L’evoluzione condanna Darwin

 Le Figaro Magazine, 26 ottobre 1991

Dal 13 al 19 ottobre, duecento scienziati, di cui quattro premi Nobel, si sono riuniti nel quadro degli “Incontri di Blois”. Tema: l’origine della vita. Colloquio appassionante. Anche in questo campo le vecchie teorie crollano. Prospettive rivoluzionarie si aprono.

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Per fare il punto su questa «evoluzione degli evoluzionisti», il Figaro-Magazine, da la parola a cinque scienziati di fama internazionale, in rappresentanza di cinque diverse discipline.

Che cosa dicono? Che la teoria darwinista può spiegare un certo numero di cose secondarie, ma non le fasi essenziali dell’evoluzione (l’apparizione dei nuovi organi, dei nuovi tipi di organizzazione, come gli uccelli, i vertebrati…) mentre proprio a questo scopo era stata formulata.

Ecco infine, esposto chiaramente, ciò che alcuni cercano ancora di mantenere segreto: non abbiamo più, attualmente, una spiegazione globale dell’evoluzione della vita sulla terra.

Questa questione non ha solo un interesse scientifico o filosofico. In effetti come dice il biologo Michael Denton: «La filosofia, l’etica dell’uomo occidentale sono fondate in larga misura sulla sua rivendicazione centrale, ossia che l’umanità sia nata da un processo completamente cieco di selezione di molecole.

Il nostro secolo sarebbe incomprensibile senza la rivoluzione darwiniana. Le correnti sociali e politiche che hanno spazzato il mondo nel corso degli ultimi ottanta anni sarebbero state impossibili senza la sua sanzione intellettuale.» (Evolution, a theory  in crisis, 1986).

Esempio terribile: la testimonianza di Monsignor Cuthbert O’Gara, che vide, nella sua diocesi in Cina, instaurarsi l’Armata Rossa uscita dai corsi di … darwinismo.

Il marxismo venne solo dopo: una volta che le mentalità si erano abituate all’idea che la «lotta selvaggia per la vita» era «la caratteristica essenziale della Natura». Alcuni mesi dopo la caduta della statua di Lenin, quella di Darwin vacilla a sua volta. Coincidenza inquietante.

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Prof. ROBERTO FONDI

Paleontologo, professore all’Università di Siena.

Nella natura, non a caso, esiste un programma! Influenze non materiali hanno dovuto agire nel corso dell’evoluzione.

In quanto paleontologo, può dire se le scoperte effettuate in questo campo rispondono alle attese della teoria darwinista?

Pr. Fondi – La teoria darwinista, ma anche il pensiero evoluzionista iniziato da Lamarck, riposa su tre postulati:

1. La vita è stata generata in modo spontaneo, con l’assemblaggio di diverse molecole;

2. la vita ha subito un processo di trasformazione graduale che ha permesso di passare da forme semplici a organismi sempre più complessi;

3. la generazione della vita e la sua trasformazione sono state realizzate grazie all’azione di forze naturali (elettromagnetiche, chimiche, gravitazionali, ecc.), e non metafisiche o spirituali.

Per mostrare la falsità dei primi due postulati di questa mitologia moderna, la paleontologia è sufficiente: le rocce più antiche sono vecchie di 4 miliardi di anni. Ora i primi esseri viventi (alghe blu o batteri) appaiono 3,5 miliardi di anni fa. Non c’è dunque che un lasso di tempo di 500 milioni di anni per «produrre» il primo essere vivente, e questo è troppo corto perché la vita abbia potuto essere prodotta per caso.

Troppo corto?

Si: la cellula più semplice che si possa immaginare è già un oggetto di una complessità inimmaginabile, con la sua famosa doppia elica di DNA che gli permette di duplicarsi. Quanto al secondo postulato, è rifiutato dalla paleontologia del XX° secolo: essa mostra che la storia della vita è piena di discontinuità, che non rientra negli schemi darwiniani.

