Italian secret service

secret_serviceper Rassegna Stampa

Rino Cammilleri

Negli anni Sessanta, sull’onda dello strepitoso successo dei film di 007, spuntarono come funghi le parodie, genere nel quale l’Italia, come al solito, eccelse. Quelli che hanno una certa età ricordano senz’altro Lando Buzzanca nei panni di James Tont: Operazione Uno, con la sua Cinquecento che cambiava colore; la buona accoglienza del pubblico provocò il sequel: James Tont: Operazione Due. Nino Manfredi si produsse in un Italian Secret Service, pronunciato così come è scritto. C’era anche una pubblicità da Carosello con un cartone animato su un tal Giacomino Bondi, spia abborracciata.

Scherzavamo, insomma, noi italiani sui luoghi comuni macchiettistici attraverso i quali gli stranieri, specialmente gli anglosassoni, ci vedevano: buffoneria, pressappochismo, furbizie di bassa lega, codardia, teniamo-famiglia, indisciplina e scarsa serietà.Altra cosa, naturalmente, erano gli agenti segreti esteri, a cominciare dall’inglese 007 fino a quelli del mitico Kgb: tecnologia avanzatissima, ombrelli al cianuro e penne esplosive, morti ammazzati veri, impianti sotterranei, cellulari criptati e organizzazioni a scatola cinese, segreti non rivelati neanche sotto tortura, capi fantasma.

Fleming, Le Carré e Greene ci avevano abituati a pensare che, se certe cose venivano squadernate al cinema e nei romanzi, molto più organizzati e misteriosi dovevano essere i servizi segreti veri, Cia, Mossad e MI 6 in testa. Quelli italiani, pensavamo, non erano certo come dipinti da Buzzanca e Manfredi; magari non ipertecnologici come Langley o Quantico, ma senz’altro da poter dormire tranquilli: si sa, gli italiani non hanno molti mezzi ma compensano col cervello e la creatività.

Poi, apriamo i giornali di questi giorni e vediamo che i nostri servizi vengono tranquillissimamente incastrati da un magistrato col semplice espediente delle intercettazioni telefoniche, così come una Calciopoli qualsiasi. Non solo. Un «vicecapo», un «numero due», minacciato di carcere, spiffera tutto e guadagna i domiciliari. Già, tiene famiglia. E vediamo suoi foto e curriculum spaparanzati sui quotidiani e nei tiggì. Altro che Pierce Brosnan torchiato a sangue dai coreani del Nord e che, torturato tutti i giorni, non apre bocca! Infatti, quello era un film. Nella pratica -italiana- parla davanti al magistrato – un magistrato qualunque, per giunta – anche il capo dei capi, pure lui intercettato, e dice, tra l’altro, che ci sono agenti che stanno rischiando la vita per via del suo interrogatorio.

Il solito Cossiga, giustamente, si chiede perché un cittadino che violi il segreto di stato debba andare in galera e un magistrato no. Insomma, questi sono i servizi segreti che dovrebbero vegliare sui sonni degli italiani. Naturalmente, certe toghe non si smentiscono. Né si smentiscono le sinistre, felici quando si può smantellare i servizi come ai bei tempi del Sifar. Ma per loro si tratta ormai di un riflesso condizionato: non c’è più la mamma sovietica da favorire, dunque è un autogol o un puro rigurgito antiamericano.

Eggià, perché adesso l’attuale governo dovrà decidersi: o tramuta il Paese nel bengodi del terrorismo internazionale islamico o spiega alle sue toghe che bisogna onorare l’alleanza con gli Usa. Forse vogliono rinveridre i fasti dell’odiato Craxi, quando si distinse a Sigonella per la resistenza a Reagan e il calabraghe coi dirottatori? Ebbene, epurino per la terza volta i nostri servizi, se proprio ci tengono. Ma almeno li riempiano di uomini con gli attributi, per cortesia. E si decidano per una politica estera che non cominci col prefisso «equi» (equivicina, equidistante…), che è lo stesso di «equivoca». Almeno per non dar ragione a quanti dicono, scuotendo la testa: «I soliti italiani…».