Chirografo di Giovanni Paolo II sulla musica sacra

3 dicembre 2003

CHIROGRAFO DEL SANTO PADRE PER IL CENTENARIO DEL MOTU PROPRIO
“TRA LE SOLLECITUDINI” SULLA MUSICA SACRA

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Pubblichiamo di seguito il chirografo del Santo Padre Giovanni Paolo II in occasione del centenario del Motu Proprio “Tra le sollecitudini” sul rinnovamento della musica sacra, emanato da Papa San Pio X (22 novembre 1903):

CHIROGRAFO DEL SANTO PADRE

1. Mosso dal vivo desiderio “di mantenere e di promuovere il decoro della Casa di Dio”, il mio Predecessore san Pio X emanava, cento anni fa, il Motu proprio Tra le sollecitudini, che aveva come oggetto il rinnovamento della musica sacra nelle funzioni del culto. Con esso egli intendeva offrire alla Chiesa concrete indicazioni in quel vitale settore della Liturgia, presentandole “quasi a codice giuridico della musica sacra” [1].

Anche tale intervento rientrava nel programma del suo pontificato, che egli aveva sintetizzato nel motto “Instaurare omnia in Cristo”.La ricorrenza centenaria del documento mi offre l’occasione di richiamare l’importante funzione della musica sacra, che san Pio X presenta sia come mezzo di elevazione dello spirito a Dio, sia come prezioso aiuto per i fedeli nella “partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa” [2].

La speciale attenzione che è doveroso riservare alla musica sacra, ricorda il santo Pontefice, deriva dal fatto che essa, “come parte integrante della solenne Liturgia, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione ed edificazione dei fedeli” [3].

Interpretando ed esprimendo il senso profondo del sacro testo a cui è intimamente legata, essa è capace di “aggiungere maggiore efficacia al testo medesimo, affinché i fedeli […] meglio si dispongano ad accogliere in sé i frutti della grazia, che sono propri della celebrazione dei sacrosanti misteri” [4].

2. Questa impostazione è stata ripresa dal Concilio Ecumenico Vaticano II nel capitolo VI della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla sacra Liturgia, dove si richiama con chiarezza la funzione ecclesiale della musica sacra: “La tradizione musicale di tutta la Chiesa costituisce un patrimonio di inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell’arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria e integrale della liturgia solenne” [5].

II Concilio ricorda, inoltre, che “il canto sacro è stato lodato sia dalla Sacra Scrittura, sia dai Padri, sia dai Romani Pontefici che recentemente, a cominciare da san Pio X, hanno sottolineato con insistenza il compito ministeriale della musica sacra nel servizio divino” [6]. Continuando, infatti, l’antica tradizione biblica, a cui lo stesso Signore e gli Apostoli si sono attenuti (cfr Mt 26,30; Ef 5,19; Col 3,16), la Chiesa lungo tutta la sua storia ha favorito il canto nelle celebrazioni liturgiche, fornendo secondo la creatività di ogni cultura stupendi esempi di commento melodico dei testi sacri nei riti tanto dell’Occidente quanto dell’Oriente. Costante, poi, è stata l’attenzione dei miei Predecessori a questo delicato settore, per il quale hanno richiamato i principi fondamentali che devono animare la produzione di musica sacra, specie se destinata alla Liturgia.

Oltre al Papa san Pio X, sono da ricordare, tra gli altri, i Papi Benedetto XIV con l’Enciclica Annus qui (19 febbraio 1749), Pio XII con le Encicliche Mediator Dei (20 novembre 1947) e Musicae sacrae disciplina (25 dicembre 1955), ed infine Paolo VI con i luminosi pronunciamenti che ha disseminato in molteplici interventi. I Padri del Concilio Vaticano II non hanno mancato di ribadire tali principi, in vista di una loro applicazione alle mutate condizioni dei tempi.

Lo hanno fatto in uno specifico capitolo, il sesto, della Costituzione Sacrosanctum Concilium. Papa Paolo VI provvide poi alla traduzione in norme concrete di quei principi, soprattutto per mezzo dell’Istruzione Musicam sacram, emanata, con la sua approvazione, il 5 marzo 1967 dall’allora Sacra Congregazione dei Riti.