Quali sono queste discontinuità?

La prima, come ho appena detto, è l’apparizione della vita stessa. Le rocce antiche non portano alcuna traccia del brodo di molecole – «il brodo primordiale» – da dove sarebbe sorta la vita.

Inoltre, le più antiche forme di vita sono durate 3 miliardi e 200 milioni di anni e non portano alcuna novità di rilievo ad eccezione dell’«invenzione» del nucleo cellulare. Poi, tre faune composte da organismi pluricellulari sono apparse all’improvviso: queste faune sono così differenti le une dalle altre e così ravvicinate nel tempo che non permettono di concepire qualsiasi legame plausibile di «discendenza con modifica» tra di loro.

Lungo la storia della vita, assisteremo a delle apparizioni improvvise di forme nuove spesso radicalmente diverse tra loro che resteranno sostanzialmente immutate per milioni di anni, e che finiranno con estinzioni altrettanto improvvise e seguite, immediatamente, da nuove apparizioni. Così, se si immagina un albero genealogico dell’evoluzione, non esistono che delle foglie e qualche ramo, ma niente nodi né tronco: è un albero che non sta in piedi! Per questo, quando un paleontologo prende pubblicamente partito per le idee di Darwin, non è, secondo me, in pace con la sua coscienza.

Che cosa si può dedurre da tutto ciò per quanto concerne il terzo postulato?

Può essere messo in discussione. In effetti, secondo il punto di vista darwinista (anche quello di Gould, che ammette la discontinuità ma non vuole ricorrere ad altre spiegazioni che non siano mutazioni dovute al caso e alle leggi strettamente meccanicistiche), è impossibile mostrare come queste discontinuità, questi «salti» possono essere superati.

Possiamo dunque pensare che la materia vivente non sia solo quella che noi chiamiamo materia, ma sia una «materia informata». Vale a dire che lo sviluppo degli organismi non è solo determinato dal caso, dalla necessità o dalle leggi meccaniche, ma anche da un’informazione, un programma inscritto nella materia vivente.

Qui si tratta di un punto fondamentale. Se ammettiamo la necessità di modalità di informazione diverse da quelle strettamente materiali conosciute fino ad ora, per spiegare lo sviluppo della vita quale ci rivela la paleontologia, noi possiamo ammettere l’esistenza di «forme» o di archetipi. E allora tutto può essere spiegato risalendo da un fenomeno agli archetipi che lo regolano.

Per riassumere potrei dire che credo a una «evoluzione per archetipi». Le specie non appaiono a partire da niente, esse esistono già nella realtà sotto forme potenziali, sono la manifestazione di archetipi. Ogni archetipo può esprimersi in numerose maniere – da cui le variazioni che costatiamo all’interno di un tipo – ma non c’è intermediario possibile tra gli archetipi, da qui le discontinuità che costatiamo nell’evoluzione.

La maggioranza dei biologi senza dubbio non condividerà questa visione.

Per me è solo una questione di tempo. Gli evoluzionisti evolvono… E credo che non sia escluso che a partire dalla biologia si possa domani, così come partendo oggi dalla fisica, arrivare alla conclusione che la realtà fisica non è la realtà completa.

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Prof. JEAN DORST (1924-2001)

 Zoologo, ex-direttore del Museo di Storia Naturale, Membro dell’Accademia delle Scienze.

Una concezione materialista del mondo? Incoerente! Le «mutazioni dovute al caso» (credo dei darwinisti) non spiegano l’evoluzione…

Sembrerebbe che ci fossero due tipi di evoluzione?Prof. Dorst. Si. C’è innanzitutto la micro-evoluzione: cioè il passaggio progressivo da una specie ad un’altra vicina alla prima. È un fenomeno molto ben conosciuto, la si verifica nei laboratori dove migliaia di esperienze sono state effettuate. Ma c’è anche la macro-evoluzione, cioè il passaggio da un tipo di organizzazione ad un altro, dai batraci ai rettili o dai rettili agli uccelli per esempio.

