L’idea piena di libertà di Boris Nikolaevic Eltsin

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Boris Nikolaevic Eltsin

Avvenire, 26 aprile 2007

Mantenne la promessa fatta a Giovanni Paolo II. Non è un caso che il defunto presidente, primo leader democratico, sia stato anche il primo ad avere un funerale religioso dai tempi degli zar

di Luigi Geninazzi

No, non è un caso che Boris Eltsin, il primo leader democratico della Russia, sia stato anche il primo ad avere un funerale religioso dai tempi degli zar. L’estremo saluto all’ex presidente che mise fine all’impero sovietico ha avuto luogo ieri pomeriggio nella cattedrale di Cristo Salvatore, distrutta da Stalin e ricostruita proprio durante la presidenza eltsiniana come segno visibile della rinascita post-comunista.

Un intreccio di simboli che è stato richiamato dal Patriarca di Mosca, Alessio II, nel suo omaggio al leader scomparso: «La Russia sta tornando alle sue tradizioni e lo dimostra il fatto che per la prima volta dopo tanti anni stiamo dicendo addio ad un capo di Stato all’interno di una chiesa».

Se è successo tutto questo il merito va ad un ex comunista divenuto ferocemente anti-comunista come Eltsin. Con lui si è realizzata quel che Berdjaev definiva «l’idea russa», uno speciale rapporto tra il popolo e la religione che non degenera nella violenza e nell’intolleranza.

Boris Nikolaevic, come ha raccontato una volta sua madre, venne battezzato da piccolo secondo la tradizione russa, ma rimase fondamentalmente un agnostico fino agli ultimi anni della sua vita quando iniziò ad avvicinarsi alla pratica religiosa.

Al di là delle sue convinzioni personali quel che la storia ricorderà è il grande rispetto che Eltsin ha mostrato nei confronti della religione in un Paese dominato per oltre mezzo secolo da un ateismo soffocante ed oppressivo. Ci teneva alla libertà, prima di tutto quella religiosa. L’aveva promesso a Giovanni Paolo II nella prima storica visita che compì in Vaticano il 20 dicembre del 1991, all’indomani della fine dell’Unione Sovietica.

In quell’occasione il presidente della Federazione Russa che di lì a cinque giorni avrebbe preso il posto di Gorbaciov al Cremlino affermò solennemente che avrebbe garantito la piena libertà «a tutte le confessioni religiose senza alcuna distinzione». L’avrebbe dimostrato coi fatti qualche anno più tardi, respingendo una legge sul culto, già approvata dal Parlamento, che penalizzava le minoranze religiose a cominciare dalla piccola comunità cattolica. E, vale la pena ricordarlo, si rifiutò di firmare una legge iniqua nonostante le pressioni della Chiesa ortodossa e gli umori nazionalistici della Russia profonda.

È per questo che va onorata la memoria di Eltsin, per la sua strenua difesa del principio di libertà in un Paese che era diventato sinonimo di dittatura. Il che non cancella i suoi tragici errori, la sua colpevole indifferenza e inettitudine di fronte agli abusi della libertà che consegnarono la Russia dei caotici anni Novanta alla mafia degli oligarchi, agli intrighi di palazzo e all’avventurismo bellicoso dei militari.

L’Occidente non ha mai avuto grande simpatia per questa figura irruente dai lineamenti asiatici e dai comportamenti bizzarri. La democrazia in Russia, portata sulle ali di Corvo Bianco, sembrava un’impresa ad altissimo rischio. Per questo le cancellerie occidentali, ma anche l’opinione pubblica europea, per molto tempo gli ha preferito il leader della perestrojka che aveva i modi cordiali da zapatnik e sognava un comunismo “bello e impossibile”.

Oggi anche l’ex nemico Gorbaciov s’inchina davanti a Eltsin, l’uomo che diede la spallata finale al comunismo sovietico. E tanti connazionali lo rimpiangono per quella sua idea di libertà, così lontana dalla “democrazia guidata” del suo successore.