dal basso, ma nei doni dello Spirito, il quale suscita risposte alle urgenze e alle necessità che sorgono nella chiesa e nel mondo. Non è la stessa cosa.

Tengo proprio a sottolinearlo che se l’organo fosse generato dalle necessità, questo significherebbe che anche la nostra realtà sacramentale è frutto di una condivisione sociale, non è vero, è dono di Dio, dono che viene dall’alto, che risponde poi a quelli che sono i bisogni dell’uomo, ma è dono che viene da Dio. Quindi la comunione e l’unità di tutti in Cristo sono condizioni indispensabili per una missione davvero condivisa e capace di generare risposte autentiche di fede e una forte esperienza di chiesa. MISSIONE, uso quest’altro termine, perché la priorità delle priorità è l’annuncio di Cristo e del Suo Vangelo, e l’educazione alla fede.

Nel nostro Piano Pastorale affrontiamo come terzo momento di fondo proprio il discorso sulla evangelizzazione e sulla educazione alla fede.

Ormai lo si dice in tutte le maniere, si parla e si è parlato di emergenza educativa, una espressione usata da Papa Benedetto XVI per primo, poi ripresa anche dal Presidente della Repubblica ai ragazzi il 31 dicembre scorso. E’ una emergenza che è sotto gli occhi di tutti, ma a noi non interessa soltanto l’emergenza educativa in quanto necessità di un cammino di educazione delle giovani generazioni, delle persona che cresce. E’ anche emergenza di educazione alla fede, questo ci interessa ancor di più.

Di fatto le nostre comunità fanno fatica ad educare alla fede. Se ci pensate bene è stata fatta una indagine nello scorso autunno sulla catechesi nella nostra Diocesi. I dati che sono venuti fuori sono veramente pesanti, purtroppo sono anche confermati dai dati ISTAT relativi alla Diocesi di Pisa. Vi faccio soltanto un paio di esempi: Attualmente sui nati di ogni anno nella nostra diocesi ci sono circa 400/500 bambini che non vengono più battezzati.

Ora non vi so dire la percentuale, ma la cifra è molto alta. Conferma indirettamente quello che abbiamo appurato dai nostri dati, l’anno scorso quando c’è stato il mandato ai catechisti. Quei dati dicevano che nella Diocesi di Pisa lo scarto tra i ragazzi che nelle scuole usufruiscono dell’insegnamento della religione cattolica è di circa 5000 rispetto ai ragazzi della stessa età che partecipano al cammino di iniziazione cristiana nelle Parrocchie, cioè nelle scuole ci sono 5000 ragazzi in più rispetto a quelli che fanno religione cattolica. Questo ci deve far riflettere. Non stiamo andando verso un tempo di cristianizzazione ma di scristianizzazione.

Un altro dato che mi ha sconvolto, ma è sotto gli occhi di tutti (queste cose vanno dette non per creare allarme ma per essere realisti e quindi lavorare poi di conseguenza): in molte zone della nostra Diocesi, soltanto il 30-40% di ragazzi che hanno fatto la Prima Comunione fa anche la Cresima nell’itinerario proposto dalle Parrocchie stesse. Di qui a 10 anni quale sarà il quadro di riferimento? Ve lo lascio indovinare.

Questi dati sarebbero da studiarsi con molta attenzione, comunque già così ci dicono che il tema Evangelizzazione è prioritario, il tema Educazione alla fede è fondamentale, non possono essere lasciati da parte. In un quadro di riferimento nel nostro Piano Pastorale mi sono permesso di indicare: Certamente la pietra angolare di tutto è Cristo che è via, verità e vita, ma è interessante notare che Giovanni Paolo II nel suo pontificato ha messo l’accento su queste tre realtà: VIA, VERITA’ E VITA quando in tre corpose encicliche ha approfondito EVANGELIUM VITAE, VERITATIS SPLENDOR, FIDES ET RATIO.

Possiamo dire ragione è la via, una ragione illuminata dalla fede che tende verso lo splendore della verità che vuol vivere in pienezza il lieto annuncio della vita, strada attraverso la quale impostare i nostri progetti educativi. Abbiamo tutti gli strumenti in mano, strumenti operativi che poi si fanno sintesi, potremmo dire in quello che è l’insegnamento di Benedetto XVI, DEUS CARITAS EST oppure sul piano sociale CARITAS IN VERITATE, io lo dico attraverso i titoli, però credo di essere abbastanza chiaro nel dire queste cose.