A quei principi di ispirazione conciliare occorre costantemente rifarsi per promuovere, in conformità alle esigenze della riforma liturgica, uno sviluppo che sia, anche in questo campo, all’altezza della tradizione liturgico-musicale della Chiesa. Il testo della Costituzione Sacrosanctum Concilium in cui si afferma che la Chiesa “approva ed ammette nel culto divino tutte le forme della vera arte, dotate delle dovute qualità” [7], trova gli adeguati criteri di applicazione nei nn. 50-53 dell’Istruzione Musicam sacram ora menzionata [8].

3. In varie occasioni anch’io ho richiamato la preziosa funzione e la grande importanza della musica e del canto per una partecipazione più attiva e intensa alle celebrazioni liturgiche9, ed ho sottolineato la necessità di “purificare il culto da sbavature di stile, da forme trasandate di espressione, da musiche e testi sciatti e poco consoni alla grandezza dell’atto che si celebra”10, per assicurare dignità e bontà di forme alla musica liturgica. In tale prospettiva, alla luce del magistero di san Pio X e degli altri miei Predecessori e tenendo conto in particolare dei pronunciamenti del Concilio Vaticano II, desidero riproporre alcuni principi fondamentali per questo importante settore della vita della Chiesa, nell’intento di far sì che la musica liturgica risponda sempre più alla sua specifica funzione.

4. Sulla scia degli insegnamenti di san Pio X e del Concilio Vaticano II, occorre innanzitutto sottolineare che la musica destinata ai sacri riti deve avere come punto di riferimento la santità: essa di fatto, “sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica” [11]. Proprio per questo, “non indistintamente tutto ciò che sta fuori dal tempio (profanum) è atto a superarne la soglia”, affermava saggiamente il mio venerato Predecessore Paolo VI, commentando un decreto del Concilio di Trento [12] e precisava che “se non possiede ad un tempo il senso della preghiera, della dignità e della bellezza, la musica – strumentale e vocale – si preclude da sé l’ingresso nella sfera del sacro e del religioso” [13].

D’altra parte la stessa categoria di “musica sacra” oggi ha subito un allargamento di significato tale da includere repertori i quali non possono entrare nella celebrazione senza violare lo spirito e le norme della Liturgia stessa. La riforma operata da san Pio X mirava specificamente a purificare la musica di chiesa dalla contaminazione della musica profana teatrale, che in molti Paesi aveva inquinato il repertorio e la prassi musicale liturgica.

Anche ai tempi nostri è da considerare attentamente, come ho messo in evidenza nell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia, che non tutte le espressioni delle arti figurative e della musica sono capaci “di esprimere adeguatamente il Mistero colto nella pienezza di fede della Chiesa” [14]. Di conseguenza, non tutte le forme musicali possono essere ritenute adatte per le celebrazioni liturgiche.

5. Un altro principio enunciato da san Pio X nel Motu proprio Tra le sollecitudini, principio peraltro intimamente connesso con il precedente, è quello della bontà delle forme. Non vi può essere musica destinata alla celebrazione dei sacri riti che non sia prima “vera arte”, capace di avere quell’efficacia “che la Chiesa intende ottenere accogliendo nella sua liturgia l’arte dei suoni” [15]. E tuttavia tale qualità da sola non basta.

La musica liturgica deve infatti rispondere a suoi specifici requisiti: la piena aderenza ai testi che presenta, la consonanza con il tempo e il momento liturgico a cui è destinata, l’adeguata corrispondenza ai gesti che il rito propone.

I vari momenti liturgici esigono, infatti, una propria espressione musicale, atta di volta in volta a far emergere la natura propria di un determinato rito, ora proclamando le meraviglie di Dio, ora manifestando sentimenti di lode, di supplica o anche di mestizia per l’esperienza dell’umano dolore, un’esperienza tuttavia che la fede apre alla prospettiva della speranza cristiana.

