La Chiesa e i problemi della democrazia

Senato_RomaArticolo pubblicato da L’Osservatore Romano del 24 luglio 1991

di Manfred Spieker
Specialista in Dottrina sociale della Chiesa, Paderborn

La questione della possibilità di un ordine statale e sociale nel rispetto della dignità umana è la questione centrale della dottrina sociale della Chiesa dalla Rerum novarum. La dottrina sociale pone questo problema nel contesto di situazioni politiche, sociali, economiche e culturali concrete. Per questo motivo nella soluzione bisogna sempre tenere conto anche dei problemi e delle circostanze legati all’epoca.

La dottrina sociale della Chiesa da Pio XII in poi ha ripetutamente insistito sul fatto che la democrazia è il pilastro centrale di un ordine statale e sociale pienamente umano. Tuttavia ci sono state notevoli controversie sia intra che extra muros su questo punto. Nel suo messaggio natalizio del 1944, Pio XII identificava la democrazia come la vera alternativa alle dittature che avevano lacerato l’Europa e il mondo intero durante la seconda guerra mondiale.

Egli lasciava intendere che il mondo «non sarebbe stato trascinato nel disastroso vortice della guerra se ci fosse stata la possibilità di verificare e correggere l’attività del potere pubblico» (Pio XII, Discorso natalizio del 1944, in Emil Marny [a cura di] Mensch und Gemeinschaft in christlicher Schau [Uomo e società in una visione cristiana], Friburgo, 1945)

Sotto i Papi Giovanni XIII e Paolo VI e nel Concilio Vaticano Secondo sono stati intensificati gli sforzi di rappresentare la democrazia come quell’ordine statale e sociale che corrisponde al meglio all’immagine della dottrina sociale della Chiesa cattolica e dei suoi principi di solidarietà, di sussidiarietà e di bene comune (Questo vale soprattutto per la Gaudium et spes 31 e 75; Cfr. anche Pacem in terris 52 e Octogesima adveniens).

Giovani Paolo II si è ricollegato a questa tradizione nella sua prima enciclica Redemptor hominis. Papa Giovanni Paolo II sostiene che gli ordinamenti statali e sociali democratici, che concedono ad ogni cittadino possibilità di partecipazione, che rispettano i diritti umani e che lasciano il popolo sovrano del proprio destino, sono proprio in questo secolo caratterizzato dalla più grande decadenza materiale e morale, una missione che «dal punto di vista del progresso dell’uomo stesso e dello sviluppo globale della sua umanità» (Redemptor hominis 17) è di primaria importanza.

Nella enciclica Sollecitudo rei socialis, che affronta i problemi del Terzo mondo e dell’aiuto allo sviluppo, e che contiene criteri per uno sviluppo pienamente umano, la sostituzione di regimi corrotti, dittatoriali o autoritari con quelli democratici e partecipativi viene posta come condizione fondamentale dello sviluppo (Sollecitudo rei socialis 44). Nella Centesimus annus, Giovanni Paolo II pone la questione di un ordinamento statale e sociale rispettoso della dignità umana sullo sfondo della caduta del comunismo dittatoriale del 1989, nel quale per molti Paesi dell’Europa ha avuto inizio il vero dopoguerra (Centesimus annus 28).

Tuttavia l’enciclica non vuole fornire orientamenti solo per la ricostruzione dei paesi dell’Europa centrale e orientale, ma anche per lo sviluppo dei paesi industrializzati dell’Occidente e per i paesi del Terzo Mondo. In questo processo la democrazia riveste ancora una volta un ruolo chiave. I punti 46 e 47 e anche numerosi altri brani della enciclica vertono sulle sue strutture e sulle sue condizioni di legittimità, sui suoi problemi e sui pericoli da cui è minacciata oltre che sul rapporto con la Chiesa.

Giovanni Paolo II comincia con un encomio della democrazia tratto dal discorso natalizio di Pio XII del 1944: «La Chiesa apprezza il sistema della democrazia in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governi la possibilità sia di eleggere e controllare i proprio governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno» (46).

Il Papa saluta le nuove democrazie che si sono costituite dal crollo di molte dittature, non soltanto in Europa centrale e orientale, ma anche in America Latina, in Africa ed in Asia, negli anni ottanta. Per quanto grandi siano le difficoltà che si frappongono al loro sviluppo e alla loro stabilizzazione, esse danno al Papa «la speranza di un cambiamento nelle fragili strutture politiche e sociali, gravate dall’ipoteca di una penosa serie di ingiustizie e di rancori, oltre che da un’economia disastrata e da pesanti conflitti sociali» (22)

Democrazia, perché?

