Le Donne che mancano all’appello

aborto selettivoLa Civiltà Cattolica n.3753 4 novembre 2006

Negli ultimi decenni la proporzione tra uomini e donne, specialmente in alcuni grandi Paesi dell’Asia, è stata alterata a sfavore delle donne, che nascono in misura minore rispetto alle normali leggi demografiche. Il fenomeno è provocato perché i genitori preferiscono avere un bambino, anziché una bambina. Potendosi oggi conoscere in anticipo il sesso del nascituro, vengono eliminati con l’aborto i feti femminili, quando non si ricorre addirittura all’infanticidio.

di Giampaolo Salvini s.j.

Solo lentamente il mondo sta prendendo coscienza di un fenomeno inedito, molto triste e inquietante, che rischia, specialmente in alcuni Paesi asiatici, di avere profonde ripercussioni sulla popolazione. La proporzione tra uomini e donne, da circa 25 anni, è stata alterata. Com’è noto da sempre ai demografi, in ogni popolazione umana nascono ogni anno più bambini che bambine e l’eccedenza in genere è costante: nascono tra 104 e 108 maschi per ogni 100 femmine. «Questo lieve eccesso […] non è un fenomeno limitato nel tempo e nello spazio, ma si verifica per tutti i popoli e per tutti i tempi conosciuti»(1).

Ma negli anni successivi alla nascita il numero dei maschi che muoiono è costantemente superiore a quello delle femmine (in particolare nei primi cinque anni di vita), con il risultato che in tutte le popolazioni la vita media delle donne è più lunga di quella degli uomini, e ad età avanzata si contano sempre più donne che uomini in una determinata popolazione.

I motivi della maggiore mortalità maschile vengono in genere attribuiti a una maggiore resistenza dell’organismo femminile, ma anche al fatto che nella grande maggioranza dei casi sono gli uomini a svolgere i lavori più pericolosi (minatori, soldati, autisti di trasporti pesanti o a lunga percorrenza ecc.) o a praticare gli sport più a rischio (corse in moto e in auto, acrobazie di vario tipo ecc.) (2).

Questa proporzione tra maschi e femmine, lungamente studiata e documentata, conosce negli ultimi decenni vistose deviazioni dalla norma, specialmente in alcuni Paesi asiatici, ma non solo, dove si constata un’anomala diminuzione delle nascite di bambine. Fu l’economista indiano Amartya Sen, oggi attivo negli Stati Uniti e premio Nobel per l’economia, a lanciare uri primo grido di allarme capace di suscitare una certa risonanza a livello internazionale, nel 1990 (3). Ma nessuno si è inquietato più di tanto.

La spiegazione non è difficile da trovare: poiché per una serie di ragioni culturali, politiche, economiche buona parte delle famiglie preferisce avere un figlio anziché una figlia, e, poiché oggi è possibile conoscere in antecedenza il sesso del nascituro, si fa ricorso all’aborto, se non all’infanticidio, per eliminare la nascita di una bimba non desiderata. Si tratta quindi di un fenomeno provocato, non naturale. Qualcuno ha parlato di gendercide («genericidio»).

Quante bambine mancano all’appello?

In Cina e in alcuni Stati indiani si comincia ad avvertire la mancanza di donne al momento del matrimonio: molti giovani emigrano in altri Stati per trovare una moglie, o si «importano» donne straniere (ad esempio, dal Vietnam) per potersi sposare o avere una compagna. Alle volte si tratta di veri e propri rapimenti o di «acquisti» di donne e ragazze vietnamite o nordcoreane, vendute poi nelle campagne cinesi.

Le agenzie che si incaricano di adozioni internazionali e che si prestano anche a questi traffici hanno difeso pratiche di questo tipo sostenendo che il rivendere le bambine all’estero le salva dall’infanticidio e procura un profitto alle famiglie più diseredate (4). «Si calcola che a partire dal 2010, ogni anno più di un milione di cinesi resteranno candidati al matrimonio frustrati, per mancanza di donne» (5).

