Illuminismo e degrado della donna

Abstract: illuminismo e degrado della donna. Gli illuministi della scuola francese, esaltati come i creatori dei diritti dell’uomo e del cittadino, attribuirono all’essere umano in verità un ben scarso valore. Lo stesso per la donna. Helvétius, parlando delle donne nel testo De l’Homme, vagheggia che esse crescano nella consapevolezza del dovere di far partecipi della loro bellezza e dei loro favori principalmente gli uomini che si sono distinti per il loro genio, per il loro coraggio e per la loro probità.

Centro Studi Rosario Livatino 16 Maggio 2023

La degradazione ontologica della donna:

uno sguardo critico alla filosofia dei “lumi”

Mauro Ronco

1. L’idea della persona al tempo dell’Encyclopédie.

Leggendo durante le scuole superiori qualche testo degli illuministi che dettero vita all’Encyclopédie [1], mi ero formato fin da giovanissimo l’idea – contraria all’opinione comune – che gli illuministi della scuola francese, esaltati come i creatori dei diritti dell’uomo e del cittadino, attribuissero all’essere umano un ben scarso valore. Mi sembrava evidente che il pensiero dominante di tali autori – vuoi per lo scientismo materialista vuoi per l’epistemologia sensista che li caratterizzava – fosse di ridurre l’uomo a una semplice macchina, amputando dalle sue facoltà il libero arbitrio, la volontà, la dimensione spirituale e, dunque, privandolo della sua essenziale dignità ontologica.

Questa idea, di cui nel corso del tempo, approfondendo lo studio del diritto e della filosofia degli illuministi francesi, mi sono sempre più convinto, ha ricevuto una conferma preziosa dall’incontro che feci, nel 1994, con il volume del filosofo e storico del diritto francese Xavier Martin: Nature humaine et Révolution française: Du siècle des lumières au Code Napoléon [2].

Ho studiato in seguito, sia pure per intervalla, con grande interesse i numerosi scritti, pubblicati sia in volume che in articoli di rivista, di questo insigne storico transalpino del diritto, che è pervenuto a fornire un quadro esauriente della filosofia dei “lumi”, sobbarcandosi a una fatica intellettuale immensa, che credo in precedenza non sia stata compiuta da alcuno. Egli, infatti, si è dedicato alla lettura certosina non soltanto degli scritti maggiori dei filosofi dei “lumi”, ma anche della loro copiosissima corrispondenza, che gli ha consentito di disegnare un quadro finalmente attendibile in ordine al loro pensiero.

I libri di Xavier Martin non sono molto noti in Italia; rarissime, pertanto, sono le traduzioni dei suoi scritti nella nostra lingua [3].

Non mi è possibile in questa sede delineare adeguatamente l’opera di Martin, il cui studio sistematico ho sempre posposto ad altri impegni: sed ars longa vita brevis. Approfittando però dell’uscita nel 2022 della seconda edizione, rivista e corretta, dell’opera “L’Homme des droits de l’homme et sa compagne” (1750-1850)”[4], sento il dovere di gratitudine di esporre qualche tratto dell’opera, in particolare del capitolo II, in cui egli, estraendo direttamente dalle opere dei vari maîtres illuministi innumerevoli citazioni in ordine all’idea che essi avevano della donna, rivela le ragioni per cui nell’Occidente moderno, a seguito e in conseguenza del riduzionismo materialistico dell’umano, l’immagine della donna è stata vilipesa in modo inaccettabile: poiché giudicata intellettualmente inferiore all’uomo e, quindi, sottoposta al dominio maschile; poiché trattata, in tutto e per tutto, o come semplice fattrice di figli ovvero come oggetto di piacere per l’uomo, mai come sua compagna a pieno diritto.

Nella stesura di questo testo ho ripreso molte citazioni direttamente dal testo di Xavier Martin, senza sottoporle ad una mia specifica verifica. La serietà scientifica di Martin mi ha esentato, per questo scritto a finalità principalmente divulgativa, dal compiere questa ulteriore e faticosa opera.

2. Gesù Cristo restaurò la dignità della donna

Molti, piuttosto disinformati in ordine alla storia del Cristianesimo e quasi digiuni delle fonti scritturali, hanno fallacemente attribuito alla religione cristiana un atteggiamento discriminatorio verso la donna, ritenendo che il c.d. “maschilismo” o il c.d. “sessismo”, di cui tanto si parla nei giorni attuali, traggano origine, almeno in parte, dal Cristianesimo.

Desidero di contro ricordare con fermezza che fu Gesù Cristo il vero e unico liberatore della donna dalla schiavitù e dalla sopraffazione maschile. Gesù non perdonò soltanto le peccatrici (Lc 7, 45-47; Gv 8, 1-11); Egli non ebbe timore di rivelare proprio a una donna la Sua divinità e il mistero della salvezza prima che agli Apostoli e ai discepoli; in particolare a una donna, a una donna peccatrice e a una donna samaritana! (Gv 4, 4-42).

D’altra parte il Risorto apparve dapprima a Maria Maddalena (Mc 16,9) e fu lei, insieme con le altre donne, ad annunciare l’evento agli Apostoli, i quali, “udito che era vivo ed era stato visto da lei, non le credettero” (Mc 16, 10-11). San Luca, poi, riferisce che furono le donne ad avere per prime l’esperienza della Resurrezione e che esse la raccontarono agli Apostoli (Lc 24, 1-10): “Ma queste parole parvero ad essi come un’allucinazione e non credettero alle donne” (Lc 24-11).