6. Canto e musica richiesti dalla riforma liturgica – è bene sottolinearlo – devono rispondere anche a legittime esigenze di adattamento e di inculturazione. E’ chiaro, tuttavia, che ogni innovazione in questa delicata materia deve rispettare peculiari criteri, quali la ricerca di espressioni musicali che rispondano al necessario coinvolgimento dell’intera assemblea nella celebrazione e che evitino, allo stesso tempo, qualsiasi cedimento alla leggerezza e alla superficialità.

Sono altresì da evitare, in linea di massima, quelle forme di “inculturazione” di segno elitario, che introducono nella Liturgia composizioni antiche o contemporanee che sono forse di valore artistico, ma che indulgono ad un linguaggio ai più incomprensibile. In questo senso san Pio X indicava – usando il termine universalità – un ulteriore requisito della musica destinata al culto: “… pur concedendosi ad ogni nazione – egli annotava – di ammettere nelle composizioni chiesastiche quelle forme particolari che costituiscono in certo modo il carattere specifico della musica loro propria, queste però devono essere in tal maniera subordinate ai caratteri generali della musica sacra, che nessuno di altra nazione nell’udirle debba provarne impressione non buona” [16].

In altri termini, il sacro ambito della celebrazione liturgica non deve mai diventare laboratorio di sperimentazioni o di pratiche compositive ed esecutive introdotte senza un’attenta verifica.

7. Tra le espressioni musicali che maggiormente rispondono alle qualità richieste dalla nozione di musica sacra, specie di quella liturgica, un posto particolare occupa il canto gregoriano. Il Concilio Vaticano II lo riconosce come “canto proprio della liturgia romana” [17] a cui occorre riservare a parità di condizioni il primo posto nelle azioni liturgiche in canto celebrate in lingua latina [18].

San Pio X rilevava come la Chiesa lo ha “ereditato dagli antichi padri”, lo ha “custodito gelosamente lungo i secoli nei suoi codici liturgici” e tuttora lo “propone ai fedeli” come suo, considerandolo “come il supremo modello della musica sacra” [19]. Il canto gregoriano pertanto continua ad essere anche oggi elemento di unità nella liturgia romana. Come già san Pio X, anche il Concilio Vaticano II riconosce che “gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non vanno esclusi affatto dalla celebrazione dei divini uffici” [20].

Occorre, pertanto, vagliare con attenta cura i nuovi linguaggi musicali, per esperire la possibilità di esprimere anche con essi le inesauribili ricchezze del Mistero riproposto nella Liturgia e favorire così la partecipazione attiva dei fedeli alle celebrazioni [21].

8. L’importanza di conservare e di incrementare il secolare patrimonio della Chiesa induce a prendere in particolare considerazione una specifica esortazione della Costituzione Sacrosanctum Concilium: “Si promuovano con impegno le scholae cantorum specialmente presso le chiese cattedrali” [22].

A sua volta l’Istruzione Musicam sacram precisa il compito ministeriale della schola: “E’ degno di particolare attenzione, per il servizio liturgico che svolge, il coro o cappella musicale o schola cantorum. In seguito alle norme conciliari riguardanti la riforma liturgica, il suo compito è divenuto di ancor maggiore rilievo e importanza: deve, infatti, attendere all’esecuzione esatta delle parti sue proprie, secondo i vari generi di canti, e favorire la partecipazione attiva dei fedeli nel canto. Pertanto […] si abbia e si promuova con cura specialmente nelle cattedrali e altre chiese maggiori, nei seminari e negli studentati religiosi, un coro o una cappella musicale o una schola cantorum” [23].

Il compito della schola non è venuto meno: essa infatti svolge nell’assemblea il ruolo di guida e di sostegno e, in certi momenti della Liturgia, ha un proprio ruolo specifico. Dal buon coordinamento di tutti – il sacerdote celebrante e il diacono, gli accoliti, i ministranti, i lettori, il salmista, la schola cantorum, i musicisti, il cantore, l’assemblea – scaturisce quel giusto clima spirituale che rende il momento liturgico veramente intenso, partecipato e fruttuoso.

