Islamismo e sinistra: la minaccia alleata

Islam_sinistraNational Review, 14 luglio 2008

Articolo in lingua originale inglese:

[The Islamist-Leftist] Allied Menace]

di Daniel Pipes

“Ecco due paesi fratelli uniti come fossero le dita di una mano”, ha detto il socialista Hugo Chavez, nel corso di una visita a Teheran tenutasi nel novembre 2007, in celebrazione della sua alleanza con l’islamista Mahmoud Ahmadinejad. Camillo, il figlio di Che Guevara, anch’egli recatosi in visita a Teheran lo scorso anno, ha dichiarato che suo padre avrebbe “appoggiato il paese nella sua attuale lotta contro gli Stati Uniti”.

Costoro hanno ripercosso le orme di Fidel Castro, che in una visita del 2001 disse ai suoi ospiti che “Iran e Cuba, insieme, possono mettere l’America in ginocchio”. Da parte sua, Ilich Ramirez Sánchez (alias “Carlos lo Sciacallo”), nel suo libro L’islam révolutionnaire, ha scritto che “solamente una coalizione di marxisti e islamisti può distruggere gli Stati Uniti”.

E non è solamente la sinistra dell’America Latina a ravvisare un potenziale nell’Islam. Ken Livingstone, l’ex sindaco trotskista di Londra, abbracciò nel vero senso della parola il famoso pensatore islamista Yusuf al-Qaradawi. Ramsey Clark, l’ex ministro americano della Giustizia, si è recato in visita dall’ayatollah Khomeini e gli ha offerto il suo appoggio.

Noam Chomsky, docente del MIT, si è incontrato con il leader hezbollah Hassan Nasrallah e ha approvato la decisione di Hezbollah di mantenere le armi. Ella Vogelaar, il ministro olandese per l’edilizia e l’integrazione, è così ben disposta verso l’islamismo che un critico, il docente di origine iraniana Afshin Ellian, l’ha chiamata “il ministro dell’islamizzazione”.

Dennis Kucinich, nel corso della sua prima campagna presidenziale americana del 2004, ha parafrasato il Corano e ha incitato un pubblico di musulmani a salmodiare “Allahu akbar” (“Allah è grande”) ed è arrivato perfino a dire: “Ho una copia del Corano nel mio ufficio”. Spark, la rivista dei giovani membri del Socialist Labour Party britannico, ha elogiato Asif Mohammed Hanif – l’attentatore suicida britannico che perpetrò un attacco contro un bar di Tel Aviv – come fosse “un eroe della gioventù rivoluzionaria” che aveva compiuto la sua missione “nello spirito dell’internazionalismo”. Workers World, un quotidiano comunista americano, ha pubblicato un necrologio che tesseva le lodi del capo-terrorista di Hezbollah, Imad Mughniyeh,.

Alcuni membri della sinistra vanno oltre. Diversi di loro – Carlos lo Sciacallo, Roger Garaudy, Jacques Vergès, Yvonne Ridley e H. Rap Brown – si sono di fatto convertiti all’Islam. Altri reagiscono con euforia alla violenza e alla brutalità dell’islamismo. Il compositore tedesco Karlheinz Stockhausen ha definito l’11 settembre come “la più grande opera d’arte di tutto l’universo”, mentre lo scomparso scrittore americano Norman Mailer ha detto che i suoi perpetratori sono stati [degli individui] “brillanti”.

E niente di tutto questo rappresenta una novità. Durante la Guerra fredda, gli islamisti preferirono l’Unione Sovietica agli Stati Uniti. Come disse nel 1964 l’ayatollah Khomeini: “l’America è peggiore della Gran Bretagna, la Gran Bretagna è peggiore dell’America, e l’Unione Sovietica è peggiore di entrambe. Ogni paese è peggiore dell’altro, ognuno è più abominevole dell’altro. Ma oggi ci preoccupiamo di questa malevola entità che è l’America”. Nel 1986 io scrissi che “l’Urss riceve solo una piccola dose di odio e veleno diretti agli Stati Uniti”.

E la sinistra ha ricambiato questi sentimenti. Nel 1978-79 il filosofo francese Michel Foucault manifestò un enorme entusiasmo per la Rivoluzione iraniana. Janet Afary e Kevin B. Anderson spiegano:

Per tutta la vita, il concetto di autenticità di Michel Foucault ha inteso ravvisare in quelle situazioni in cui la gente ha vissuto in modo imprudente e ha flirtato con la morte la causa della creatività. Nel solco della tradizione di Friedrich Nietzsche e George Bataille, Foucault ha abbracciato l’artista che ha spinto i limiti della razionalità e ha scritto con grande passione in difesa delle irrazionalità che hanno oltrepassato nuovi confini.

Nel 1978, Foucault rinvenne tali forze trasgressive nella figura rivoluzionaria dell’ayatollah Khomeini e nei milioni di persone che mettendo a repentaglio la propria vita lo seguirono nella Rivoluzione islamica. Egli sapeva che tali esperienze “limite” potevano condurre a nuove forme di creatività e così dette il suo sostegno con passione.

