USTICA (Terza parte)

speciale pubblicato sul settimanale Tempi
Mig_Libia

Mig 23 libico in volo

di Paul Marschall

4. Giugno 1980. Lo scenario di una strage

La guerra fredda è all’apice, i sovietici hanno da poco installato i loro SS20 contro l’Europa, l’Italia ha stipulato con Malta un accordo politico-militare che la Libia considera ostile (e per un pugno di dollari passa al nemico tecnologie militari). Qualche buon presupposto per un atto di guerra nel Mediterraneo

Una premessa necessaria per rispondere a tanti misteri

Abbiamo fin qui dimostrato che il Dc9 Itavia (I) non è stato abbattuto dallo scoppio di una bomba, (II) che si possono chiaramente vedere i segni causati dall’attraversamento del relitto da parte di uno o due missili, e (III) che i tracciati radar ci dicono che un velivolo non identificato (UFO) negli istanti immediatamente precedenti la tragedia ha volato parallelo ad I-Tigi, ha accelerato, ha virato in direzione del Dc9 e pochi secondi dopo che il volo IH870 smetteva di inviare il suo codice di identificazione (codice SIF o Trasponder 1136) scompariva in direzione sud est.

Abbiamo anche appurato (ce lo ha confermato il perito Miggiano) che in quei momenti la difesa aerea presso il radar militare di Marsala, era impegnata a seguire tracce “strane”, tanto “strane” che presentavano tutte le caratteristiche della guerra elettronica.

Oltretutto dagli interrogatori dei militari presenti a Marsala quella sera, si è accertato che si stava svolgendo un’azione di “deception”, cioè un aereo trasmetteva segnali elettromagnetici falsificati per nascondere la sua reale posizione, e si era in stato di “strong hook”. Ma è plausibile tutto questo?

E chi e perché avrebbe interesse ad abbattere un aereo civile in tempo di pace? Sarà d’aiuto una efficace ricostruzione storica, presentata dai periti di parte civile Cinti e Di Stefano, e ripresa testualmente anche dal Giudice Priore nella sua sentenza-ordinanza.

L’Affaire Malta

L’isola di Malta divenne completamente indipendente dalla corona inglese nel marzo 1979, dopo 150 anni di dominio. La Libia, fin dal 1973, condusse una politica di buon vicinato con il governo locale, offrendo assistenza in campo economico e militare. Personale libico era presente sull’isola, con compiti di istruzione e controllo del traffico aereo.

Per il governo maltese, il problema più grave era, una volta raggiunta l’indipendenza, reperire le risorse economiche necessarie alla popolazione, visto che Malta aveva vissuto, fino ad allora, grazie al turismo e soprattutto all’affitto che l’Inghilterra pagava per l’uso del porto di La Valletta utilizzato dalla sua flotta militare in ambito NATO, anche se formalmente la NATO non avrebbe potuto avere basi militari all’infuori dei confini dei paesi membri.

La Gran Bretagna tentò ripetutamente di mantenere la disponibilità del porto, ma il governo locale fu irremovibile e la flotta inglese, poco tempo dopo l’indipendenza, dovette lasciare l’isola. Si trattava della perdita di una base importantissima per l’equilibrio strategico nel mediterraneo e in Medio Oriente.

Una testa di ponte libica contro Usa e Nato

Perduti i proventi dell’affitto del porto, venne in aiuto la Libia, la quale, nell’Ottobre 1979, investì 50 milioni di dollari nell’economia dell’isola. L’importanza strategica di Malta può essere spiegata nel fatto che chiunque l’avesse occupata militarmente avrebbe potuto installare batterie di missili antiaerei a lungo raggio che avrebbero minato la credibilità dell’aiuto militare USA a Israele, e più in generale la capacità USA di intervenire in Medio Oriente in difesa dei campi petroliferi vitali per l’economia europea e giapponese.

Tutto il Medio Oriente sarebbe, quindi, risultato indifendibile. Se la Libia fosse riuscita a portare le sue armi a Malta il prestigio di Gheddafi nel mondo arabo sarebbe cresciuto enormemente e avrebbe potuto esercitare un ricatto continuo di permettere l’approdo alla SOVMEDRON (la flotta militare sovietica del Mediterraneo).

Chi avesse avuto il controllo di Malta avrebbe potuto costringere il coinvolgimento europeo in un’eventuale crisi arabo-israeliana che comportasse la necessità di rifornimenti USA; come si ricorderà, nella crisi USA-Libia del 1986 Francia e Spagna non concessero agli F111 USAF che andavano ad attaccare la Libia il permesso di sorvolo e si noterà che se la Libia avesse controllato Malta il bombardamento di Tripoli sarebbe stato impossibile.