Sono soprattutto la Cina e l’India a risentire del fenomeno in forma massiccia, e poiché si tratta di due Paesi che da soli rap­presentano più di un terzo della popolazione mondiale (il 37%) la tendenza è perlomeno inquietante, poiché, se non altro, si tratta di una grave forma di discriminazione verso le donne, selezionate sia prima della nascita, sia nei primi anni di vita, offrendo alle bambine minori probabilità di sopravvivenza.

Di fatto nascono meno bambine, e più bambine muoiono nei primi anni di vita rispetto ai maschietti. Se la tendenza si protrae per un certo numero di anni, lo squilibrio demografico diventa inevitabile a favore dei maschi. In realtà il numero dei figli, cioè la natalità, è in diminuzione e questo fa sì che la preferenza per il figlio maschio, già resistente, si esasperi, rompendo un equilibrio millenario.

In Cina insieme con il comunismo in economia, ci si è lasciati anche la difesa dell’uguaglianza dei sessi, che il comunismo predicava con fervore, e le strutture sociali ed economiche che nei secoli passati favorivano i maschi sono risorte prepotentemente. L’India, settima potenza economica mondiale, mostra lo stesso atteggiamento, senza essere passata attraverso le teorie marxiste. A questi due grandi Paesi occorre aggiungere anche Pakistan, Bangladesh, Taiwan, Corea del Sud e Indonesia (quest’ultima in minore misura): messi insieme sono Paesi che riuniscono metà della popolazione mondiale attuale, cioè circa tre miliardi di abitanti.

Il continente più femminile è attualmente l’Europa, che, secondo i dati del 2000, conta a livello generale di popolazione (cioè calcolando tutti gli abitanti, di qualunque età) 92,7 uomini ogni 100 donne, seguita da Stati Uniti e Canada con 96,9, dall’America Latina con 97,5 e dall’Oceania con 99,5. L’Africa, sempre nel 2000, presenta una situazione di quasi equilibrio, con 99,8 uomini ogni 100 donne. L’Asia invece conta in media 103,9 uomini 100 donne, con notevoli differenze da uno Stato all’altro: l’Indonesia ha 100,6 uomini ogni 100 donne (6), l’India 102,5, la Cina 105,6 e il Pakistan 106,6.

Nelle singole regioni i dati possono essere peggiori: in due Stati dell’India, Punjab e Hàryana, nel 1997 si contavano 75 donne ogni 100 uomini. Ma lo Squilibrio demografico è ben maggiore se si riconsiderano le statistiche alla nascita: in Cina si contano 117 bambini ogni 100 bambine, in India 111, in Corea del Sud 108, in Indonesia (tra i bambini inferiori a 1 anno) 106. In Georgia e in Armenia rispettivamente, 118 e 120. Nei Paesi del Caucaso (Georgia, Armenia e Azerbaigian) la proporzione dei maschi si è brutalmente accresciuta a partire dalla metà degli anni Novanta, raggiungendo quasi la Cina. Ma il fenomeno non si è esteso ai Paesi vicini: Ucraina, Russia e Turchia.

L’Asia è quindi il continente più maschile del pianeta. Ma anche in altri Paesi cominciano a notarsi tendenze analoghe, come in Ecuador, Messico, Perù e Paraguay, e in misura minore anche in Bolivia, Iran, Nigeria e Arabia Saudita. È molto difficile fornire cifre globali, ma alcuni studiosi parlano di 150-180 milioni di donne che già mancano all’appello, cioè risultano mancanti in base alle normali leggi demografiche.

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet, gli aborti selettivi in India sono 500.000 all’anno, e il fenomeno sarebbe in espansione. Quando le bambine e i bambini nati in questi anni arriveranno all’età nuziale, sarà inevitabile uno squilibrio che si risolverà nell’assenza di un numero sufficiente di possibili mogli. In Cina si calcola che dopo il 2010 lo squilibrio sarà particolarmente acuto, arrivando al 20% verso il 2030, quando ogni anno circa 1,6 milioni di uomini non potranno trovare una moglie della stessa età.

