La classe dominante, un libro Usa che serve all’Italia

classe_dominanteItalia Oggi 1 marzo 2012

È formata da accademici e intellettuali che alimentano soltanto la crescita della spesa pubblica

di Diego Gabutti

Fratello minore dello spettro del comunismo, che un tempo si aggirava per l’Europa «braccato dal Papa e dallo Zar, da Metternich e Guizot, dai radicali francesi e dai poliziotti tedeschi», un nuovo spettro si aggira in Occidente, e senza che nessuno nemmeno si provi a braccarlo.

È lo spettro della Classe Dominante, come Angelo M. Codevilla (professore di filosofia a Stanford, attivo nel Dipartimento di Stato e alla Cia ai tempi della presidenza Reagan) ha battezzato la teppa burocratica oggi al timone del mondo in un aguzzo pamphlet pubblicato da Grantorino libri, Classe Dominante, pp. 130, euro 20,00.

Progressista ma non sempre, generosa ma soltanto con chi le porta rispetto, anche in America la classe dominante (politici di professione, professori, tecnici, giornalisti) si ritiene antropologicamente superiore a ogni altra componente della società, specie alle classi di cui sostiene di difendere gl’interessi, di solito quelle povere, più raramente quelle che sopportano il costo fiscale delle spese correnti. È a partire da «una sociologia da quattro soldi», come scrive Codevilla, che la classe dominante argomenta in tutte le lingue note, vive e morte, il dogma della propria infallibilità.

Controlla le risorse pubbliche, decide chi vive di tasse e chi invece ne muore, ergo col potere dominante non si discute e, visto che cambiarlo è impossibile, l’unica (prima o poi) sarà abbatterlo. Intanto, in America come nel resto dell’Occidente, i costi del suo dominio salgono, sul piano materiale come su quello culturale: «Non soltanto i suoi ranghi e le sue pretese si sono gonfiate a dismisura», scrive Codevilla, «ma gli esponenti della classe dominante hanno intrapreso guerre senza essere capaci di vincerle, hanno guidato il paese verso il declino dell’economia, l’esplosione del debito, hanno fatto crescere il costo della vita, hanno aumentato le tasse e non hanno mai smesso di denigrare il popolo americano».

A differenza della classe operaia, che secondo il Presidente Mao avrebbe dovuto dirigere tutto ma non ha mai diretto niente, la classe dominante dirige effettivamente tutto quel che si può dirigere, e lo fa con la sicumera che, negli schemi marxisti, era riservata al proletariato: la classe destinata a estinguere, insieme alla politica, la storia stessa del mondo.

Oggi «è possibile essere (…) presidente degli Stati Uniti ed essere trattati con condiscendenza della classe dominante. (…) Quando Ronald Reagan, presidente eletto da una vasta maggioranza, disse che l’Urss era un brutto capitolo della storia che si stava chiudendo, Time Magazine scrisse in un editoriale che questa affermazione era contraria al punto di vista del governo; e aveva ragione».

Nata sotto il cavolo dello statalismo, dell’autoritarismo e d’un generale disprezzo per la democrazia che nel XX secolo per poco non l’ha avuta vinta, la classe dominante è sulla breccia fin dagli «anni tra le due guerre mondiali», quando «l’abisso culturale tra le «classi istruite» e il resto del paese», già enorme, «s’accrebbe ulteriormente. Alcuni progressisti s’unirono all’«avanguardia del proletariato», ossia il partito comunista. Moltissimi nutrivano una profonda simpatia [anche] per l’Italia fascista e la Germania nazista.

Non solo The Nation, ma anche colonne dell’establishment quali il New York Times e il National Geographic ritenevano che vi fosse molto da imitare in questi regimi, giacché essi promettevano di costruire l’«uomo nuovo». Oggi, senza più l’utopia dell’uomo nuovo a motivarne le mosse, la classe dominante è più attenta agli interessi immediati suoi e dei suoi protetti, gl’impiegati pubblici, i pensionati e i politici di professione a tutti i livelli.

Ma qualcosa, almeno in Usa, sta cambiando, scrive Codevilla: «I molteplici tentativi della classe dominante di screditare il culto religioso e d’estromettere ogni segno di Dio dalla vita pubblica hanno convinto molti, nella grande maggioranza d’americani che crede e prega Dio, che l’attuale regime è ostile alle cose più importanti della loro vita (neppure in Urss uno studente poteva essere arrestato solo perché portava il crocifisso o perché pregava o leggeva la Bibbia all’interno d’una scuola, com’è avvenuto in alcune località americane in conseguenza di varie sentenze della Corte suprema)».

Ma la strada è lunga e difficile: «Per ridurre le tasse, odiate dalla maggior parte degli americani, sarà necessario abolire quella rete di sussidi a favore di milioni d’altri nostri concittadini, sussidi finanziati da queste stesse imposte, ed eliminare gli impieghi degli impiegati pubblici preposti alla loro amministrazione. (…) Gli elettori avranno la forza d’eliminare milioni d’assistiti del clientelismo pubblico, di ogni ordine e grado, solo se dovranno scegliere tra l’abolizione di qualsiasi privilegio economico da una parte e la ratifica dall’altra del ruolo d’arbitro delle nostre fortune attribuito al governo».