Un altro esempio è paragonabile: nel 1973 (guerra dello Yom-Kippur) i paesi arabi giustificarono l’embargo petrolifero nei confronti dell’Europa adducendo il fatto che i rifornimenti erano partiti o transitati su territori europei. In caso di nuova crisi militare i rifornimenti che gli USA avrebbero inviato a Israele dovevano necessariamente evitare di dover sorvolare qualsiasi stato europeo, ed erano ovviamente nell’impossibilità di sorvolare gli stati arabi nordafricani.

L’importanza dei rifornimenti USA ad Israele può essere spiegata con quanto accadde nel 1973: allo scopo di aiutare l’Egitto di Sadat in difficoltà, la SOVMEDRON uscì dal porto di Alessandria d’Egitto per schierarsi davanti alle coste israeliane, tenendo gli aerei USA impegnati nel ponte aereo per rifornire Israele sotto la minaccia dei missili antiaerei delle proprie navi.

Questo costrinse gli USA a fare pressioni per un armistizio su Israele, in quel momento in vantaggio risolutivo sul piano militare. Quella che sembrava una sconfitta militare, divenne per l’Egitto una grande vittoria politica. Ma nel 1974 l’Egitto cambiò alleanze, schierandosi con l’occidente e costringendo la SOVMEDRON a lasciare il porto di Alessandria, fino a quel momento fondamentale per gli equilibri dell’area del Mediterraneo.

Alleanza Atlantica in empasse

Si può quindi affermare che in nessun caso Malta poteva cadere in mano libica, ma si doveva fare senza dar modo all’URSS di poter intervenire direttamente nella questione. Si era nel mo-mento di maggior potenza militare e politica dell’Unione Sovietica, che, tra l’altro, invadendo l’Afghanistan, aveva messo i campi petroliferi dell’Arabia Saudita nel raggio d’azione delle sue truppe aerotrasportate.

È già stata ampiamente spiegata, inoltre, la posizione di forza dell’URSS nello scacchiere europeo, soprattutto dopo l’installazione di basi missilistiche SS-20 nei paesi del Patto di Varsavia, con la relativa risposta NATO che installava missili Pershing e Cruise sul territorio europeo, nonostante le proteste dei movimenti pacifisti che risulteranno poi essere stati infiltrati e strumentalizzati dal KGB, come ampiamente documentato dal cd. archivio Mitrokin.

Inoltre bisogna considerare che all’epoca la politica di potenza degli USA era sotto scacco per la presa in ostaggio, da parte di studenti integralisti islamici, del personale dell’ambasciata USA a Teheran e immobile dopo il fallimento del tentativo di liberarli (operazione “Eagle Claw”).

A ciò si aggiunga lo scandalo cd. “Billygate” che aveva come protagonista il fratello del Presidente Carter, coinvolto in affari di dubbia natura con la Libia. I limiti politici della possibilità di un intervento NATO nella questione Malta erano posti dal fatto che l’alleanza, per statuto, non può (o meglio non poteva all’epoca) intervenire militarmente fuori dai confini dei suoi stati membri. Era una regola non scritta ma tacitamente accettata e rigidamente rispettata sia dalla NATO che dal Patto di Varsavia.

Quando Gheddafi divenne socio Fiat

In Italia la situazione economica era, nel 1980, pesante. L’inflazione sfiorava il 20% annuo e la più grande industria italiana, la FIAT, aveva messo in cassa integrazione per 18 mesi 29.000 operai ed era stata costretta, per finanziare un esteso programma di ristrutturazione tecnologica, a vendere alla Banca di Stato Libica una importantissima quota azionaria, che faceva della Libia il secondo azionista della FIAT.

Dal punto di vista energetico, poi, la situazione era disastrosa, quasi da emergenza. Nel bel mezzo della seconda crisi energetica internazionale, causata dall’avvento al potere di Komeini in Iran, l’Italia aveva avuto tagliati i rifornimenti petroliferi dall’Arabia Saudita a causa dello scandalo poi definito ENI-Petronim che, avvenuto nel marzo 1980, da alcuni verrebbe anche letto come un’azione occulta tesa a rendere l’Italia ancor più dipendente dal petrolio libico, e quindi di appoggio alla Libia nell’Affare Maltese.

La Libia era il maggior fornitore di petrolio dell’Italia, e l’Italia il primo partner commerciale della Libia. Migliaia di italiani lavoravano nel paese africano, centinaia di imprese italiane eseguivano le commesse richieste dallo stato libico. Da 1/3 alla metà di quello che la Libia incassava con la vendita di petrolio, stimata quell’anno in 18/20 miliardi di dollari, veniva in Italia. Nel 1980, inoltre, tutte le industrie militari italiane avevano in corso importanti commesse per le forze armate libiche. La cosa era di tale mole che, alla fine del 1980, l’Italia risultò essere il maggiore esportatore di armi della CEE.