Società in cui nascere donna è una sciagura

In passato in alcuni Paesi si faceva ricorso all’infanticidio per i neonati non desiderati o che una famiglia pensava di non poter mantenere. Anche in Italia l’istituzione delle «ruote» nei conventi di molte città, in cui deporre i neonati rifiutati, per evitare gli infanticidi testimoniò per secoli l’esistenza del doloroso fenomeno dell’abbandono dei neonati, ma non si trattava soltanto di bambine. In India l’infanticidio era soprattutto femminile anche in passato, ed è stato studiato da almeno un secolo.

Sembra che inizialmente fosse un fenomeno limitato ad alcune aree o caste. Ultimamente però si è esteso un po’ dovunque, ma soprattutto è grandemente aumentato il numero di aborti selettivi a danno dei feti femminili. La morte di bambine in numero maggiore rispetto ai maschietti tra 1 e 5 anni di età (contro la norma che vede in ogni Paese morire più bambini che bambine nei primi anni di vita) oggi però sembra dovuta più a una serie di discriminazioni in fatto di alimentazione, cure mediche ecc., che non per diretta soppressione.

Uno studio dell’Onu del 1998 rileva che oggi il 50% dell’umanità vive in Paesi nei quali le disuguaglianze tra i sessi provocano una sovramortalità delle bambine (7). In Cina la mortalità delle bambine nei primi 5 anni di vita supera quella dei maschi del 28%, caso unico al mondo.

La Cina è il Paese più noto e più studiato per questo dramma, provocato o accelerato anche dal diretto intervento delle autorità dopo gli anni Settanta in materia demografica, intervento diretto a limitare la crescita della popolazione dell’immenso Paese. Negli anni Settanta infatti il Governo cinese, temendo un’esplosione demografica incontenibile, impose la regola del figlio unico per ogni famiglia in molte regioni del Paese, sperando di elevare contemporaneamente il livello di vita e di aumentare la stabilità politica.

Vennero offerti incentivi economici per far osservare la norma del figlio unico, infliggendo sanzioni gravi alle famiglie che non obbedivano. In una società nella quale già esisteva la preferenza per il figlio maschio (8),  infanticidi femminili e aborti selettivi si sono moltiplicati. L’ex-ministro cinese per la pianificazione familiare, Peng Peiyun, ha ammesso candidamente che la politica del figlio unico ha fatto sì che le donne finiscano per essere trattate come merci. Il numero di figli ogni donna è sceso da più di 5 all’inizio degli anni Settanta e meno di 2 (9).

Taiwan e Corea del Sud hanno ormai una natalità tra le più basse del mondo (1,2 figli per donna). In India dove pure il Governo preme per una riduzione del numero dei figli, si è già scesi da 5 figli a meno di 3. Ma, anche se si dice che l’ideale sia avere un bambino e una bambina, le famiglie desiderano un bambino o più, ma al massimo una bambina.

La preferenza per i figli maschi rispecchia mentalità e culture profondamente radicate non soltanto nei Paesi poveri o nelle zone agricole. Le famiglie cercano in tutti i modi di avere un erede maschio perché il nome della famiglia e la continuità della linea familiare  vengono assicurati nella maggioranza delle società dai maschi (famiglie patrilineari). In Cina, a Taiwan e in Corea, l’assenza significa la fine della linea familiare e del culto degli antenati.

In India è il maschio che si occuperà dei riti funebri dei genitori, i quali, senza un degno funerale, secondo la credenza locale saranno condannati a vagare per l’eternità. In Cina, anche dopo la privatizzazione delle campagne, sono i maschi a poterne essere assegnatari. Inoltre dal figlio ci si attende la cura dei genitori quando saranno vecchi.

La Cina, ad esempio, dispone di un sistema di pensioni molto limitato, e si pensa che soltanto i figli maschi potranno provvedere ai genitori anziani. La figlia, infatti, se si sposa, diventa «proprietà» del marito, andrà fuori di casa lasciando i genitori senza il reddito di quanto guadagna e senza il lavoro di casa, mentre sarà la famiglia dello sposo a ricevere una lavoratrice che essa non deve mantenere durante l’infanzia dei suoi bambini.

