Lula calante

Pubblicato su Tempi n. 38 del 15 settembre 2005

Il presidente brasiliano si era presentato come il politico “puro”. Dopo gli scandali questa purezza è il suo cappio al collo. Parola di vescovo

di Filippo Santoro

Vescovo di Petròpolis, pubblicato nel Jornal do Brasil il 9 agosto 2005. Mons Filippo Santoro fa parte della Commissione episcopale di Dottrina della Cnbb

Le notizie di questi mesi  sulla corruzione in Brasile stanno diventando routine e sorge il grande sospetto che alla fine tutto verrà occultato, che tutto questo non porti a nulla. Tuttavia ciò che scandalizza non è solo lo spettacolo della corruzione, ma che questa corruzione, per ammissione dello stesso Presidente della Repubblica, coinvolga il partito che aveva fatto dell’etica la sua bandiera.

Per due anni è stata costruita un’ideologia che riconosceva nel Pt lo strumento del protagonista storico della liberazione del Brasile, i poveri; ed è stata elaborata un’utopia che si basava sulla purezza cristallina dei membri e dei dirigenti del partito, attraverso l’uso costante e strumentale della bandiera dell’etica.

Per molti ideologi, soprattutto di origine marxista, era etico e giusto quello che serviva alla conquista e alla conservazione del potere. Una parte della Chiesa ha appoggiato questo progetto ideologico che si basava sulla lotta sociale dei poveri, sulla collaborazione di intellettuali radicali e sul mondo del sindacato. In questo processo, però, si è totalmente dimenticato il limite radicale dell’uomo, il peccato originale, che riguarda indistintamente tutti e che quindi determina per ciascuno di noi la necessità di un redentore. Il Signore è la presenza “nuova” nella realtà; e i poveri e i semplici sono quelli che con maggiore facilità la riconoscono. La novità quindi è la presenza, non il progetto ideologico.

Dopo due anni di potere si è scoperto che molti dei leader del partito che è arrivato al governo del paese non sono puri e sono caduti negli stessi errori del potere borghese che attaccavano violentemente. L’etica è stata violata in maniera spaventosa. In realtà, ogni partito, così come ogni persona, ha in sé questa ferita profonda del male e di conseguenza nessuno si può considerare “senza peccato”.

Ogni partito fa quello che può, tenendo presente gli ideali che lo ispirano. Ma quello che è spaventoso è l’autoproclamazione del partito dell’etica, dei puri. E’ stato costantemente dichiarato: “non possiamo sbagliare”, e invece nelle vicende umane l’errore è una possibilità quotidiana che non deve essere giustificata, ma che bisogna ammettere.

E’ caduta la bandiera dell’etica del Pt, ma in qualche modo è caduta la bandiera della speranza, che dipende dal valore indistruttibile della coscienza personale, aperta al bene e contraria al male. In particolare, nell’esperienza cristiana, la speranza dipende dalla presenza in mezzo a noi di Cristo Liberatore, vivo nella comunione delle persone che lo amano e buona novella anche in relazione alle legittime battaglie dei poveri.

Per l’azione politica dei cattolici, sono decisive le indicazioni, date dalla Dottrina sociale della Chiesa, che suggeriscono di scegliere i partiti che più rispettano l’identità della Chiesa stessa offrendo la possibilità di tradurla in azioni concrete, di puntare al bene comune e a un amore particolare, sebbene non esclusivo, per i poveri. Per questo è legittimo il pluralismo nell’azione politica. Qualsiasi tentativo di presenza politica è sempre una traduzione limitata e parziale della ricchezza del messaggio del Vangelo.

Nelle presenti circostanze, il compito di tutta la società civile, e specialmente della Chiesa cattolica e delle varie religioni, consiste nel porre tutta l’enfasi necessaria sulla questione etica, non limitandosi solo a raccogliere il grido di indignazione che si leva dalla società, bensì indicando i vari fondamenti dell’etica stessa. Se non esistono punti fermi di riferimento per la coscienza morale, come posso dire che il furto, il mensalão e la corruzione sono sbagliati? La prima fonte della crisi etica, che ha raggiunto proporzioni spaventose, è la “dittatura del relativismo” di cui parla Benedetto XVI.

La speranza è ancora viva grazie al valore  della coscienza morale che è aperta all’infinito, all’assoluto che ha costituito il criterio di giudizio delle nostre azioni e di qualsiasi organizzazione politica. In molte persone questa speranza è molto viva. Come dimenticare l’immenso lavoro di enti civili e religiosi, delle comunità, delle parrocchie, dei movimenti ecclesiastici, e di tante persone di buona volontà, di leader della comunità e di persone semplici che, a partire da una fede viva, costituiscono piccole e grandi opere educative e di solidarietà?

In ogni caso sarà necessaria una riforma dello Stato e delle istituzioni, partendo dalla riforma politica e indicando uno scadenzario delle priorità. Ma questo grande lavoro avrà successo se sarà sostenuto dalla speranza di tutto un popolo che, a partire dalle sue convinzioni più profonde e dalla presenza in mezzo ad esso del significato della vita, rende più umano il luogo in cui vive. E questa è la speranza che non delude.