Italia-Malta, le relazioni pericolose

Nonostante l’Italia non avesse alcun interesse diretto per creare attriti con la Libia, ad eccezione di importanti risvolti strategici sul passaggio di Malta nell’orbita libica e quindi delle forze del Patto di Varsavia, offrì a Malta un trattato di assistenza politico-militare, che prevedeva, fra l’altro, la difesa dell’integrità territoriale maltese ad opera, se necessario, delle forze armate italiane, un cospicuo aiuto finanziario e la disponibilità di fornire mezzi per la ricerca petrolifera, in cambio di una politica di neutralità.

Questo trattato fu concepito inizialmente come un impegno quadrilaterale volto a garantire la neutralità di Malta (si veda al riguardo il libro dell’On. Zamberletti “La minaccia e la vendetta”), ma, dopo che gli altri garanti si furono defilati, risultò in un’azione italiana interpretata in funzione antilibica, ed è ovvio che la “difesa dell’integrità territoriale maltese” si riferisse anche alla difesa dei Banchi di Medina, considerati da Malta come territorio nazionale e come possibili banchi petroliferi (e che erano considerati allo stesso modo anche dalla Libia).

Ma è sicuramente riduttivo riportare la vicenda ad una semplice questione economica. In realtà l’importanza della vicenda era data da altri più complessi fattori.

Sui Banchi di Medina rischia il naufragio la pace mondiale

Una volta, comunque, perduti i proventi dell’affitto del porto Malta ottenne l’aiuto della Libia, la quale, nell’ottobre 1979, investì 50 milioni di dollari nell’economia dell’isola. La Libia già forniva petrolio a prezzi preferenziali, per l’accordo che consentiva la presenza sull’isola ai militari libici che, fra l’altro, gestivano la torre di controllo dell’aeroporto internazionale di La Valletta.

Ma un mese dopo, nel novembre 1979, con un atto che sapeva avrebbe causato una crisi con la Libia e forse la rottura dei rapporti, il governo maltese notificò a quello libico la sua intenzione di compiere ricerche petrolifere all’interno delle proprie acque territoriali. Malta sperava di poter emulare il suo ex padrone coloniale, e diventare autosufficiente con il petrolio sottomarino, o forse diventare addirittura esportatore di petrolio.

A tale scopo firmò un contratto con la Texaco Oil Company, che avrebbe dovuto eseguire ricerche sui Banchi di Medina. I Banchi di Medina, giova ricordarlo, sono una zona di mare a basso fondale situata a circa mezza strada fra la Libia e Malta, rivendicata sia da Malta che dalla Libia. Inutile dire che in base al diritto internazionale nessuno dei due governi poteva vantare una giurisdizione a oltre 100 miglia dalle proprie coste. I due governi decisero che avrebbero portato la controversia al giudizio del tribunale internazionale dell’Aia entro il 30 giugno 1980.

Nel frattempo nessuno dei due avrebbe eseguito ricerche petrolifere. Ma sembra che, mentre Malta rispettava questa clausola, la compagnia di stato libica iniziasse invece ad eseguire ricerche nella zona contesa. È ovvio che a questo punto il governo maltese avesse ben poche possibilità di cavarsela nei confronti del potente e agguerrito vicino, se non fosse venuto in suo aiuto qualcuno.

Malta trova aiuto da un altro potente vicino, l’Italia. Solo grazie all’appoggio italiano poté affrancarsi dalla dipendenza economica, e quindi politica, che si andava profilando nei confronti della Libia.

Occorre ancora ricordare come nel 1980 l’Europa fosse annichilita dallo schieramento dei sovietici SS20, missili nucleari di nuova generazione che rendeva non più credibile il deterrente atomico USA, dalla crisi economica, dal terrorismo interno. Decine di TIR dei paesi del Patto di Varsavia, trasformati in laboratori elettronici, giravano per l’Europa a controllare e catalogare la resistenza di ponti e strade al passaggio delle divisioni corazzate sovietiche.

Il 1980 è stato sicuramente l’anno più pericoloso per la pace mondiale e l’eventualità di una terza guerra non è mai stata così vicina. L’estrema debolezza politica, economica e militare dell’occidente, e soprattutto il virtuale annientamento di ogni capacità di reazione potevano causare il disastro di una terza guerra mondiale.

