L’emergenza clima e ambiente, un falso a cui bisogna resistere

Abstract:  l’ emergenza clima e ambiente è un falso a cui bisogna resistere perchè la paura non è mai una buona consigliera e perchè l’allarmismo non è giustificato dai dati inpossesso. L’allarmismo crea false emergenze che generano contromisure inutili o inefficaci

Tempi 4 Settembre 2023

Perché bisogna resistere

alla narrazione allarmista sul clima

Una informazione selettiva su temperature, incendi e alluvioni porta a conclusioni errate sul riscaldamento globale. E a proposte di soluzioni ancora più sbagliate. Che cosa dicono davvero la scienza e il buon senso

di Bjørn Lomborg

Con lo stesso grado di certezza con cui d’estate aumentano le temperature, l’allarmismo climatico propone sempre nuove storie di bolle di calore che minacciano la vita, incendi apocalittici e alluvioni bibliche, il tutto attribuito direttamente al riscaldamento globale. I dati a supporto di questo collegamento, però, sono spesso selezionati ad hoc, e le contromisure proposte sono clamorosamente inefficaci.

Si muore molto più di freddo che di caldo

È evidente che le ondate di calore sono inasprite dal riscaldamento globale. Ma l’esagerata copertura mediatica delle alte temperature estive non permette di cogliere il quadro complessivo: le morti determinate dalle temperature sono in stragrande maggioranza causate dal freddo. Secondo un recente studio pubblicato da Lancet le vittime del freddo a livello globale sono 4,5 milioni, ossia nove volte di più di quelle legate al caldo. Lo stesso studio inoltre dimostra che nei primi due decenni di questo secolo l’incremento delle temperature di mezzo grado Celsius ha provocato 116 mila morti per caldo in più ogni anno. Ma le temperature più calde oggi evitano ogni anno anche 283 mila decessi dovuti al freddo. Riferire solo il primo dato è cattiva informazione.

I governi di tutto il mondo hanno promesso di raggiungere l’obiettivo di azzerare le emissioni di CO2 a un costo superiore ai 5.600 miliardi di dollari l’anno. Popolazioni spaventate ovviamente saranno spinte a reclamare la sicurezza percepita offerta da simili politiche. Peccato che queste ultime rappresentino un modo pessimo di affrontare le morti per il caldo e per il freddo.

Non “zero emissioni”, ma più aria condizionata

Anche se tutti gli ambiziosi tagli di emissioni promessi venissero magicamente realizzati, queste misure potrebbero solo rallentare il riscaldamento futuro. Ondate di calore più forti continuerebbero a uccidere sempre più persone, solo poche in meno rispetto alle previsioni. Una risposta sensata dovrebbe concentrarsi innanzitutto sulla resilienza, il che significa maggiore condizionamento dell’aria e città più fresche grazie al verde e ai giochi d’acqua.

In seguito alle ondate di calore del 2003, le riforme razionali realizzate in Francia, che prevedevano il condizionamento dell’aria obbligatorio nelle case di cura, hanno ridotto di dieci volte le vittime del caldo, malgrado l’incremento delle temperatura.

Evitare sia le morti causate dal freddo che quelle per il caldo richiede approvvigionamento energetico a prezzi accessibili. Negli Stati Uniti il gas a buon mercato ottenuto con il fracking ha permesso a milioni di persone di riscaldarsi con budget più bassi, salvando 12.500 vite ogni anno. Con le politiche per il clima, che fanno inevitabilmente lievitare i prezzi dell’energia, si ottiene l’opposto.

La verità sugli incendi

Accanto ai picchi di temperatura, quest’estate hanno dominato sulle copertine dei giornali foto spaventose di foreste in fiamme. Facile subire l’impressione che il pianeta stia bruciando. La verità è che da quando due decenni fa i satelliti della Nasa hanno iniziato a registrare sistematicamente gli incendi su tutta la superficie terrestre, si è assistito a un forte calo tendenziale. Nei primi anni Duemila, ogni anno andava in fiamme il 3 per cento delle terre emerse. L’anno scorso, il fuoco ha arso il 2,2 per cento della superficie mondiale, un nuovo record verso il basso. Tuttavia è un’impresa trovare questo dato riportato da qualche parte.