Se queste sono ragioni per preferire un figlio maschio, vi sono altri motivi che fanno sottovalutare le femmine e che fanno comprendere le scelte operate dalle famiglie in questo tipo di abusi. Le figlie hanno in genere minori possibilità di guadagno economico rispetto ai ragazzi. Esse infatti hanno minor accesso al mercato del lavoro remunerato (e soprattutto a quello ben remunerato) e minori possibilità di ricevere la formazione e l’addestramento adeguati che lo renderebbe possibile.

Una famiglia povera spesso non desidera aggiungere le spese che comporta un nuovo figlio se non si prevede che in futuro porterà un beneficio economico alla famiglia. In Cina anche una ragazza che ha studiato e ha trovato un lavoro invia alla famiglia di origine meno denaro di quanto farebbe un maschio, se non altro perché lo deve anzitutto offrire al marito al quale è subordinata.

La preferenza per il figlio maschio si manifesta così nell’infanzia in una migliore alimentazione, migliori cure mediche, vaccinazioni più puntuali, una migliore abitazione ecc. peri maschi, ai quali vengono dedicate le poche risorse disponibili in famiglia. Ma lo stesso sembra avvenire in non pochi casi anche in famiglie abbienti.

Alcune società poi hanno rigidi usi sociali che rendono l’educazione di una figlia molto più costosa di quella di un figlio. In alcune regioni dell’India, ad esempio, è costume che alla nascita di una bimba la famiglia offra una festa o un regalo a tutti gli abitanti del villaggio. Una cerimonia «adeguata» può rovinare una famiglia povera. In molti Paesi il sistema della dote, secondo il quale la famiglia deve pagare una notevole somma allo sposo affinchè questi sposi la ragazza, è un vero flagello.

La pratica in molti Stati è illegale, ma ciò nonostante ampiamente diffusa. Così il matrimonio di una figlia può rovinare una famiglia, mentre il matrimonio di un figlio la arricchisce. Per aggirare il divieto della dote, ci si attende che la famiglia della sposa faccia alla propria figlia numerosi regali che la aiutino a impiantare la nuova casa. E il genero, o la sua famiglia (in particolare la suocera), possono continuare a lungo in questo genere di richieste.

In alcuni Paesi dell’Africa è viceversa lo sposo a dover «comprare» la sposa con denaro o capi di bestiame per compensare la famiglia di lei della perdita della figlia: infatti in Africa sono le donne che compiono buona parte del lavoro in campagna e in casa. Inutile dire che in questi Paesi un tale tipo di discriminazione non esiste: ogni bambina che nasce è un investimento.

È chiaro che il valore di una bambina non si valuta soltanto in termini economici, come purtroppo sembra alle volte avvenire, quando si pensa, ad esempio, che la famiglia, se alleva una figlia, compie una fatica «inutile». Un proverbio locale indiano dice: «Allevare una ragazza è come innaffiare la pianta del vicino»; e uno cinese: «Una figlia sposata è acqua buttata via».

Non sono poche poi le donne la cui vita si svolge in condizioni così umilianti o miserabili che non desiderano avere una figlia destinata a vivere in futuro nelle stesse condizioni e nella stessa infelicità nelle quali esse si sono trovate. Preferiscono non farle nascere o eliminarle appena nate. «Molte donne delle regioni feudali dell’India non vogliono avere una figlia che dovrà vivere nella stessa miseria, umiliazione e dipendenza che sembrano definire le loro vite», ha dichiarato V. Parthasarathy, presidente dal’India’s National Commission for Wotnen (10).

In Cina spesso si crede che sia la donna a determinare il sesso del nascituro, mentre come è noto, dal punto di vista genetico è l’uomo a determinarlo. Così molte donne vengono rimproverate quando mettono al mondo una femmina, se non addirittura, in casi documentati, avvelenate, strangolate, prese a bastonate e socialmente ostracizzate per «aver fallito» nel dare un figlio al marito.