Un altro filosofo francese, Jean Baudrillard, ha ritratto gli islamisti come schiavi che si ribellano a un ordine repressivo. Nel 1978 Foucault definì l’ayatollah Khomeini un “santo” e un anno dopo, Andrew Young, l’ambasciatore presso le Nazioni Unite sotto l’amministrazione Carter, disse che era “una specie di santo”.

Questa buona volontà può apparire sorprendente, viste le profonde differenze tra i due movimenti. I comunisti sono dei laici atei e di sinistra; gli islamisti giustiziano gli atei e impongono la legge religiosa. La sinistra esalta i lavoratori, l’islamismo privilegia i musulmani. La prima sogna un paradiso dei lavoratori, l’altro il califfato. I socialisti vogliono il socialismo; gli islamisti accettano il libero scambio. Il marxismo implica l’eguaglianza tra i sessi; l’islamismo opprime le donne. La sinistra disprezza la schiavitù; alcuni islamisti l’approvano.

Come osserva il giornalista Bret Stephens, la sinistra ha trascorso “gli ultimi quattro decenni a battersi in difesa delle libertà alle quali l’Islam si oppone maggiormente: la libertà sessuale e di procreare, i diritti degli omosessuali, la libertà dalla religione, la pornografia e varie forme di trasgressione artistica, il pacifismo e così via”.

Tali divergenze sembrano sminuire le poche similitudini che Oskar Lafontaine, ex leader del Partito socialdemocratico tedesco, è riuscito a trovare: “l’Islam fa affidamento sulla comunità, il che la pone in opposizione a un individualismo estremo, che rischia di fallire in Occidente. [Inoltre,] il pio musulmano è tenuto a condividere i suo beni con gli altri. Anche la sinistra vuole che il forte aiuti il debole”.

Perché, allora, la creazione di ciò che David Horowitz chiama “la scellerata alleanza” tra la sinistra e l’islamismo? Essenzialmente per quattro ragioni.

Innanzitutto, come spiega il politico britannico George Galloway, “il movimento progressista nel mondo e i musulmani condividono gli stessi nemici”, vale a dire la civiltà occidentale, in generale, e gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e Israele, in particolare, più gli ebrei, i credenti cristiani e i capitalisti internazionali. In Iran, secondo l’analista politico di Teheran Saeed Leylaz, “da cinque anni a questa parte, il governo ha permesso alla sinistra di agire allo scopo di far fronte ai religiosi progressisti”.

I loro discorsi sono intercambiabili. Harold Pinter descrive l’America come “un paese retto da un branco di pazzi criminali” e Osama bin Laden definisce il paese “ingiusto, criminale e tirannico”. Noam Chomsky dice che l’America è uno “dei principali stati terroristi” e Hafiz Hussain Ahmed, un leader politico pachistano, ne parla come “il più grande stato terrorista”. Queste affinità sono sufficienti a convincere le due parti ad accantonare le loro innumerevoli differenze in favore della cooperazione.

In secondo luogo, le due parti condividono alcuni obiettivi politici. Una grande manifestazione organizzata a Londra nel 2003 contro la guerra in Iraq ha simbolicamente suggellato la loro alleanza. Entrambe le parti vorrebbero che le forze di coalizione fossero battute in Iraq, che la guerra al terrore finisse, che l’anti-americanismo dilagasse e che Israele venisse eliminato. Esse sono a favore dell’immigrazione di massa e del multiculturalismo in Occidente; cooperano a questi obiettivi nell’ambito di incontri come la Conferenza contro la guerra, che si tiene annualmente al Cairo, in occasione della quale la sinistra e gli islamisti si riuniscono per formare “un’alleanza internazionale contro l’imperialismo e il sionismo”.

In terzo luogo, l’islamismo ha dei legami storici e filosofici con il marxismo-leninismo. Sayyid Qutb, il pensatore islamista egiziano, ha accettato la nozione marxista delle fasi storiche, limitandosi ad aggiungere una postilla islamica: egli ha previsto l’inizio di un’era islamica eterna, successivamente al crollo del capitalismo e del comunismo.

Ali Shariati, il principale ideologo della Rivoluzione iraniana del 1978-79, ha tradotto in persiano gli scritti di Franz Fanon, Che Guevara e Jean-Paul Sartre. Più in generale, l’analista iraniano Azar Nafisi osserva che l’islamismo “trae il suo linguaggio, gli obiettivi e le aspirazioni tanto dalle forme più grossolane del marxismo quanto dalla religione. I suoi leader sono influenzati tanto da Lenin, Sartre, Stalin e Fanon, quanto dal Profeta”.