L’aspetto musicale delle celebrazioni liturgiche, quindi, non può essere lasciato né all’improvvisazione, né all’arbitrio dei singoli, ma deve essere affidato ad una bene concertata direzione nel rispetto delle norme e delle competenze, quale significativo frutto di un’adeguata formazione liturgica.

9. Anche in questo campo, pertanto, si evidenzia l’urgenza di promuovere una solida formazione sia dei pastori che dei fedeli laici. San Pio X insisteva particolarmente sulla formazione musicale dei chierici. Un richiamo in tal senso è stato ribadito anche dal Concilio Vaticano II: “Si curino la formazione e la pratica musicale nei seminari, nei noviziati dei religiosi e delle religiose e negli studentati, come pure negli altri istituti e scuole cattoliche” [24].

L’indicazione attende di essere pienamente realizzata. Ritengo pertanto opportuno richiamarla, affinché i futuri pastori possano acquisire una adeguata sensibilità anche in questo campo.

In tale opera formativa un ruolo speciale viene svolto dalle scuole di musica sacra, che san Pio X esortava a sostenere e a promuovere [25], e che il Concilio Vaticano II raccomanda di costituire ove possibile [26]. Frutto concreto della riforma di san Pio X fu l’erezione in Roma, nel 1911, otto anni dopo il Motu proprio, della “Pontificia Scuola Superiore di Musica Sacra”, divenuta in seguito “Pontificio Istituto di Musica Sacra”.

Accanto a questa istituzione accademica ormai quasi centenaria, che ha reso e rende un qualificato servizio alla Chiesa, vi sono tante altre Scuole istituite nelle Chiese particolari, che meritano di essere sostenute e potenziate per una sempre migliore conoscenza ed esecuzione di buona musica liturgica.

10. Avendo la Chiesa sempre riconosciuto e favorito il progresso delle arti, non deve stupire che, oltre al canto gregoriano e alla polifonia, essa ammetta nelle celebrazioni anche la musica più moderna, purché rispettosa sia dello spirito liturgico che dei veri valori dell’arte. E’ perciò consentito alle Chiese nelle varie Nazioni di valorizzare, nelle composizioni finalizzate al culto, “quelle forme particolari che costituiscono in certo modo il carattere specifico della musica loro propria” [27].

Nella linea del mio santo Predecessore e di quanto stabilito più di recente dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium [28], anch’io, nell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia, ho inteso fare spazio ai nuovi apporti musicali menzionando, accanto alle ispirate melodie gregoriane, “i tanti e spesso grandi autori che si sono cimentati con i testi liturgici della Santa Messa” [29].

11. Il secolo scorso, con il rinnovamento operato dal Concilio Vaticano II, ha conosciuto uno speciale sviluppo del canto popolare religioso, del quale la Sacrosanctum Concilium dice: “Si promuova con impegno il canto popolare religioso, in modo che nei pii e sacri esercizi, come pure nelle stesse azioni liturgiche, […] possano risuonare le voci dei fedeli” [30]. Tale canto si presenta particolarmente adatto alla partecipazione dei fedeli non solo alle pratiche devozionali, “secondo le norme e le disposizioni delle rubriche” [31], ma anche alla stessa Liturgia.

Il canto popolare, infatti, costituisce “un vincolo di unità e un’espressione gioiosa della comunità orante, promuove la proclamazione dell’unica fede e dona alle grandi assemblee liturgiche una incomparabile e raccolta solennità” [32].

12. A riguardo delle composizioni musicali liturgiche faccio mia la “legge generale”, che san Pio X formulava in questi termini: “Tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più nell’andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto meno è degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme” [33].