Mediterraneo. Cronache di un anno vissuto pericolosamente

Ma torniamo all’area del mediterraneo, a questo punto gli avvenimenti si susseguono incalzanti durante l’estate del 1980:

● il primo giugno il governo libico interrompe le forniture petrolifere a Malta

● l’11 giugno inizia la mattanza di esuli libici presenti in Italia, con il primo omicidio

●il 27 giugno viene abbattuto il DC9 Itavia, partito da Bologna per Punta Raisi e viaggiante con due ore di ritardo, mentre è seguito ad una distanza di circa 6 minuti di volo da un Boeing 707 della Air Malta (volo KM153)

● il 10 luglio vengono sequestrati dalla Libia due pescherecci italiani con a bordo 19 marinai (verranno rilasciati due anni dopo)

● il 18 luglio viene ritrovato un Mig 23 libico sui monti della Sila

● il 2 agosto prende posizione, sui Banchi di Medina, la nave da ricerche petrolifere dell’ENI Saipem 2, a dimostrazione, soprattutto ad uso interno maltese (le elezioni si sarebbero tenute entro breve tempo) della giustezza della politica filoitaliana di Dom Mintoff contro l’area politica filo-libica molto forte nell’isola. È la dimostrazione “politica” che l’Italia agisce seriamente e che il trattato produce i suoi effetti.

● Il 2 agosto l’On. Zamberletti, per conto del governo italiano, firma il protocollo d’intesa con il governo maltese relativo al trattato fra le due parti che esclude la Libia dal controllo dell’isola. È il coronamento di un lavoro diplomatico iniziato l’anno prima che disinnesca, rendendola neutrale, una possibile futura crisi politico militare incentrata sull’isola di Malta

● Il 2 agosto un ordigno esplode nella sala d’attesa di seconda classe della stazione di Bologna provocando 85 morti

● Il 6 agosto una parte dell’esercito libico si ribella e tenta un colpo di stato contro Gheddafi. I congiurati saranno sconfitti dall’intervento di unità militari della Germania Orientale che riescono ad impedire la cattura del Colonnello Gheddafi. Di questo colpo di stato Gheddafi accuserà l’Italia, arrestando tre imprenditori italiani ritenuti fiancheggiatori degli insorti (verranno rilasciati dopo sei anni; per almeno uno di essi si sa per certo che fosse un funzionario o un confidente dei servizi segreti italiani)

● Il 24 agosto un sottomarino ed una nave da guerra libici intimano, con la minaccia di prenderla a cannonate, alla nave italiana Saipem 2 di interrompere le ricerche petrolifere sui Banchi di Medina, iniziate per rispettare le clausole dell’accordo Italia-Malta, ed andarsene. Si sfiora la battaglia fra le navi italiane intervenute a difesa della Saipem 2 e le navi libiche. Gli F104 di Trapani Birgi pattugliano il cielo di Malta

● Il 26 agosto il governo maltese mette in stato di all’erta la sua forza aerea (quattro elicotteri)

● Il 27 agosto il personale militare libico è espulso dall’isola di Malta

● Il 2 settembre l’Italia si impegna a garantire l’integrità territoriale di Malta (dopo i fuochi, direbbero a Roma)

● Il 3 settembre il premier maltese Dom Mintoff vola a Roma per approfondire le intese Italia-Malta

● Il 4 settembre, su richiesta maltese, si riunisce il Consiglio di Sicurezza dell’ONU per esaminare “l’azione illegale” della Libia

● Il 9 settembre si ratifica l’accordo fra Italia e Malta, che prevede, fra l’altro, l’esclusione delle navi americane e sovietiche dai porti dell’isola.

● Il 20 settembre Dom Mintoff rivela le clausole finanziare dell’accordo con l’Italia:

1) un aiuto (regalo) di 60 milioni di dollari per il periodo 1979-1983

2) un prestito di 15 milioni di dollari

3) un contributo di 4 milioni di dollari all’anno per 5 anni. Totale 95 milioni di dollari dell’epoca, e Malta è grande come un piccolo quartiere di Roma. Il trattato Italo-Maltese, di durata decennale, è stato rinnovato nel 1990 ed è tuttora valido.

Con questa breve ricostruzione si vuole dimostrare che esistevano, nell’estate del 1980, i presupposti per azioni di guerra in tempo di pace (guerra non dichiarata) nel bacino del mediterraneo. Al riguardo si ricordino anche i due missili Scud lanciati dalla Libia sull’Isola di Lampedusa durante gli anni 80, per ritorsione all’attacco compiuto da F111 americani contro alcune caserme di Tripoli.

5. Quando l’Italia vendeva armi anti-Nato

Alcune interrogazioni parlamentari dimenticate rimangono, sole, a testimoniare inquietanti traffici di tecnologie anti-radar tra italiani e paesi arabi. Le connivenze politico-economico-militari e gli affari miliardari di chi decise di vendere i cieli del Mediterraneo (e quelli del Ustica) al nemico.

Traccia AJ450. Un inganno da manuale

Resta da valutare la possibilità per un aereo militare di celare la sua posizione (in toto o mostrandosi in posizione diversa da quella realmente occupata) ad un radar, concentrandosi in particolare sulla tecnica dell’inganno (cioè mostrarsi dove non si è).