Per quale motivo la dottrina sociale della Chiesa in generale e della Centesimus annus in particolare danno alla democrazia la precedenza su tutte le altre forme di governo? Perché essa, meglio di ogni altro sistema offre ai cittadini la possibilità di partecipare alle decisioni politiche, di scegliere, controllare e sostituire i governi. Questa possibilità di scelta compete all’uomo in virtù della sua natura personale, della sua dignità e della sua libertà.

Certo, questa possibilità è legata anche a presupposti soggettivi, al dovere di impegnarsi in maniera responsabile, di partecipare alle decisioni politiche all’interno di partiti ed associazioni,di informarsi e formarsi, di affrontare i conflitti in maniera pacifica e di cercare dei compromessi. Ma quand’anche questi presupposti siano rispettati solo parzialmente, la garanzia della partecipazione rimane la condizione di legittimità dell’ordinamento statale.

Questi presupposti mostreranno sempre una incompletezza, in ragione della fragilità e della ambivalenza della natura umana. Il magistero sociale della Chiesa si vede pertanto sempre costretto a respingere pretese di dominio elitarie che cercano di giustificare il loro monopolio di potere con la migliore conoscenza di qualche problema, con la comprensione del corso della storia o con una pretesa provvidenza divina, e che così calpestano i diritti fondamentali e umani (46) (Cfr. anche Redemptor hominis 17 e Sollecitudo rei socialis 15).

D’altra parte, essa riconosce il significato e l’importanza di un governo stabile per il bene comune. Tuttavia questa stabilità non può essere acquisita al prezzo di una abolizione della partecipazione dei cittadini. Un secondo motivo per preferire la democrazia rispetto a tutti gli altri ordinamenti statali e sociali viene accennato al punto 46 e trattato ampiamente al punto 48. Questo motivo si riassume nel principio della sussidiarietà.

Alla persona e alla sua capacità e disponibilità di prendere iniziative, di associarsi con altre persone spetta la precedenza negli interventi dello Stato nella società. Questi interventi dovranno pertanto essere di carattere sussidiario. Essi non debbono negare ai cittadini ciò che questi si possono permettere con le proprie forze. Essi debbono difendere e promuovere la capacità di iniziativa dei cittadini e non limitarla (Cfr. Quadragesimo anno 79). Pertanto, anche un sistema statale di tipo sociale deve rispettare il principio della sussidiarietà (48, Cfr. anche 15). Nessun ordinamento statale e sociale dà più spazio al principio della sussidiarietà, della democrazia. Essa permette di assicurare la «soggettività» della società (46).

Nella Centesimus annus, al punto 46, il Papa afferma che una autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di Diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana. Al punto 44, Papa Giovanni Paolo II precisa ancora meglio questo concetto, e riconosce a Leone XIII il merito di averlo valorizzato per la prima volta nella dottrina sociale della Chiesa. Il principio dello Stato di diritto comprende in sé anzitutto la divisione del potere e il primato del diritto, ossia il dovere per il governo di agire secondo la legge, e il dovere per i legislatori di approvare leggi che rispettino la Costituzione. Comprende altresì la garanzia di una amministrazione della giustizia indipendente.

Questa struttura di Stato di diritto riveste un ruolo di primaria importanza, anche nella Gaudium et spes (Cfr. Gaudium et spes 75). Ma lo Stato di diritto significa anzitutto il riconoscimento dei diritti umani, la tutela dei quali è compito di ogni autorità statale e ne costituisce anzi la condizione di legittimità. Già nel 1979 Papa Giovanni Paolo II nei suoi discorsi alla III Assemblea Generale dei Vescovi latinoamericani a Puebla e all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, e nella sua enciclica Redemptor hominis, aveva sottolineato l’importanza centrale dei diritti umani per il bene comune, per la pace nel mondo ed anche per la missione della Chiesa.

Egli l’aveva definita «principio fondamentale dell’azione per il bene dell’uomo», il suo rispetto «l’essenziale criterio di tutti i programmi, sistemi, regimi». Rispettarla, non soltanto alla lettera ma nello spirito, significa per il Papa costituire ordinamenti statali e sociali che tengono conto dell’esigenza dei cittadini di partecipare alla vita politica e che lasciano il popolo sovrano della propria sorte. In una parola la democrazia esige il rispetto di tali diritti (Redemptor hominis 17). Ma il loro rispetto rappresenta al tempo stesso il limite della democrazia. La difesa dei diritti umani è il filo conduttore delle encicliche, degli scritti apostolici e delle innumerevoli visite pastorali di Papa Giovanni Paolo II (Cfr. Encicliche Laborem exercens 16 e 17; Sollecituto rei socialis 15).