Non si tratta evidentemente di copiare il canto gregoriano, ma piuttosto di far sì che le nuove composizioni siano pervase dallo stesso spirito che suscitò e via via modellò quel canto. Solo un artista profondamente compreso del sensus Ecclesiae può tentare di percepire e tradurre in melodia la verità del Mistero che si celebra nella Liturgia [34]. In questa prospettiva, nella Lettera agli Artisti scrivevo: “Quante composizioni sacre sono state elaborate nel corso dei secoli da persone profondamente imbevute del senso del mistero! Innumerevoli credenti hanno alimentato la loro fede alle melodie sbocciate dal cuore di altri credenti e divenute parte della Liturgia o almeno aiuto validissimo al suo decoroso svolgimento. Nel canto la fede si sperimenta come esuberanza di gioia, di amore, di fiduciosa attesa dell’intervento salvifico di Dio” [35].

E’ dunque necessaria una rinnovata e più approfondita considerazione dei principi che devono essere alla base della formazione e della diffusione di un repertorio di qualità. Solo così si potrà consentire all’espressione musicale di servire in maniera appropriata al suo fine ultimo che “è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli” [36].

So bene che anche oggi non mancano compositori capaci di offrire, in questo spirito, il loro indispensabile apporto e la loro competente collaborazione per incrementare il patrimonio della musica a servizio di una Liturgia sempre più intensamente vissuta. Ad essi va l’espressione della mia fiducia, unita all’esortazione più cordiale perché pongano ogni impegno nell’accrescere il repertorio di composizioni che siano degne dell’altezza dei misteri celebrati e, al tempo stesso, adatte alla sensibilità odierna.

13. Da ultimo, vorrei ancora ricordare ciò che san Pio X disponeva sul piano operativo, al fine di favorire l’effettiva applicazione delle indicazioni date nel Motu proprio. Rivolgendosi ai Vescovi, egli prescriveva che istituissero nelle loro diocesi “una commissione speciale di persone veramente competenti in cose di musica sacra” [37]. Là dove la disposizione pontificia fu messa in pratica i frutti non sono mancati.

Attualmente sono numerose le Commissioni nazionali, diocesane ed interdiocesane che offrono il loro prezioso apporto nella preparazione dei repertori locali, cercando di operare un discernimento che tenga conto della qualità dei testi e delle musiche. Auspico che i Vescovi continuino ad assecondare l’impegno di queste Commissioni, favorendone l’efficacia nell’ambito pastorale [38].

Alla luce dell’esperienza maturata in questi anni, per meglio assicurare l’adempimento dell’importante compito di regolamentare e promuovere la sacra Liturgia, chiedo alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti di intensificare l’attenzione, secondo le sue finalità istituzionali [39], al settore della musica sacra liturgica, avvalendosi delle competenze delle diverse Commissioni ed Istituzioni specializzate in questo campo, come anche dell’apporto del Pontificio Istituto di Musica Sacra.

E’ importante, infatti, che le composizioni musicali utilizzate nelle celebrazioni liturgiche rispondano ai criteri opportunamente enunciati da san Pio X e sapientemente sviluppati sia dal Concilio Vaticano II che dal successivo Magistero della Chiesa. In tale prospettiva, confido che anche le Conferenze episcopali compiano accuratamente l’esame dei testi destinati al canto liturgico [40], e prestino speciale attenzione nel valutare e promuovere melodie che siano veramente adatte all’uso sacro [41].

14. Sempre sul piano pratico, il Motu proprio di cui ricorre il centesimo anniversario affronta anche la questione degli strumenti musicali da utilizzare nella Liturgia latina. Tra essi riconosce senza esitazione la prevalenza dell’organo a canne, circa il cui uso stabilisce opportune norme [42]. Il Concilio Vaticano II ha recepito pienamente l’orientamento del mio santo Predecessore stabilendo: “Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, strumento tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere mirabile splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti” [43].

Si deve tuttavia prendere atto del fatto che le composizioni attuali utilizzano spesso moduli musicali diversificati che non mancano d’una loro dignità. Nella misura in cui sono di aiuto alla preghiera della Chiesa, possono rivelarsi un arricchimento prezioso. Occorre tuttavia vigilare perché gli strumenti siano adatti all’uso sacro, convengano alla dignità del tempio, siano in grado di sostenere il canto dei fedeli e ne favoriscano l’edificazione.