L’inganno, affinchè risulti efficace, richiede una conoscenza delle caratteristiche tecniche delle apparecchiature vittime molto più approfondita di quanto non sia il semplice disturbo. In compenso gli ingannatori presentano basse potenze di trasmissione e dimensioni contenute con conseguenti pesi e consumi di energia molto ridotti, per cui i sistemi attivi a questo scopo risultano di piccole dimensioni e facilmente trasportabili da un caccia a reazione.

Ma il vero tallone d’Achille dell’inganno è la sua non universalità. L’inganno deve insomma essere confezionato su misura. Pur nell’estrema sintesi espressa appare chiaro che se la traccia AA450-AJ450 fosse in realtà dovuta ad un “inganno elettronico” sembra di trovarci di fronte alla fotografia di quanto descritto poc’anzi.

Un’operazione da manuale, che ha variato le caratteristiche della traccia (in posizione, velocità, direzione e quota) perfettamente possibile ad un soggetto dotato delle attrezzature adatte e che fosse a conoscenza delle caratteristiche tecniche del radar di Marsala e venire ad operare nella zona di Ustica mettendo in atto efficaci azioni di inganno. Ma è possibile ipotizzare tutto ciò? La risposta, quasi ovvia, è si.

Tecnologie anti radar esportate dall’Italia… alla faccia della Difesa Aerea nazionale

Spesso forze armate straniere hanno avuto la possibilità di acquistare prodotti sofisticati sviluppati da aziende italiane prima ancora che le nostre FFAA avessero dotazioni di bilancio per acquistarli esse stesse (o che avessero addirittura la possibilità di attrezzarsi per difendersene).

A questo punto ci si deve chiedere se i centri radar della Difesa Aerea Italiana siano stati attrezzati, nel 1980, a difendersi dalle azioni di guerra elettronica (controcontromisure elettroniche), o almeno da quelle condotte con apparati prodotti dall’industria nazionale. La risposta data dai periti è “no”.

Pur nella estrema sintesi appare possibile che:

1) la bassa velocità della traccia AA450-AJ450 potrebbe derivare da una operazione di “inganno in velocità”, essendo impossibile che un oggetto dotato di ali voli a 65.000 piedi e 100Km/h

2) la posizione potrebbe derivare da una operazione di “inganno in angolo” che fra l’altro è una operazione che induce errori nei circuiti che inseguono la direzione del bersaglio così come rilevato nella traccia AA450-AJ450.Quindi i periti ritengono che sarebbe possibile, conoscendo quale sia lo strumento da guerra elettronica che ha mascherato la traccia AA450-AJ450 e soprattutto conoscendo come esso opera, risalire alla reale conformazione della traccia.

Ciò in quanto se la traccia è stata modificata nella sua visualizzazione resa a Marsala lo è stata in base a parametri precisi, e conoscendoli si potrebbe fare il percorso inverso. Per cui, nell’ipotesi che un velivolo da caccia sia partito per andare ad intercettare un velivolo civile di cui conosceva in anticipo il piano di volo (magari era un velivolo di linea di cui, conoscendo rotta, ora di decollo e ora di atterraggio, e quindi anche con precisione l’orario a cui si verrà a trovare in un dato punto del cielo) la ricostruzione sin qui fatta appare verosimile. Notiamo poi che la traccia AA450-AJ450 sembra provenire dalla Sardegna.

Piloti Mig libici addestrati in Sardegna?

È possibile che velivoli militari di paesi potenzialmente nemici dell’Italia operassero su basi italiane all’epoca dell’incidente? La risposta è certamente sì. Vi sono infatti diversi riscontri, alcuni dei quali inseriti nelle conclusioni del giudice Priore, che provano con assoluta certezza che velivoli militari libici operassero abitualmente da e per basi situate sul territorio italiano e che personale militare italiano fosse impegnato nell’assistenza e nella manutenzione di velivoli militari libici e che personale proveniente dall’Aeronautica Militare fosse attivamente impegnato nell’addestramento dei piloti militari libici (attraverso la società ALI).

Procediamo con ordine.

Per quanto concerne la presenza di Mig libici operativi in Sardegna, basterà ricordare l’interrogazione parlamentare dell’On. Scalia in relazione alla presenza accertata di Mig libici sull’aeroporto di San Lorenzo in Muravera e sulla presenza di personale militare libico in Sardegna.

Gli atti del procedimento penale, inoltre, riportano chiaramente che all’epoca esistevano “… corridoi per i Mig che raggiungevano la Jugoslavia, in particolare la base di Banja Luka – ma anche Sarajevo, Spalato e Belgrado – per manutenzioni e riparazioni varie, e poi ritornavano in Libia usufruendo di corridoi italiani e facendo tappa a Malta (al riguardo si veda la ricostruzione storica dei rapporti Libia-Malta, nda), e così usando l’Ambra 13 (l’aerovia sulla quale transitava il DC9 Itavia al momento dell’incidente, nda).