Il rispetto dei diritti umani ha un fondamento antropologico e di diritto naturale: «Il riconoscimento effettivo della dignità personale di ogni essere umano esige il rispetto, la difesa e la promozione dei diritti della persona umana. Si tratta di diritti naturali, universali e inviolabili: nessuno, né il singolo, né il gruppo, né l’autorità, né lo Stato, li può modificare né tantomeno li può eliminare, perché tali diritti provengono da Dio stesso» (Christifedeles laici 38). Nella Centesimus annus, Giovanni Paolo II continua la sua difesa dei diritti della persona umana in due direzioni. Da una parte egli sottolinea il valore dei diritti umani anche nel campo dell’economia.

Dall’altra ritorna ancora una volta sul concetto del diritto alla vita, sulle sue conseguenze e sulle minacce che incombono su di esso. Per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani nel campo economico, esso può essere garantito soltanto in una economia di mercato. Già nella Sollecitudo rei socialis Giovanni Paolo II aveva parlato per la prima volta del diritto fondamentale alla iniziativa imprenditoriale come di un «diritto importante non solo per il singolo individuo, ma anche per il bene comune» (Sollecitudo rei socialis 15 e 42), che diventa di fondamentale importanza per lo sviluppo del Terzo mondo.

La Centesimus annus sottolinea meglio delle precedenti encicliche la interdipendenza tra democrazia ed economia di mercato – non soltanto al punto 19, dove si riconosce che la costruzione di società democratiche in diversi Paesi dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale è stata realizzata «con i meccanismi del libero mercato», ma anche in diversi altri punti dell’enciclica, nei quali il Papa rileva l’importanza degli imprenditori, del profitto e del mercato (32, 34, 35, 43 e 48). L’ordine statale, quello sociale ed economico devono essere in armonia se si vogliono assicurare i diritti umani e il bene comune.

Perciò «compito dello Stato è quello di sorvegliare e guidare l’esercizio dei diritti umani nel settore economico» (48). Lo Stato deve altresì determinare la cornice giuridica che salvaguarda la libera impresa, la proprietà privata, una sana competizione, ma che assicuri anche un sistema di previdenza sociale e la partecipazione dei lavoratori (15, 19, 35, 40). Nei suoi interventi economici e socio-politici sulla società, lo Stato deve rispettare, insieme al principio della solidarietà, anche il principio della sussidiarietà, ossia tenere conto del fatto che «in questo campo la prima responsabilità non è dello Stato, bensì dei singoli e dei diversi gruppi e associazioni in cui si articola la società» e quindi dei cittadini (48).

Per quanto concerne il diritto alla vita, Papa Giovanni Paolo II sottolinea ancora una volta che il suo rispetto appartiene ai principi irrinunciabili della autenticità della democrazia. Questo diritto comprende il diritto «a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati» (47). Il diritto alla nascita è strettamente inerente al diritto alla vita (Del diritto alla nascita Giovanni Paolo II aveva parlato già nel 1979 a Puebla [III, 5] Cfr. anche anche i documenti di lavoro della Commissione papale Justitia e et Pax, Die Kirche un die Menschenrechte, 3a ed. Monaco/Mainz 1980, punti 115 e 119).

Questo diritto fondamentale è per lo più minacciato e poco rispettato nelle democrazie occidentali ma anche negli stati dell’Europa centrale ed orientale che si sono da poco liberati del socialismo. Il suo rispett, tuttavia, non è a discrezione dello Stato. Come gli altri diritti fondamentali, il diritto alla vita non può essere assoggettato alle disposizioni dei legislatori o di maggioranze democratiche in uno Stato che si vuole legittimo. Ogni democrazia trova qui un limite il cui rispetto costituisce la sua principale condizione di legittimità.

Limiti della democrazia

Nella Centesimus annus, Giovanni Paolo II parla di diverse condizioni di legittimità della democrazia. La tutela della vita e del diritto a nascere è la prima e determinante di tali condizioni. Il disprezzo di tale diritto nella pratica generalizzata dell’aborto non rappresenta soltanto uno «scandalo», e un sintomo di una «cultura della morte» (39), ma anche l’espressione di una crisi della democrazia (47).

Essa porta alla conclusione che la democrazia ha perduto la capacità di tutelare il bene comune inteso come l’ insieme delle possibilità politiche e sociali per uno sviluppo personale dell’uomo; che essa non è più in grado di integrare i singoli interessi nel bene comune e di rimanere fedele ad una gerarchia di valori basata sulla dignità e sui diritti della persona umana (47).

Il riconoscimento dei valori fondamentali e la loro trasposizione nell’ordinamento giuridico e costituzionale è una seconda condizione di legittimità della democrazia. I valori fondamentali hanno le loro radici nella verità, nelle costanti antropologiche. La democrazia pertanto non significa che si possa votare su tutto, che l’ordinamento giuridico dipenda soltanto dalla volontà della maggioranza, e che non si possa pretendere verità nella politica.