Passando dalla teoria alla pratica, i marxisti vedono negli islamisti uno strano compimento delle loro profezie. Marx aveva previsto che i profitti commerciali sarebbero crollati nei paesi industriali, inducendo i padroni a spremere i lavoratori; il proletariato si sarebbe impoverito, fino a ribellarsi e a instaurare un ordine socialista. Ma, in realtà, il proletariato dei paesi industriali è diventato ancor più ricco e il suo potenziale rivoluzionario si è inaridito.

Come ha notato lo scrittore Lee Harris, per un secolo e mezzo, i marxisti hanno atteso invano la crisi del capitalismo. Poi, sono arrivati gli islamisti, a partire con la rivoluzione iraniana e in seguito con l’11 settembre e con altri attacchi contro l’Occidente. E per finire, il Terzo mondo aveva iniziato la sua rivolta contro l’Occidente, realizzando le previsioni marxiste – anche se sotto la bandiera sbagliata e con degli obiettivi erronei.

Olivier Besançonneau, un esponente della sinistra francese, considera gli islamisti come dei “nuovi schiavi” del capitalismo e si chiede se non sia naturale che “essi dovrebbero unirsi alla classe lavoratrice per distruggere il sistema capitalista”. Nel momento in cui il movimento comunista è “in rovina”, come osservano l’analista Lorenzo Vidino e il giornalista Andrea Morigi, le Nuove Brigate Rosse in Italia ammettono di fatto “il ruolo dominante dei religiosi reazionari”.

Il quarto motivo è il potere. Gli islamisti e la sinistra possono conseguire più risultati se marceranno insieme, e non separatamente. In Gran Bretagna, essi hanno dato vita a “Stop the War Coalition” , il cui comitato direttivo annovera dei rappresentanti appartenenti a organizzazioni come il partito comunista britannico e la Muslim Association of Britain.

Il Respect Party inglese coniuga il socialismo internazionale radicale con l’ideologia islamista. Le due parti hanno unito le forze nel marzo 2008, allo scopo di creare liste comuni di candidati per le elezioni parlamentati europee in Francia e in Gran Bretagna, camuffate sotto nomi di partiti poco rivelatori dei loro intenti.

Gli islamisti, in particolare, traggono beneficio dall’accesso, dalla legittimità, dalle competenze e dall’impatto che la sinistra fornisce loro. Cherie Booth, moglie delle ex premier britannico Tony Blair, ha dibattuto una causa in appello per aiutare una ragazza, Shabina Begum, a indossare lo jilhab, un indumento islamico, in una scuola britannica.

Lynne Stewart, un avvocato di sinistra, ha infranto la legge statunitense ed è finita in galera per aver aiutato Omar Abdel Rahman, lo sceicco cieco, a fomentare la rivoluzione in Egitto. Volkert van der Graaf, un fanatico animalista, ha ucciso il politico olandese Pim Fortuyn per bloccare il tentativo di quest’ultimo di trasformare i musulmani in “capri espiatori”.

Vanessa Redgrave ha pagato 50.000 sterline, la metà della cauzione fissata per concedere la libertà provvisoria a Jamil el-Banna, un sospettato di Guantanamo accusato di reclutare jihadisti per combattere in Afghanistan e in Indonesia. La Redgrave ha asserito che aiutare el-Banna sia stato “un profondo onore”, malgrado l’uomo fosse ricercato in Spagna per reati legati al terrorismo e sospettato di avere legami con al-Qaeda.

Su scala più vasta, il partito comunista indiano ha fatto il lavoro sporco per conto di Teheran, procrastinando per quattro mesi il lancio in India del satellite spia israeliano TecSar. E infine, esponenti della sinistra hanno fondato il Movimento di Solidarietà Internazionale per impedire alle forze di sicurezza israeliane di proteggere il paese da Hamas e da altri gruppi terroristici palestinesi.

Sulle pagine dello Spectator di Londra, Douglas Davis definisce la coalizione “una manna per entrambe le parti”. La sinistra – un tempo una esigua banda di comunisti, di trotskisti, maoisti e castristi – si era legata alla feccia di una causa persa; gli islamisti potevano fornire numeri e passioni, ma avevano bisogno di un veicolo che desse loro un appiglio sul terreno politico.

Un’alleanza tattica è divenuta un imperativo strategico. Semplificando, un esponente della sinistra britannica concorda: “I vantaggi pratici del lavorare insieme permettono di compensare le differenze”.

L’alleanza in nuce tra la sinistra occidentale e gli islamisti va considerata come uno dei più inquietanti sviluppi politici, che ostacola i tentativi dell’Occidente di tutelare se stesso. Quando Stalin e Hitler siglarono il loro infame patto nel 1939, l’alleanza rosso-bruna costituì un pericolo mortale per l’Occidente e anche per la stessa civiltà. In modo meno spettacolare, ma con la stessa certezza, l’odierna coalizione pone la stessa minaccia. Come settant’anni or sono questo nuovo sodalizio deve essere denunciato, ricusato, respinto e sconfitto.

(A.C. Valdera)