Quindi al centro la persona e il mistero di Cristo, insieme una progettualità educativa e una formazione cristiana che non si diano per vinte ma che rappresentino davvero una proposta di autenticità e anche di novità nel quadro di riferimento del nostro vivere ecclesiale e sociale.

Mi avvìo alla fine: Gli strumenti per realizzare questo itinerario sono da una parte le nostre strutture diocesane ovviamente. Ecco allora la richiesta che faccio a tutti i gruppi, movimenti, aggregazioni, di dare anche nelle vostre realtà un aiuto specifico a quelle che sono le nostre strutture diocesane, per lavorare insieme agli altri nell’unico obiettivo che è quello di annunciare Gesù e il Vangelo in questa nostra chiesa e credo che in questa realtà si collocano bene anche le vostre attività tipiche, insieme a quelle delle parrocchie.

Quando c’è un quadro chiaro di riferimento comune, allora si è in grado di fare una Pastorale integrata e non settoriale, non a mosaico, un po’ come fanno gli specialisti in medicina, per cui uno cura un occhio ma non sa niente del naso e viceversa e si perde di vista la persona. Così succede ed è un rischio per tutti, ed è un po’ il clima culturale che stiamo vivendo: ciascuno è specializzato nella propria realtà, fa quello e basta, anche se più in là c’è qualcosa d’altro, c’è una realtà molto più composita, molto più ampia, molto più diversificata, ma ci deve essere integrazione tra i vari momenti.

Non si può essere solo pietruzze di un mosaico, ma occorre essere gli uni uniti agli altri, respirando davvero l’unità della comunione, ed esprimendo anche esternamente nell’assunzione di progetti comuni condivisi. E’ vero che ogni gruppo ha la sua identità e deve avere la sua peculiarità, il suo dono e deve esprimerlo, ma diventa ridicolo nel nostro tempo andare poi di fatto ciascuno per conto proprio.

E’ ridicolo sul piano sacramentale, misterico più che sul piano funzionale. Allora vi dico alcune esperienze che vengono fatte insieme che io condivido, appoggio e incoraggio. Per esempio quel momento che da anni viene vissuto come Giornata della Pace, della Vita, tempo per dedicare una riflessione su questi temi. Non si espropria nessuno se ci si mette anche insieme a sottolineare certe cose che sono fondamentali, che sono la base di una società che spesso rinnega i valori umani di fondo senza i quali non si costruisce niente.

L’annuncio evangelico – ecco allora il riconoscersi in una visione unitaria di chiesa senza per questo annullare le singole identità e questo può essere veramente un dono di Dio anche la valorizzazione della Consulta delle aggregazioni laicali che non è e non può essere soltanto una cosa di rappresentanza (ci deve essere, qualcuno ci va, abbiamo fatto la presenza e va bene così) ma deve essere davvero uno strumento che non entra nel merito della vita interna di ogni associazione ma che permette a ciascuna associazione di rapportarsi in maniera seria a quello che è un cammino diocesano.

In questo senso e termino possono avere un buon valore anche i sacerdoti che si occupano dei singoli gruppi, associazioni e movimenti, sempre in minor numero, più sparuti e sempre più difficilmente individuabili, però ci sono. Credo fondamentale il lavoro degli assistenti e consulenti spirituali ecclesiastici, segni indispensabili per il radicamento delle associazioni nella vita della chiesa particolare.

Allora credo che su questa linea si può davvero lavorare insieme, anche perché ogni sacerdote rappresenta il vescovo nel contesto pastorale in cui il vescovo lo ha incaricato di lavorare. E’ un mandato del vescovo e sta quindi a garantire quella che è l’ecclesialità che ogni gruppo, associazione, deve coltivare nel proprio gruppo per esprimere in pienezza il volto di Cristo.

Termino con altro pezzetto della LAUDA di S. Ranieri:

Miracoli fe molti prima e poi che l’anima rendesse al sommo Dio (faceva miracoli già in vita), viddeli i nostri antichi e anche noi le grazie quante per lui ha fatto Iddio.

Scrive l’autore: Tutto che detto ho io è ver di te Beato, ossia nostro avvocato dinanzi a Dio a cui tu sei prossimato!

Dico a S. Ranieri anch’io: Pensaci un po’ anche tu. Mettiti al timone di questa nostra chiesa e aiutaci a guidarla verso una pienezza di testimonianze e di esperienza divina. AMEN.