Quest’anno nelle Americhe ci sono stati molti più incendi che nel decennio scorso. Di questo i media hanno parlato ossessivamente. Ma ci sono stati molti meno incendi sia Africa che in Europa rispetto al decennio passato. Alla data del 12 agosto, stando ai dati del Global Wildfire Information System il mondo nel suo complesso è bruciato meno di quanto abbia fatto in media nel decennio scorso.

L’attenzione di giornali e tv è costantemente rivolta alla Grecia che ha avuto molti più incendi, omettendo però che la gran parte dell’Europa ne ha avuti molti meno. Al 12 agosto in effetti l’Europa complessivamente ha avuto meno incendi di quanti ne abbia avuti nel medesimo periodo degli ultimi 10 anni. Questo però è stato a malapena riportato dalla stampa.

L’abuso della tragedia delle Hawaii

L’incendio delle Hawaii è una tragedia terribile. Ma è pigro e fuorviante da parte degli opinionisti utilizzarla per incolpare, a torto, il cambiamento climatico. Sostengono che sia stata l’eccezionale siccità a fare da polveriera, eppure per la maggior parte degli ultimi 23 anni la contea di Maui è stata più secca della settimana in cui è andata a fuoco. La colpa della siccità viene attribuita al clima, ma le ricerche scientifiche più recenti non mostrano alcun segnale climatico in questo senso.

Puntare erroneamente il dito contro il cambiamento climatico è pericoloso perché tagliare le emissioni è tra i modi meno efficaci di contribuire a prevenire incendi in futuro. Bruciare i combustibili vegetali che potrebbero altrimenti provocare incendi, migliorare la zonatura e rafforzare la gestione delle foreste sono soluzioni ben più rapide, efficaci ed economiche.

I dubbi dell’Onu sulle alluvioni “causate dall’uomo”

Analogamente, anche le inondazioni vengono abitualmente attribuite al riscaldamento globale. Tuttavia l’ultimo report del Panel Onu per il Clima dichiara di avere «poca fiducia nelle dichiarazioni generiche che attribuiscono i cambiamenti dei fenomeni alluvionali ai cambiamenti climatici antropogenici». Gli esperti sottolineano che attualmente né le inondazioni fluviali né quelle costiere sono statisticamente distinguibili dal rumore di fondo della variabilità climatica naturale. Per la verità il Panel Onu conclude che tali fenomeni non saranno statisticamente rilevabili entro la fine del secolo nemmeno nel caso in cui si verificasse uno scenario estremo.

Nei primi del Novecento negli Stati Uniti i danni causati dalle alluvioni costavano lo 0,5 per cento del Pil. Oggi costano dieci volte meno, grazie a una resilienza e a uno sviluppo che surclassano ampiamente qualunque residuo segnale climatico.

Non è la fine del mondo

Mentre l’allarmismo climatico raggiunge sempre nuove vette di spaventosità, con i proclami sull’«ebollizione globale» del segretario generale dell’Onu che sconfinano nel ridicolo, la realtà è molto più prosaica. Il riscaldamento globale per il resto di questo secolo finirà per determinare costi equivalenti a una o due recessioni. Cosa che lo rende un problema reale, ma non la catastrofe da fine del mondo che giustifica il perseguimento di politiche costosissime.

Una risposta di buon senso sarebbe riconoscere che comportano costi tanto i cambiamenti climatici quanto le misure di riduzione delle emissioni di CO2. Andrebbe attentamente negoziata una via di mezzo per puntare a un approccio efficace che faccia il più possibile per ridurre i danni a costi ragionevoli.

Per fare meglio sul clima, dobbiamo resistere a questa narrazione allarmista e fuorviante. Il panico è un pessimo consigliere.

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Per approfondire:

Allarmismo climatico ed eco-ansia, cui prodest?  

L’ecologismo politico come passione distruttiva. Intervista a Bérénice Levet