Le teorie darwiniste attuali possono spiegarlo?

Georges Teissier, che fu uno dei miei professori diceva: «Una piccola mutazione…una piccola mutazione, ecc.» e si passerebbe così da una specie ad un’altra, da un ordine ad un altro ordine – unicamente per l’azione di piccole mutazioni «dovute al caso» – e della selezione naturale deputata ad eliminare gli individui meno competitivi. Ecco il «darwinismo», ma non è vero. Vi è qui una estrapolazione abusiva. I meccanismi che permettono di comprendere come una piccola «distanza» evolutiva (tra il lupo e il cane per esempio) possa essere oltrepassata non sono gli stessi di quelli che possono spiegare il superamento di una grande “distanza”.

Su quali fatti si basa per dire questo?

Il mio maestro Pierre-P. Grassé diceva: “Spiegatemi l’occhio e vi concederò tutto il resto”. Non si vede (è il caso di dirlo) come una successione di piccole mutazioni a caso potrebbe produrre un tale risultato. Ma la stessa cosa per l’uscita dall’acqua o per il passaggio da batraci a rettili, così come per gli uccelli. Ci vogliono tanti adattamenti complessi per permettere il volo che non si può, malgrado l’esistenza di fossili come l’archeopterix, spiegare la genesi degli uccelli con una «micro-evoluzione».

Tuttavia le teorie darwiniste pretendono di fornire una spiegazione globale dell’evoluzione.

Uno dei miei amici, che è marxista, ha l’abitudine di dire che la filosofia è come una stanza immersa nell’oscurità più totale dove c’è un gatto nero che si cerca di prendere, e che il marxismo è anch’esso una stanza buia nella quale non ci sono gatti neri, ma si grida ben forte che si è preso il gatto!

Ebbene, è lo stesso per il darwinismo. Si grida che si è “afferrata” la soluzione per spiegare l’evoluzione, mentre questa soluzione non si trova nella stanza dove la si cerca! Non si può spiegare il passaggio dall’ameba all’uomo in alcune centinaia di milioni di anni con i soli meccanismi postulati dai darwinisti.

Una tale evoluzione tuttavia è esistita, ma i fatti ci mostrano che un certo numero di «salti» evolutivi, dei salti qualitativi e quantitativi insieme, hanno dovuto prodursi nel corso del suo svolgimento per rendere conto di tali salti bisogna che esistano altri meccanismi diversi da quelli che noi vediamo attualmente in azione nella natura. Bisogna dunque avere il coraggio di riconoscere che non abbiamo una spiegazione totale dell’evoluzione.

Lei è dunque d’accordo con la conclusione dell’opera di Michael Denton che diceva: «Il mistero dei misteri, l’origine degli esseri viventi sulla terra è sempre ugualmente enigmatico come all’epoca in cui Darwin si imbarcava sul “Beagle” (1)».

Si, nella maniera più completa. Quest’opera che è stata molto criticata, e anche tacciata di opera “creazionista” – cosa totalmente assurda – contiene degli errori e qualche estrapolazione, ma la sua conclusione generale è assolutamente corretta: vediamo nascere delle nuove specie, ma sono sempre dei rettili, dei mammiferi, in breve trattasi di “dejà vu” e non dei nuovi tipi di organizzazione. E noi non sappiamo come i tipi attuali si sono formati.

Ci viene offerta comunque qualche pista?

A partire dal momento in cui, come credo, il caso non può spiegare l’evoluzione, si pone la questione della finalità. Il finalismo è la bestia nera degli scienziati… Allora, io sono finalista? In quanto scienziato mi proibisco di esserlo. Ma in fondo c’è quanto meno un disegno e questo disegno è scritto nella natura che noi osserviamo, nell’equilibrio tra le specie, che io constato in quanto ecologista, in certi adattamenti straordinari che si osservano (tra le piante e gli insetti, come è noto) e che vanno ben aldilà di quanto la teoria darwinista possa spiegare.