15. Auspico che la commemorazione centenaria del Motu proprio Tra le sollecitudini, per intercessione del suo santo Autore, unitamente a quella di santa Cecilia, patrona della musica sacra, sia di incoraggiamento e stimolo per quanti si occupano di questo importante aspetto delle celebrazioni liturgiche. I cultori della musica sacra, dedicandosi con rinnovato slancio ad un settore di così vitale rilievo, contribuiranno alla maturazione della vita spirituale del Popolo di Dio. I fedeli, per parte loro, esprimendo in modo armonico e solenne la propria fede col canto, ne sperimenteranno sempre più a fondo la ricchezza e si conformeranno nell’impegno di tradurne gli impulsi nei comportamenti della vita quotidiana.

Si potrà così raggiungere, grazie al concorde impegno di pastori d’anime, musicisti e fedeli, quello che la Costituzione Sacrosanctum Concilium qualifica come vero “fine della musica sacra”, cioè “la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli” [44]. Sia anche in ciò di esempio e modello la Vergine Maria, che seppe cantare in modo unico, nel Magnificat, le meraviglie che Dio opera nella storia dell’uomo.

Con questo auspicio a tutti imparto con affetto la mia Benedizione.

Dato a Roma , presso San Pietro, il 22 novembre, memoria di Santa Cecilia, dell’anno 2003, ventiseiesimo di Pontificato.

IOANNES PAULUS II

1 Pii X Pontificis Maximi Acta, vol. I, p. 77.
2 Ibid.
3 Ibid., n. 1, p. 78.
4 Ibid.
5 N. 112.
6 Ibid.
7 Ibid.
8 Cfr AAS 59 (1967), 314-316.
9 Cfr, ad esempio, Discorso al Pontificio Istituto di Musica Sacra nel 90° di fondazione (19 gennaio 2001), 1: Insegnamenti XXIV/1 (2001), 194.
10 Udienza generale del 26 febbraio 2003, 3: L’Osservatore Romano, 27 febbraio 2003, p. 4.
11 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 112.
12 Discorso ai partecipanti all’assemblea generale dell’Associazione Italiana Santa Cecilia (18 settembre 1968): Insegnamenti VI (1968), 479.
13 Ibid.
14 N. 50:01AAS 95 (2003), 467.
15 N. 2, p. 78.
16 Ibid., pp. 78-79.
17 Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 116.
18 Cfr S. Congregazione dei Riti, Istr. sulla musica nella sacra Liturgia Musicam sacram (5 marzo 1967), 50: AAS 59 (1967), 314.
19 Motu proprio Tra le sollecitudini, n. 3, p. 79.
20 Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 116.
21 Cfr ibid., 30.
22 Ibid., 114.
23 N. 19: AAS 59 (1967), 306.
24 Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 115.
25 Cfr Motu proprio Tra le sollecitudini, n. 28, p. 86.
26 Cfr Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 115.
27 Pio X, Motu proprio Tra le sollecitudini, n. 2, p. 79.
28 Cfr n. 119.
29 N. 49: AAS 95 (2003), 466.
30 N. 118.
31 Ibid.
32 Giovanni Paolo II, Discorso al Congresso Internazionale di Musica Sacra (27 gennaio 2001), 4: Insegnamenti XXIV/1 (2001), 239-240.
33 Motu proprio Tra le sollecitudini, n. 3, p. 7
34 Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 112.
35 N. 12: Insegnamenti XXII/1 (1999), 718.
36 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 112
37 Motu proprio Tra le sollecitudini, n. 24, p. 85.
38 Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus (4 dicembre 1987), 20: AAS 81 (1989), 916.
39 Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus (28 giugno 1988), 65: AAS 80 (1988), 877.
40 Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dies Domini (31 maggio 1998), 50: AAS 90 (1998), 745; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istr. Liturgiam authenticam (28 marzo 2001), 108: AAS 93 (2001), 719.
41 Cfr Institutio generalis Missalis Romani, editio typica III, 393.
42 Cfr Motu proprio Tra le sollecitudini, nn. 15-18, p. 84.
43 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 120.
44 Ibid., 112. [01906-01.03] [Testo originale: Italiano]