La pressione è così forte che molte mamme piangono quando vengono a sapere di aver dato alla luce una bimba. Ma è evidente che l’argomento di non eliminare le bambine prima o dopo la nascita, perché questo può produrre una scarsità di mogli, riflette una visione molto impoverita della dignità della donna e del suo ruolo futuro nella vita. Inoltre è un argomento che rinforza la svalutazione della vita della donna che sembra contare soltanto se è importante in relazione all’uomo.

Infanticidio femminile e aborto selettivo

Mentre l’infanticidio, vietato attualmente in tutti gli Stati, sembra giocare oggi un ruolo relativamente secondario nell’eliminazione delle bambine, una parte preponderante viene oggi dalla pratica dell’aborto. Con le nuove tecniche che consentono di determinare il sesso del nascituro, è stata aperta la via per selezionare la figlia o il figlio desiderati.

Nel 1970 si iniziò con la pratica dell’amniocentesi. Uno dei primi studi in proposito rilevò che in una clinica urbana in India 430 donne su 450, alle quali era stato detto che attendevano una bambina, preferirono abortire, mentre tutte le 250 donne il cui feto era maschile portarono a termine la gravidanza, anche nei casi in cui esisteva la possibilità di malformazioni genetiche. Ma l’uso dell’amniocentesi è rimasto limitato ad alcune aree urbane.

È stato il diffondersi della rilevazione con il metodo degli ultrasuoni (ecografia), a metà degli anni Ottanta, che ha aumentato enormemente la determinazione del sesso prima della nascita. Il metodo infatti si diffuse rapidamente anche nelle campagne (11). Nelle zone rurali del Maharashtra, in India, una donna ogni sei sposate che aveva abortito nei 18 mesi precedenti dichiarò di averlo fatto dopo un’ecografia che aveva stabilito che il feto era femminile.

Risultati analoghi si sono avuti da indagini svolte in Cina. Se inizialmente si pensava che ad abortire fossero soprattutto donne che avevano già delle figlie, uno studio compiuto nel Nord dell’India mise in evidenza che la selezione tesa a eliminare le femmine avveniva anche nel caso del primo parto o di donne che avevano già dei maschi.

Con l’amniocentesi è possibile stabilire il sesso del nascituro intorno alla 18a-20a settimana di gravidanza; con l’ecografia intorno alla 13°-14°  settimana, anche se la precisione della diagnosi aumenta con l’avanzare della gravidanza; con il metodo Cvs (chorionic villus sampling), diffusosi negli anni Novanta, i più abbienti hanno accesso a una tecnica che determina il sesso anche nella 6-7 settimana di gravidanza.

Le nuove tecniche consentono ora la selezione del sesso anche prima del concepimento, separando gli spermatozoi portatori del cromosoma X da quelli che portano il cromosoma Y (che danno vita a un maschio) e usando soltanto i secondi per la fecondazione in vitro o per l’inseminazione artificiale. Oggi è pure possibile, anche se assai costoso, determinare il sesso di un embrione prima del suo impianto nell’utero, per chi vuole ricorrere a queste pratiche.

Mentre le donne operano questa selezione, come si è accennato, per una serie di motivi che possono essere costringenti, è diffìcile negare che i medici che effettuano questi esami lo fanno soprattutto per motivi venali. Gli operatori sanitari di questi Paesi appartengono allo stesso tipo di società che attribuisce un maggior valore ai figli rispetto alle figlie, ma, a differenza delle donne, non sono vittime delle strutture sociali del loro Stato.

Innegabilmente la selezione del sesso dei figli si è dimostrata un grande affare e ha condotto alla proliferazione delle cliniche che usano gli ultrasuoni un po’ in tutta l’India, persino in remote comunità rurali che non hanno accesso ad altri servizi sanitari. Molte di queste cliniche non dispongono neppure di personale medico adeguatamente preparato. E ciò avviene anche se tutti sono teoricamente convinti che i medici non dovrebbero mai trarre profitto da pratiche contrarie all’etica.