Il caso esiste a livello della micro-evoluzione ma non esiste a livello fondamentale: a un tale livello esistono leggi che non abbiamo ancora identificato che permettono la realizzazione del programma.

Si può dire in questo caso che l’uomo o i mammiferi sarebbero apparsi in ogni caso nell’evoluzione, anche se questa fosse stata diversa?

Per l’uomo non posso esserne certo ma per i mammiferi penso di si. Ho scritto nella prefazione a un opera collettiva che ho diretto: “supponiamo che la vita sia apparsa altrove nell’Universo, quale sarebbe la sua forma? È, naturalmente, una mia speculazione, ma io penso che sarebbe apparsa nello stesso modo, che si sarebbero ritrovati gli stessi tipi di organizzazione”.

Tuttavia nella visione darwinista, è escluso che lo stesso fenomeno si produca due volte in modo identico?

Questo perché la nozione di programma non è presa in considerazione. Se tutto fosse dovuto al caso, la formazione di ogni specie risulterebbe da un accumulo di casi talmente improbabili da escludere che ciò si produca più di una volta.

Abbiamo prove dell’esistenza di simili programmi?

Si, quando un insetto imita un serpente, per esempio, si tratta di un puro caso, ma esistono delle farfalle che imitano altre farfalle e questo in maniera così perfetta che le si confondono, mentre si tratta di specie molto diverse (sul piano fisiologico). Ciò è tanto più significativo in quanto «l’imitatore» non ha nessun interesse a farlo, essendo «l’imitato» tanto commestibile quanto lui… Come spieghereste questo senza dire che la vita obbedisce a un programma di sviluppo, a leggi che generano tali somiglianze?

Per quanto riguarda l’uomo, uno zoologo quale lei è come spiega la differenza tra lui e lo scimpanzè?

La differenza fra l’uomo e lo scimpanzè consiste in una differenza di un solo cromosoma, uno solo! Certo il nostro cervello è più grosso, ma quando si vedono delle differenze così deboli, la cosa ci spinge a pensare che ciò che separa l’uomo dalla scimmia non si situa soltanto nel piano neurologico o genetico. Il pensiero e l’intelligenza non possono spiegarsi solo in termini neurologici. Ci sono innumerevoli lavori sull’uomo e lo scimpanzè, ma non si è mai trovato niente che spieghi come l’uomo sia diventato quello che è, mentre lo scimpanzè è restato sugli alberi!

Insomma, ascoltandola, si vede che l’approccio materialista non può arrivare a nulla, tanto a livello dello studio dell’insieme dell’evoluzione quanto a livello dello studio del pensiero dell’uomo?

Si, assolutamente. Infatti, dire che una delle acquisizioni della scienza attuale è che essa si oppone alla visione riduzionista della natura. Infatti, allo stato delle nostre conoscenze attuali, non è possibile mettere in piedi una concezione materialista del mondo che sia coerente.

Quanto a sapere se, dietro questo fenomeno che noi studiamo, c’è, in azione nell’evoluzione, questo pensiero universale, coerente e che ci supera, che noi chiamiamo Dio, è una questione che non concerne lo scienziato in quanto tale. Ma che l’uomo, senz’altro, deve porsi.

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Prof. GIUSEPPE SERMONTI

Genetista, docente all’Università di Perugia, direttore della Rivista di Biologia – Biology Forum.

Il darwinismo non è solo falso, è disonesto! I progressi della genetica non verificano le idee darwiniste: vi si oppongono.

Lei ha affermato a più riprese di essere in opposizione all’evoluzione?