È provato poi anche dai C130 inviati per la militarizzazione a Venezia e trasferiti di nuovo in Libia, sempre sull’Ambra 13. Quella notte ne era poi previsto il passaggio di un esemplare, come risulta dalla documentazione maltese e italiana, autorizzato per il 26 più 72 ore, con relativo nulla osta del SIOS/A comunicato a S.I.S.MI e Civilavia.

Un C130 che poteva quindi partire in uno qualsiasi dei quattro giorni tra 26 e 29. Possibilità di cui erano a conoscenza non solo la nostra Difesa e i nostri Servizi, ma anche l’orecchio statunitense, che comunque aveva sensori a Venezia alle Officine Aeronavali.”

“Come provato da quei velivoli libici, che guidati da piloti sovietici o siriani o palestinesi – molto più preparati dei libici, che non erano in grado di allontanarsi dalle loro basi sul territorio – si affacciavano sul Tirreno per spiare movimenti occidentali in quelle acque; operazioni di spionaggio riferite dall’assistente dell’Addetto Navale statunitense, che determinarono le reazioni che lo stesso specifica”.

Guerra elettronica. Un business per la “Tiburtina Valley”

Oltre a ciò sono state rinvenute quattro interrogazioni parlamentari, presentate dall’On. Falco Accame, relative al periodo 1979 – 1981 aventi attinenza con gli scenari di guerra elettronica ipotizzati in precedenza. Analizziamo ora questeinterrogazioni.

Siamo al 17 luglio 1979, il Dc9 sarà abbattuto fra 11 mesi, un parlamentare viene a sapere di una storia preoccupante e ne chiede conto al Ministro della Difesa. Si legge tra l’altro “… se risponde al vero che è stata autorizzata la vendita all’estero di 5 apparecchiature aeroportate per la neutralizzazione dei sistemi difensivi radar per un importo di circa 5 miliardi, nonostante tali apparecchiature, permettendo di penetrare anche i sistemi di difesa dello spazio aereo nazionale, costituiscano un pericolo per la sicurezza del paese e nonostante il parere contrario a suo tempo espresso dagli Stati Maggiori“.

Il 10 gennaio 1980, lo stesso parlamentare, non soddisfatto dalla risposta avuta alla precedente interrogazione, ritorna sullo stesso argomento. Stavolta ci fà la storia di quello che è accaduto e si rivolge al Presidente del Consiglio. L’autorizzazione alla vendita è concessa verso l’Egitto, e sia detto per chiarire che non si vuole assolutamente legare questo paese alla vicenda di Ustica.

L’Egitto non ha basi aeree in Sardegna, né il Mig 21 può, in alcun modo, arrivare ad Ustica. Occorre invece ricordare che queste autorizzazioni sono del 1976 e che a distanza di dieci anni “erano circa trenta i (tipi di) velivoli attrezzati per la guerra elettronica” dalle aziende romane della “Tiburtina Valley”: tutti egiziani?

Lo strano caso di addetti al NADGE che costruivano congegni anti-Nato…

La cosa grave è che, contro il parere dello Stato Maggiore sia dell’Aeronautica che della Marina, si vendevano all’estero, nel bacino del Mediterraneo, apparecchiature aeroportate in grado di neutralizzare i sistemi radar della Difesa Nazionale (e della NATO). E si ottenevano le autorizzazioni preoccupandosi di tutto fuorchè del fatto che un giorno qualche “cliente” avrebbe potuto usarle per portare la guerra in casa.

Attenzione: il famoso comitato interministeriale dovrebbe vigilare proprio su questo. Pensate che non è stato possibile vendere il “mortaio da 81 sommeggiato” alla Yugoslavia perché essendo confinante i colpi di questa terribile arma avrebbero potuto raggiungere l’Italia.

In questo caso invece concesse i necessari nulla osta. Un nulla osta per la vendita all’estero di “5 apparecchiature aeroportate per la neutralizzazione dei sistemi difensivi radar per un importo di circa 5 miliardi”.

Cinque “aggeggi” di questa importanza venduti a cinque miliardi. Un miliardo l’uno. Prezzi da realizzo: un miliardo appena per una apparecchiatura che permette di bucare il sistema radar NADGE. Qualsiasi agente del KGB l’avrebbe pagata a peso di diamanti! L’aggiunta sarà stata pagata altrove, perché, a meno di una offerta “promozionale”, aggiunta ci deve essere stata. Nell’85 all’Iraq sono stati chiesti 60 milioni di dollari (circa 100 miliardi). Nel ’76 solo 5?

