Ideologia gay

gay_ideologiaLettera pubblicata dal quotidiano Avvenire il 20 dicembre 2007

Caro Direttore,

credo che la nostra società stia facendo un grave errore: ha concesso all’ideologia gay il monopolio del linguaggio. Un po’ di anni fa qualcuno mi ribattezzò “eterosessuale”. Io ero semplicemente “normale”.

Mia moglie e io avevamo formato una famiglia, società naturale fondata sul matrimonio, i cui diritti sono riconosciuti dalla Costituzione.

Desideravamo dei figli, e questo veniva incontro alle necessità della società, che ha bisogno di 2,1 figli per donna per sussistere. I figli nacquero attraverso normali rapporti sessuali, che, essendo potenzialmente fecondi, hanno una rilevanza per la società e per lo Stato.

La distinzione è quindi tra rapporti sessuali e rapporti omosessuali: questi ultimi sono scelte personali, prive di rilevanza sociale, essendo rapporti infecondi (sottolineo “scelte”: una persona può avere tendenze omosessuali e scegliere di NON avere rapporti). Quel prefisso “etero” proviene dall’ideologia gay.

Poi qualcuno cominciò a sostituire la parola “omosessuale” con la parola “gay”. Più spiccio, dicevano. Spiccio e falso: omosessuale e gay non sono sinonimi. Gli omosessuali non gay sono la maggioranza: sono persone riservate, che non amano il chiasso, che non vanno in TV e non sfilano in piazza, che non rivendicano diritti particolari. Ognuno di noi ne conosce qualcuno. Nelle nostre menti però tutti gli omosessuali si sono trasformati in militanti gay, e questo falsa completamente il dibattito.

Poi arrivò l’omofobia. Ha un “suono” simile a una malattia (claustrofobia, aracnofobia,…), ma è una malattia inesistente, inventata dall’ideologia gay per i suoi scopi.

Discriminazione nei confronti degli omosessuali?

Il discorso discriminatorio comincia a diventare un po’ ridicolo: conoscete casi di persone rifiutate sul lavoro perché omosessuali?

Ragazze vengono invece rifiutate perché giovani spose a rischio di maternità.

Persone omosessuali siedono in Parlamento, sono ai vertici di diverse regioni, sono presenti nel mondo dell’arte, del teatro, della TV, del cinema, della letteratura, della moda, nelle università e nelle scuole di ogni ordine e grado, hanno una disponibilità di reddito ben superiore alla media, hanno organizzazioni nazionali a loro disposizione: la discriminazione non esiste.

La cosa è talmente vera che i casi vengono cercati ed enfatizzati ad arte, come il recente fatto del “gay fuori dal coro parrocchiale”.

La finta malattia detta omofobia serve solo a zittire coloro che contestano l’ideologia gay (si dà dell’omofobo un po’ come un tempo si dava del fascista). All’estero siamo già arrivati alla discriminazione rovesciata: alla fine del 1998 il 25% dei ministri maschi del governo Blair erano omosessuali dichiarati.

Adesso arriva il “gender”. Esplode in Italia dopo una lunga preparazione a livello di ONU e Comunità Europea. Una serie di amministrazioni pubbliche si sono già dotate di testi che contengono la parola “genere”, spesso inserita giocando sulla buona fede degli amministratori che ritengono “genere” la parola elegante da usare al posto di “sesso”.

Ho letto sull’Unità che l’ISTAT fa già le statistiche di “genere” (uno degli infiniti sprechi di denaro pubblico). Solo adesso che la parola è presente ovunque si comincia a spiegare che i generi non sono i due sessi, ma sono 5, o 7, o più ancora.

Viene già usata la parola “omocrazia”?

Prima o poi bisognerà usarla. Non perché i militanti gay sono presenti ovunque nelle istituzioni (questo è ovviamente legittimo, se c’è chi li vota), ma perché già avvengono episodi come questo: in una scuola non lontana dal mio paese, per il “monteore” degli studenti viene promosso un incontro con rappresentanti di una associazione gay sul tema, scontato, dell’omofobia; una rappresentante degli studenti chiede ai militanti gay la presenza di una controparte; la risposta: “Non è possibile, perché la controparte a questo gruppo sarebbe un omofobo”.

In Italia si può prendere in giro Prodi, si può deridere Berlusconi, si può satireggiare il Papa fino all’insulto, ma un militante gay non può nemmeno essere contraddetto. Ognuno giudichi da sé questo episodio. Io lo riassumo in due parole: la Casta.