Prof. Sermonti. No, è un problema di termine: «evoluzione» significa per lo più «trasformazione con progresso dovuta al caso e alla selezione maturale», vale a dire che c’è confusione tra il processo (la trasformazione) e la teoria che pretende di spiegare questo processo, la teoria darwinista; per questo non voglio usare questa parola.

Qual è dunque la sua visione dello sviluppo della vita?

Per me, l’origine di una specie risiede in una trasformazione brusca da una specie all’altra, un po’ come una farfalla che è generata da un bruco. Si tratta dunque di una visione non graduale di ciò che si chiama «evoluzione». Abbiamo numerose ragioni per pensare che queste trasformazioni non possono essere state prodotte da dei meccanismi darwiniani.

Quali sono i fatti che dimostrerebbero l’inesattezza delle teorie darwiniste?

Contrariamente a ciò che si crede, la genetica non si accorda assolutamente con la teoria darwinista. Così le mutazioni che si producono sulla famosa doppia elica di DNA, che costituisce la base delle nostre genesi, non sono mai costruttive. Le mutazioni possono essere vantaggiose, ma non possono essere positive perché costituiscono sempre la perdita di qualche cosa, la perdita di una funzione. Per esempio per la talpa è vantaggioso essere cieca, ma non si può dire che si tratti di un progresso, di una evoluzione positiva! Ebbene! Tutte le mutazioni conosciute sono come questa: non forniscono le basi per creare qualcosa di realmente nuovo.

Anche quando nuovi tipi di drosofile sono ottenuti così?

Non c’è affatto apparizione di «novità»: si tratta di modifiche del colore degli occhi, delle forme delle ali, dell’atrofia di un organo. Non si tratta di evoluzione. Non c’è passaggio da un tipo di organizzazione ad un altro. Non c’è sviluppo di nuove funzioni!

Per riassumere, la genetica ci mostra che c’è un’unità del vivente poiché il DNA è lo stesso ovunque e che, quindi, una specie deriva da un’altra specie. Ma essa ci mostra anche che questa derivazione non può effettuarsi secondo i meccanismi e ai ritmi postulati dai darwinisti: questa trasformazione non è graduale, non riposa su delle mutazioni e non è nemmeno adattativi.

Capita spesso di leggere che il funzionamento dell’evoluzione è stato capito…

Giustamente! Autori come Dawkins ci dicono che prima c’erano dei misteri, ma che ora tutto è chiaro: dire questo è una vera falsificazione scientifica! Ci sono enormi problemi da risolvere! Veda, mi sono dedicato a combattere il darwinismo, non perché si tratta di una teoria falsa – ci sono tante teorie false al mondo! – ma perché è disonesta. Inoltre mi ha colpito il fatto che gli stessi difensori del darwinismo non ci credono.

Ernst Mayr ci crede …

Ma è un «vescovo», un grande prelato della teoria, deve far vedere che ci crede! Io non penso che una volta rientrato in camera sua, solo con se stesso, creda veramente che delle piccole mutazioni casuali e la selezione naturale possano bastare a produrre un dinosauro a partire da un’ameba – non è possibile che lo creda!

Quali sono state le conseguenze dello sviluppo delle idee darwiniane sulla nostra società?

Sono state molto importanti e sono di 3 ordini:

1. Innanzitutto l’idea che nell’Universo nulla può avere senso. Leggete Monod e Rostand. È il darwinismo che ha fornito un quadro per il successo dell’esistenzialismo…

2. In seguito l’idea che il più forte ha sempre ragione, che il solo criterio per decidere del diritto, della giustizia, è di battersi e di vincere con qualsiasi mezzo. Per principio, non c’è più morale, né valori, né altra giustificazione ai nostri atti se non lo “struggle for life”, la lotta per la vita.