Che cosa fare

Di fronte all’estendersi del fenomeno si è tentato anzitutto di modificare la legislazione. In ogni Paese esistono leggi che proibiscono l’infanticidio, senza distinzione di sesso. La Corea del Sud già nel 1987 ha proibito che si rivelasse di che sesso è il nascituro. La Cina lo ha fatto nel 1989-90 con varie leggi che proibiscono ogni discriminazione nei confronti delle bambine.

Una legge più recente commina fino a tre anni di prigione al medico che rivela il sesso del nascituro. In India la legge che vieta le tecniche per la diagnosi prenatale (Regulation and Prevention of Misure) del 1994, ma che entrò in vigore nel 1996, rese la pratica illegale, comminando carcere e multe per quanti rivelano ai genitori il sesso dei nascituri, ma la legge continua ad essere largamente violata.

La maggioranza di queste leggi proibiscono i tesi che consentono di determinare il sesso del nascituro, ma non proibiscono l’aborto compiuto in base al test stesso. In tutti questi Paesi esistono infatti leggi molto liberali che consentono l’aborto, e naturalmente una donna che desidera abortire può addurre facilmente motivi diversi da quello di non volere una figlia, tanto più che alcune di queste tecniche, come quella basata sugli ultrasuoni, possono venire usate durante la gravidanza per altre ragioni diagnostiche.

Appare chiaro però, anche da quanto abbiamo esposto, che non si tratta soltanto di problemi legislativi, ma di aspetti culturali, spesso profondamente inseriti nella società del proprio Paese. Colpire soltanto le donne che compiono queste scelte può rischiare di colpevolizzare una volta ancora donne che sono già vittime di una società che le emargina e discrimina, aggiungendo una nuova sofferenza.

Poiché uno degli assiomi di ogni società di oggi è che, se un’azione è tecnicamente possibile e se è oggetto di domanda (in senso economico), essa si può sempre compiere, la tecnologia aiuterà sempre purtroppo quanti desiderano operare una discriminazione sessuale di questo genere, a meno che non se ne affrontino le cause. La Cina nel 2001 ha lanciato una campagna intitolata «Più stima per le figlie», cercando di promuovere l’uguaglianza dei sessi, a partire dall’educazione nelle scuole e dalla protezione delle famiglie che hanno soltanto figlie.

Questo tipo di famiglie in alcune regioni beneficiano di un fondo di sostegno e sono esentate dalle imposte agricole e dalle spese per la scolarità delle figlie sino a che raggiungano l’età per sposarsi. Il Governo vorrebbe riportare il tasso di natalità nelle proporzioni normali entro il 2010.

Ma, come si è detto, non è tanto un problema di leggi, quanto di cultura e di mentalità. Solo lentamente molte famiglie ammettono che sono le ragazze a restare più attaccate ai genitori e sono più attente ad essi quando invecchiano.

Soltanto cambiando usi e abitudini è probabile che anche concezioni patriarcali vengano modificate e che i genitori diventino più indifferenti al sesso dei figli. Per ora soltanto la Corea del Sud è riuscita a invertire la tendenza in quanto, anche grazie a una serie di leggi e di incentivi, le giovani coppie sono meno disposte a conservare le abitudini sessiste del passato.

Ma «se il deficit di donne continua la corsa attuale, approfondendosi di molti milioni ogni decennio, esso avrà pesanti ripercussioni. Chi dice infatti meno donne, dice meno figli a breve scadenza, quindi matematicamente meno figlie, quindi meno donne nelle generazioni future, quindi rallentamento rapido della crescita demografica nei Paesi oggi più popolati del mondo» (12). In pratica si tratta di un suicidio demografico.

Qualche osservazione conclusiva

Appare evidente che ci troviamo di fronte a una forma di pesante discriminazione a sfavore delle donne. Se ne è parlato poco in passato, anche perché in Occidente sembrava una conquista di libertà la scelta della donna di avere o non avere figli, interrompendo liberamente anche una gravidanza iniziata. Ma anche gli abortisti più accaniti cominciano ad avere dubbi sul fatto che il diritto della donna a scegliere il sesso del proprio figlio abbia la precedenza sul diritto alla giustizia e all’uguaglianza, che vengono chiaramente violate in una società che favorisce una discriminazione sistematica basata sul sesso.