Papa Giovanni Paolo II respinge fermamente la tesi secondo la quale il relativismo scettico e l’agnosticismo sono la base filosofica della democrazia, secondo cui la democrazia può funzionare soltanto se i cittadini ammettono che sono incapaci di comprendere le verità e che tutte le loro conoscenze sono relative, vane o legate a degli interessi.

Per il Papa, al contrario, la libertà, elemento fondamentale per una democrazia, «è pienamente valorizzata soltanto dall’accettazione della verità» (46) Se quei cittadini che rispettano i valori fondamentali e la verità che è alla loro base vengono ritenuti «non degni di fiducia» e pertanto incapaci di democrazia, allora la democrazia rischia di preparare la strada non soltanto per il relativismo, ma anche per un abuso di potere e per «un totalitarismo aperto oppure subdolo» (46).

In maniera ancora più esplicita che in precedenza, Giovanni Paolo II nella Centesimus annus parla della natura e delle conseguenze di un dominio totalitario, della sua opposizione alla dignità dell’uomo e alla Chiesa (19, 29, 44, 45 e 46). Questo illustra l’acume dell’enciclica e anche il suo elogio della democrazia. Nella difesa dell’uomo contro lo sfruttamento economico e contro la tirannia dei sistemi totalitari, il Papa vede ancora una volta la missione della Chiesa. Egli riprende in questo contesto il termine attuale «fondamentalismo». Con questo termine si indica un preciso comportamento religioso, filosofico e politico.

Questo atteggiamento pretende di saper rispondere a tutti gli interrogativi della vita terrena sulla base di una verità o ideologia religiosa. In nome di questa ideologia, il fondamentalismo crede di «poter imporre agli altri uomini la loro concezione della verità e del bene» (46). Questo tipo di atteggiamento rappresenta un pericolo mortale per la democrazia. Esso inquina molti paesi del mondo islamico. Giovanni Paolo II sottolinea ancora una volta questo pericolo (29) che rappresenta una minaccia anche per la Chiesa e per il suo compito missionario (Cfr. anche Redemtoris missio 35), ma nello stesso tempo mette in chiaro che «Non è di questo tipo la verità cristiana. Non essendo ideologica, la fede cristiana non presume di imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà socio-politica» (46).

Democrazia e Chiesa

Giovanni Paolo II utilizza il suo elogio della democrazia e il suo esame dei suoi limiti e delle sue condizioni di legittimità per chiarire ancora una volta il ruolo della Chiesa in una società democratica. «La Chiesa rispetta la legittima autonomia dell’ordine democratico e non ha titolo per esprimere preferenze per l’una o l’altra soluzione istituzionale o costituzionale» (47). L’osservanza della verità del Vangelo e delle costanti antropologiche non esclude il legittimo pluralismo delle decisioni terrene anche tra Cristiani, come del resto aveva già sottolineato con estrema chiarezza la Gaudium et spes (Gaudium et spes 43).

Il fondamentalismo quindi è totalmente estraneo a questo contesto. Il cristiano vive la liberà e la promuove in quanto rinnova continuamente il suo compito di trasmetter la verità che egli ha riconosciuto (46). La verità che egli ha conosciuto è «quella visione della dignità della persona, la quale si manifesta in tutta la sua pienezza nel mistero del Verbo incarnato» (47). Il contributo della Chiesa nella società democratica è di potenziare questa visione della dignità della persona. Essa adempie a questo compito mediante la proclamazione del Vangelo e la mediazione della sua dottrina sociale.

Anche questo contributo rimane un’ «offerta» (47 e 60). Il Vangelo e il magistero sociale della Chiesa sono di conseguenza il lievito di una società democratica e delle sua cultura politica. Essi sono il fondamento per una società civile senza la quale non può esservi democrazia. Essi trasmettono ai cittadini lo spirito e la struttura della libertà e del servizio, della solidarietà e della giustizia. Essi mostrano ai cittadini come lo sviluppo e la stabilizzazione di un ordinamento statale e sociale che rispetti la dignità dell’uomo dipendano non soltanto da strutture giuridiche ma anche da precisi valori e da un cambiamento di mentalità (60).

Mostrano come i Cristiani debbano a questo scopo ricercare la collaborazione con tutte le confessioni e anche con in non credenti (60). Inoltre li esortano a testimoniare la loro fede nella attività lavorativa di tutti i giorni, e questo significa unirla ad una competenza concreta e ad un impegno sociale (Cfr. anche Pacem in terris 147 e seguenti: Gaudium et spes 43, Christifideles laici 17, 23, 42, 43 e 44).