3. Il razzismo, per finire. Darwin era chiaramente razzista. Ai nostri giorni i suoi difensori cercano di «lavarlo» da questa tara ma egli, tra l’altro, diceva: «Tra tutti gli uomini, ci deve essere lotta aperta, e non si deve, con leggi o consuetudini, impedire ai migliori di avere successo e di allevare il maggior numero di figli. In un tempo a venire, non molto lontano, se lo si misura in secoli, è quasi certo che le razze umane più civilizzate stermineranno e sostituiranno le razze selvagge in tutto il mondo».

In effetti, il darwinismo è duro da combattere, non perché sia scientificamente solido, ma perché esso è in sintonia con certe idee che hanno dominato la società.

E nel suo caso quali sono le sue concezioni filosofiche?

Penso che dobbiamo scoprire noi stessi, capire il nostro mondo, il suo senso, la sua bellezza, il nostro dovere. Se crediamo che l’uomo non sia altro che una scimmia mancata, questo senso sparisce. Solo se pensiamo che c’è una logica, una finalità (diciamolo!) nel mondo, noi possiamo guardarci in faccia e trovare regole per la nostra vita. Mi sembra che quello che sappiamo della natura e della vita è molto più in accordo con una simile visione che non con la visione darwinista

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Prof. ETIENNE WOLFF E

mbriologo, professore al Collége de France, Membro dell’Accademia delle scienze, Membro dell’Académie française.

Nell’evoluzione la cosa straordinaria è che essa sembra orientata». Un orientamento, si: in azione nella natura. Qualche cosa che cerca di realizzarsi …

Qual è la visione che un embriologo ha dell’evoluzione?

Prof. Wolff. Poiché, al momento, non conosciamo altri fattori materiali d’evoluzione che non siano le mutazioni, è certo che il ruolo di questi fattori darwiniani non può essere eliminato. Ma nell’evoluzione, ci sono le piccole evoluzioni e la grande evoluzione. Si è realizzato, in modo sperimentale delle piccole evoluzioni, ma queste non vanno mai molto lontano.

Allora la grande evoluzione si svolge nello stesso modo?

Abbiamo diverse ragioni di dubitarne. Esempi come quello dell’occhio dove non si conosce alcun intermediario tra la macchia pigmentata di alcuni vertebrati e l’occhio assolutamente indifferenziato come quello dei cefalopodi e dei vertebrati lasciano pensare che la grande evoluzione si sia realizzata non solo grazie a dei piccoli salti della natura.

È chiaro che i fattori meccanici hanno giocato un ruolo, ma ciò che permette di immaginare che ha potuto esserci qualche cosa d’altro, è il vedere che l’evoluzione è in qualche modo orientata. È importante costatare che ci sono tendenze dell’evoluzione a fare qualche cosa di nuovo, di meglio adattato, di più complesso, e questo a tutti i livelli della gerarchia animale.

Per esempio il tipo mammifero è stato una specie di direzione dell’evoluzione durante tutto il periodo della fine dell’era primaria e dell’inizio dell’era secondaria. Si conoscono una decina di precursori dei mammiferi di cui uno solo, non si sa quale, è “arrivato a buon fine”.

Vuol dire che il tipo «mammifero» ha cercato di realizzarsi attraverso diversi tentativi indipendenti gli uni dagli altri?

Si, e ci sono molti altri esempi, così il tipo «uccello», o piuttosto il tipo «animale volante». Molti gruppi differenti hanno cercato di realizzarlo: i dinosauri, gli pterosauri, e poi c’è stato l’archeopterix.

E se l’evoluzione fosse da rifare, si può pensare che esisterebbero le stesse tendenze?

Se l’evoluzione fosse lasciata solo al caso, è evidente che sarebbe del tutto diversa. Ma, fermo restando gli esempi che abbiamo citato, ci viene detto – è un’intuizione, non una certezza – ci sarebbero state quanto meno delle tendenze analoghe che si sarebbero manifestate, si sente bene la presenza di qualcosa che cerca di realizzarsi nella natura.