L’uguale dignità di uomo e donna va chiaramente riaffermata e difesa, ma rischia di rimanere lettera morta se non si traduce anche in uguali possibilità e condizioni di vita e di realizzazione per le donne. Per i credenti poi è evidente che il piano di Dio sull’umanità contempla un’armonia tra i due sessi, numerica ma soprattutto qualitativa, che non è concesso all’uomo alterare se non vuole mettere a rischio la stessa esistenza della specie umana. Occorre rendere operativo il concetto di un’autentica «ecologia umana».

È più che mai necessario che ogni famiglia non pensi soltanto al proprio piccolo focolare, ma allarghi Io sguardo anche all’intera società, dalla quale non può prescindere e alla cui armo­nia, pensando all’oggi e al futuro, deve anch’essa provvedere. Oggi si è giustamente attenti a lasciare alle future generazioni un ambiente non depauperato delle risorse indispensabili. Sarebbe molto triste se preparassimo un futuro impoverito della risorsa principale, quella umana.

Note

1) M. BOLDRINI, Demografia, Milano, Giuffrè, 1956,106. Il dato più basso, al di fuori dei Paesi asiatici, dove la proporzione è stata sistematicamente alterata dall’intervento umano, oggi si registra in Ruanda, dove nascono 101 maschi per 100 femmine, e il più alto nel Suriname, con 108 bambini ogni 100 bambine. Non intendiamo qui addentrarci nella spiegazione di questi dati statistici, per la quale sono state formulate varie teorie. Il dato si riscontra anche nella maggioranza delle specie animali.

2) Fanno eccezione a questa regola pochissimi Paesi come il Bangladesh, dove uomini e donne hanno più o meno la stessa speranza di vita, e il Pakistan, in cui gli uomini vivono in media cinque mesi più delle donne, che vivono sistematicamente svantaggiate.

3) Cfr A. sen, «More than 100 million women are missing», in The New York Re-view of Books, november 20,1990.

4) Cfr youth advocate program international, Discrimination Against the Giri Child, Booklet No. 6, 10. Ringraziarne anche l’Aidos (Associazione italiana donne per lo sviluppo) per averci fornito questi e altri dati.

5) I. ATTANE’, «Vers le célibat forcé. L’Asie manque de femmes», in Le Monde diplomatique, n. 628, juillet 2006, 1.

6) In Indonesia negli ultimi anni i dati si sono pure squilibrati con un aumento dei maschi, e questo sia per la forte emigrazione di donne, specialmente verso l’Arabia Saudita, sia per lo squilibrio accennato, che si rileva già alla nascita.

7) Cfr P. AROKIASAMY, «Les variations régionales de la discrimination et de la surmortalité des petites filles en Inde», in Population 59 (2004) 949.

8) Secondo i detti della millenaria tradizione cinese, l’ideale per ogni famiglia era avere cinque figli, tre maschi e due femmine.

9) Non è escluso che le statistiche risultino in parte alterate per il fatto che molte bambine, benché «lasciate» nascere, non vengono denunciate all’anagrafe, sia per non incorrere in sanzioni, sia per non privarsi della possibilità di avere in seguito l’agognato figlio maschio. Le bambine non registrate rischiano poi di vivere come «morte viventi» in quanto prive di documenti e di diritti civili

10) Citato in YOUTH ADVOCATE PROGRAM INTERNATIONAL, Discrimination Against the Girl Child, cit., 8.

11) Cfr N. OOMMAN – B. R. GANATRA, «Sex Select: The Systematic Elimination of Girls», in Reproductive Health Matters, vol. 10, n. 19, may 2002, 185.

12) I. ATTANE’, «Vers le célibat forcé, L’Asie manque de femmes», cit., 17