Si fa notare che per essere sicuri che l’apparecchiatura da guerra elettronica funzioni, cioè riesca a nascondere il velivolo e confondere il radar, bisogna conoscere i dati tecnici, segretissimi, del radar stesso. Le ditte che vendevano queste macchinette facevano anche la manutenzione e l’aggiornamento, per l’Italia, dei sistemi NADGE. Chissà se in corso di trattativa, con un piccolo sovraprezzo, come optional…

6. Strage di Ustica. Un “atto di guerra”

(in tempo di pace) destinato al Boeing Air Malta

La tragica fine del Dc9 Itavia, abbattuto per errore da un caccia libico che attendeva l’aereo della compagnia maltese. Tutto sotto gli occhi dei radar italiani. Ingannati, probabilmente proprio grazie all’elettronica made in Italy. Una storia che molti avrebbero voluto dimenticare

Per un pugno di dollari (sporchi)

Arriviamo quindi al 3 settembre 1980, il Dc9 Itavia è stato abbattuto da due mesi e il 18 luglio è stato ritrovato sui monti della Sila un Mig 23 libico (ma come avrà fatto ad arrivare fin lì senza essere stato avvistato dai radar militari?). La stazione di Bologna è saltata in aria il 2 agosto e il 6 agosto una parte dell’esercito libico si ribella e attacca la caserma di Gheddafi, che accusa l’Italia di aver organizzato il colpo (chissà mai perché?) facendo arrestare tre “imprenditori” italiani vicini agli insorti.

Dall’11 giugno in Italia è cominciata la mattanza degli esuli libici, raggiunti dai sicari dei Comitati Popolari e il 24 agosto una nave e un sottomarino libici cacciano la nave dell’ENI Saipem 2 dai Banchi di Medina, davanti a Malta, minacciando di prenderla a cannonate. Gli F104 italiani pattugliano il cielo di Malta e le navi da guerra italiane fronteggiano quelle libiche sui Banchi di Medina.

Qualcuno, ingenuamente, potrebbe pensare a chissà quali duri provvedimenti presi dalla nostra diplomazia. Ma no, non bisogna precipitare nelle cose. E il “business”? Era grosso, il “business”. Dieci miliardi di dollari l’anno. Comunque Falco Accame non demorde e continua a far sentire la sua voce:

Interrogazione scritta ai Ministri degli Affari Esteri e di Grazia e Giustizia.

Per conoscere se rispondono a verità le notizie secondo cui verranno scarcerati i nostri prigionieri arrestati senza alcuna ragione in Libia, contro la scarcerazione dei Killers libici, e se questa operazione avviene nella scia di una tradizione iniziatasi con la restituzione curata dai servizi segreti degli attentatori di Fiumicino.

Per conoscere se questi fatti, che gettano un grave discredito sul nostro paese, siano condizionati dal “pugno di dollari” che il nostro paese ottiene per la vendita di aerei, navi, mezzi blindati alla Libia. Per conoscere se non ritengano opportuno provvedere con una netta risposta diplomatica e la immediata cessazione di vendita di armi alla Libia, il ritiro delle delegazioni dell’Esercito che istruiscono i libici in Libia sull’uso delle armi da noi vendute e il rimpatrio del personale militare libico che viene addestrato in Italia.

(Rif. n. 4-04602)

Ustica. Il prezzo del sangue

Siamo quindi al 29 aprile 1981, neanche un anno da Ustica. La magistratura comincia appena ad acquisire la documentazione, fra cui i famosi nastri radar. Il nostro Onorevole è un duro. Riesce a far ammettere al governo che sì, in effetti, le apparecchiature le abbiamo vendute. In effetti è vero, gli Stati Maggiori lo avevano proibito, e in effetti sì, anche il SID, i famigerati servizi segreti, avevano dato parere negativo.Il nostro parlamentare chiede anche di verificare se dette apparecchiature non fossero state in grado di neutralizzare i nostri radar la sera della strage di Ustica. Qualcuno ci aveva già pensato nel lontanissimo 1981, e senza neanche guardare i tracciati radar.

Interrogazione scritta al Presidente del Consiglio

Per conoscere, in relazione al rilascio della licenza di esportazione alla società Selenia per la vendita di 5 apparecchiature da guerra elettronica ad un paese arabo, apparecchiature la cui importanza e delicatezza è stata confermata in Parlamento in data 15 Settembre 1980 dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri On. Bressani nel cui intervento emerse che gli Stati Maggiori della Marina e dell’Aereonautica si erano dichiarati contrari all’esportazione in quanto permettevano di neutralizzare i sistemi di difesa nazionali e NATO.

Se risulta inoltre che in seguito “a superiori interessi” venne fatto mutare il parere agli Stati Maggiori come risulta da una lettera dello Stato Maggiore Aereonautica.

Per conoscere infine se intenda indagare per verificare se tali apparecchiature di guerra elettronica aereotrasportabili non fossero state in grado di neutralizzare i nostri radar di sorveglianza aerea che coprono la zona dove si è verificato l’incidente del Mig 23 libico e dell’aereo DC9 Itavia presso Ustica.

(Rif. n. 4-08165)”.

