
di Mario Pirani
La “rivoluzione culturale” in Cina durò una diecina d’anni, all’incirca dal 1966 alla morte di Mao. Costò una trentina di milioni di morti e un quinquennio di carestia. I giovani, in divisa di “guardie rosse”, vennero innalzati a detentori del Nuovo Pensiero, gli insegnanti furono avviati forzosamente alla coltivazione delle rape, lo studio della storia, e soprattutto di tutto ciò che poteva richiamarsi agli antichi insegnamenti confuciani, rigorosamente proibito. Si ordinò persino la chiusura degli antiquari e la dismissione dei costumi tradizionali nei balletti dell’Opera di Pechino, così da rimuovere ogni idea del Passato.