Possiamo trarre delle conclusioni filosofiche

Non posso pronunciarmi. Ma in ogni caso è qualcosa di straordinario che l’evoluzione sembri così orientata secondo una certa direzione…

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Prof. M. P. SCHUTZENBERGER (1920-1996)

Matematico e medico, già professore di biologia matematica a Harward, Professore all’Università di Parigi VII, Membro dell’Accademia delle Scienze.

L’evoluzione non può essere dovuta al caso!». L’ordine perfezionato degli esseri viventi non è potuto uscire dal caos…

Vediamo diffondersi sempre più l’idea che l’ordine può nascere dal caos. Che ne dice un matematico come lei?

Prof. Schutzenberger. Tutti quelli che hanno conosciuto von Forster, prima che avesse sviluppato questa idea, sanno che si tratta di una battuta… che alcuni in seguito hanno preso sul serio. Ma in effetti gli ordini che appaiono così sono ordini molto semplici, senza alcun rapporto con le strutturazioni che si osservano presso gli esseri viventi. Tanto più che verso questi ultimi non si tratta solo di un ordine geometrico, ma anche di un ordine funzionale. Agitando gli ingranaggi di un orologio, non potete sperare che vadano a mettersi nel solo ordine che non solo permetta alle rotelle di ingranarsi le une nelle altre, ma, in più, possa permettere all’orologio di dare l’ora esatta!

I procedimenti del caso e della selezione naturale non possono dunque spiegare l’evoluzione?

Supponiamo anche che delle mutazioni abbiano fatto apparire delle piume. Ci vuole la fede (darwinista) del carbonaio per credere che solo grazie al caso siano apparse nella stirpe degli uccelli tutte le altre modificazioni ereditarie che ne fanno delle macchine da volo così strutturate.

Cosa possiamo concludere?

Tutto ciò sembra contraddire categoricamente la tesi di Gould (2) secondo la quale l’aspetto importante dell’evoluzione sarebbe l’intervento del caso. Nella sua visione, che è un rimaneggiamento di quella di Monod, la cosa importante, sono catastrofi, prosciugamento di mari, inondazioni delle pianure, cadute di meteoriti. Secondo Gould, questi fenomeni completamente esterni allo sviluppo della vita avrebbero fatto sparire le specie dominanti permettendo a nuove specie di invadere gli spazi liberi così creati. Così la sparizione dei dinosauri avrebbe favorito i mammiferi.

Ma perché proprio i mammiferi che rappresentano, rispetto a loro, un progresso lungo lo stesso asse che va dai pesci ai rettili

Dopo i dinosauri, la Terra sarebbe forse dovuta appartenere agli scorpioni. Ora non è ciò che è successo. In ogni caso è curioso che questi cataclismi coincidano con un progresso della vita verso la complessità. Così dunque i fenomeni evocati per spiegare l’evoluzione hanno avuto un ruolo, ma non il ruolo essenziale.

Se c’è una legge, un campo di forze (uso delle parole vaghe e non vorrei assolutamente che vi si mettessero dietro delle immagini) ad implicare che la vita diventi sempre più complessa e più funzionale, se esiste un tale principio, si può pensare che la selezione naturale sia del tutto sussidiaria!

Tuttavia, la maggioranza dei ricercatori dice che conosciamo nelle loro grandi linee le cause dell’evoluzione..

Tutti si dicono darwinisti, ma nessuno dice la stessa cosa. In effetti ci sono due modelli contraddittori: quello dei paleontologi, che contano in milioni di anni, e quello dei biologi, che lavorano in maggioranza su dei batteri per i quali sei mesi già equivalgono all’eternità. L’incompatibilità di questi due modi di affrontare il problema diventerà sempre più visibile con i progressi della scienza. Per questo bisognerà al più presto dichiarare aperta la successione al darwinismo.

Note

1) Beagle: la nave sulla quale Darwin effettuò nel 1831 il giro del mondo da cui trasse i primi elementi della sua teoria.

2) S. J.Gould, La vie est belle, 1998