27 giugno 1980, ore 20,59

Gli elementi per valutare l’accaduto oramai ci sono tutti: in un periodo di grande tensione tra Libia, da una parte, e Malta e Italia, dall’altra, una sera un Dc9 Itavia precipita misteriosamente.

Accanto ad esso, poco prima dell’incidente, volava un MiG libico, partito da una base italiana in Sardegna e dotato di un’apparecchiatura aerotrasportata per la guerra elettronica che lo rende di difficile individuazione ai radar militari italiani affacciati sul tirreno. I-Tigi però non doveva essere a quell’ora in quel punto del cielo, doveva essere a terra a Palermo, in quel punto doveva invece trovarsi un velivolo dell’Air Malta, di cui le autorità libiche conoscevano perfettamente la rotta in quanto all’epoca la torre di controllo dell’aeroporto di La Valletta era gestita da personale libico.

Sapendo che a quell’ora in quel punto doveva trovarsi l’Air Malta, il MiG, dopo qualche istante di volo parallelo, si portò in posizione di attacco e sparò una coppia di missili, senza preoccuparsi di procedere al riconoscimento visivo del bersaglio (che avrebbe certamente messo in allarme il personale di volo della Dc9) – probabilmente si trattava di due missili AA2 (codice Nato Atoll), versione a guida radar semiattiva, in dotazione ai MiG del Patto di Varsavia.

Il pilota del MiG, all’imbrunire e con il sole alle spalle, vedeva solo il riflesso prodotto dalla struttura dell’aereo, proseguì fino ad intersecare la rotta della sua preda, e probabilmente solo a quel punto si rese conto di avere colpito il Dc9 Itavia invece del Boeing Air Malta. Ma era ormai troppo tardi.

Il velivolo italiano, senza motori che erano stati messi fuori uso dall’esplosione delle testate di guerra dei missili, con l’ala sinistra devastata, un grosso squarcio nella fusoliera, senza energia elettrica e servocomandi, tentò un ammaraggio, ma il tentativo fallì. Il tutto sotto gli occhi dei radar italiani.

Nel frattempo il MiG libico si diresse verso la Sila, dove fece perdere le sue tracce (anche se a questo punto è d’obbligo riportare che nell’inchiesta sul ritrovamento del famoso MiG 23 libico sulla Sila, una serie di testimoni dichiararono che la sera del 27 giugno, subito dopo il tramonto, videro un aereo militare volare a bassissima quota inseguito da altri due caccia che “sputavano fuoco”, cioè stavano sparando…).

Un problema di (cattiva) coscienza…

La difesa aerea e gli alleati dell’Italia avevano visto tutto, nel giro di qualche ora riesaminarono i dati radar che erano stati registrati, fecero partire un F104 dal nord per controllare definitivamente il punto in cui era stata rilevata una traccia anomala. Verificato che si trattava dell’aggressore del Dc9 “marcarono il punto”, ovvero crearono una traccia simulata (la KA011) che potesse indicare, ad ogni altro sito radar all’interno della NATO, che l’atto di guerra era stato compiuto dalla traccia che aveva vissuto nello stesso punto, la AJ450.

Ma il giorno dopo iniziarono i depistaggi, prima con la falsa rivendicazione dei NAR, poi con le ipotesi di cedimento strutturale. Perché, ci dobbiamo chiedere, nessuno raccontò cos’era successo? Se la ricostruzione fatta precedentemente è corretta, significa che l’Italia aveva venduto a stati nemici, per un pugno di dollari, strumenti che permettevano di aggirare la protezione radar, italiana e NATO, che l’Italia aveva concesso l’utilizzo di sue strutture militari ai medesimi paesi nemici e aveva perciò permesso che un aereo nemico penetrasse indisturbato in territorio italiano e abbattesse un aereo di linea.

… e di equilibri strategici mondiali

E gli altri, perché hanno taciuto? Di certo non potevano parlare gli americani, impegnati quella sera a trasferire, anche tramite lo spazio aereo italiano, bombardieri nucleari, senza avere alcuna autorizzazione e modificando sostanzialmente gli equilibri strategici dell’epoca, con il rispiegamnto di aerei in Egitto in corso.

La questione maltese, inoltre, poneva diversi problemi strategici, in quanto, oltre al petrolio, si discuteva della presenza o meno di un approdo per la flotta sovietica del Mediterraneo. Se poi consideriamo che il Giudice Priore, e non solo lui, ha sempre dichiarato che i MiG libici venivano pilotati da “russi, siriani o palestinesi”, potremmo pure trovare un interesse specifico russo ad impedire il trattato Malta-Italia.

Come si poteva ricostruire tutta la verità senza avvicinarsi ancora di più alla terza guerra mondiale? Forse non si poteva, e allora è stato messo tutto a tacere. Dopo 20 anni, dopo la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Urss, forse è arrivato il momento per scrivere finalmente la parola fine a questa storia.

(vai alla prima parte)