Queste parole della Scrittura, come innumerevoli altre, testimoniano che le fonti cristiane descrivono la donna, in una certa maniera e per certi versi, come quasi superiore all’uomo, almeno per la sua più pronta disponibilità all’ascolto della Parola e per la più sottile e profonda attitudine alla comprensione dei segni misteriosi della salvezza.

Né sfugge ad alcuno che la Santissima Trinità volle nel suo disegno imperscrutabile di salvezza che il Figlio di Dio nascesse dalla Donna, la Santissima Vergine Maria, che è latrice della promessa pronunciata dall’Altissimo, fin dai tempi remoti, allorché, rivolgendosi al Nemico infernale, disse: “Inimicitiam ponam inter te et Mulierem, et semen tuum et Semen illius” (Gen 3, 15).

3. La dimensione ontologica dell’individualismo dei “lumi”.

Il tratto più evidente dei filosofi dei “lumi” è l’individualismo e la conseguente riduzione della società umana ad aggregazione di individui separati radicalmente gli uni dagli altri, che non trovano nella relazione con gli altri alimento per una vita comune nella ricerca del bene, bensì configurano i rapporti intersoggettivi spogli di ogni valore che non sia l’utilità individuale.

Si è soliti vedere in questo individualismo, attratti da una fantasiosa esaltazione della società liberale nata dall’illuminismo, una sorta di attitudine intrisa di simpatia per gli individui, nonché di apprezzamento per le loro grandezze e le loro virtualità.

Nulla di più falso!

Se si esamina l’individualismo teorico del secolo XVIII e quello pratico del secolo successivo nelle radici concettuali, sia filosofiche che teologiche, ci si rende conto che tale dottrina è conseguenza diretta del riduzionismo epistemologico e ontologico della persona umana. La facoltà del pensiero razionale, cioè la via intellettuale per conoscere la verità delle cose, sarebbe contraria alla sua natura, giacché l’uomo formulerebbe i giudizi di coscienza tramite la via dei sensi. La densità ontologica dell’uomo viene altresì radicalmente erosa, giacché egli è privato della libertà, della responsabilità e, al fondo di tutto, della spiritualità che costituisce la sostanza umana nell’unità profonda di corpo fisico e anima spirituale.

Il riduzionismo epistemologico e ontologico riguarda ogni uomo; ma è ancora più radicale e opprimente per la donna: se il pensatore dei “lumi” riduce la densità ontologica del primo, la femminilità è per lui oggetto di strumentalizzazione e di reificazione.

Helvétius, parlando delle donne nel testo De l’Homme, vagheggia che esse crescano nella consapevolezza del dovere di far partecipi della loro bellezza e dei loro favori principalmente gli uomini che si sono distinti per il loro genio, per il loro coraggio e per la loro probità (sic): “Leurs faveurs par ce moyen deviendroient un encouragement aux talens et aux vertus” [5]. Diderot si mostra perplesso a fronte di tale prospettiva, ma non per ragioni di principio, bensì per motivi utilitaristici: se fosse così – obietta – cosa ne sarebbe della propagazione della specie? [6].

L’idea della donna o della figlia come pacco-dono per la gratificazione degli uomini illustri avrà un notevole rilievo al tempo della rivoluzione dell’89. Alla tribuna dei giacobini, nel momento in cui la Francia dichiara guerra alle potenze europee, un autorevole esponente della setta dichiara di offrire: “ses deux filles aux deux premiers soldats qui seraient blessés par l’ennemi” [7]

La riduzione dell’umano, con l’amputazione della sua relazionalità, degrada ancor più l’immagine della femminilità, “spesso ricondotta all’organico, in una prospettiva di consumo” [8]. Poiché l’ontologia condiziona l’assiologia, alla femminilità viene tolta, dal secolo dei “lumi” via via per tutto l’‘800 e nella prima parte del ‘900, ogni forma di rispetto, tanto che larga parte del discorso comune sulla femminilità diventa intriso di grossolana e insolente trivialità, di cui purtroppo ancora oggi non ci si può che rattristare.

4. Qualche citazione tra le innumerevoli dimenticate o censurate.

Qualche citazione è indispensabile per rendersi conto del significato filosofico dell’individualismo della filosofia dei “lumi”. Esso nasce e si sviluppa sulla vocazione dell’individuo isolato, visto come un “tutto perfetto e solitario” [9]. L’individuo primordiale è l’“animal stupide et borné” [10], le cui attitudini sono in ipotesi proporzionate a quel poco di bisogni intellettuali e affettivi che lo stato naturale gli fornirà l’occasione di provare [11].

L’uomo naturale è atrofico intellettualmente e affettivamente a tal punto che colui che intenda costituire una società dovrà cambiare la natura umana, in qualche modo “denaturalizzandolo”: “les bonnes institutions sociales” – dice Rousseau – “sont celles qui savent le mieux dénaturer l’homme” [12] Quella natura umana, da cui sembrerebbero sgorgare diritti meravigliosi, è oggetto di un autentico disprezzo, da cui occorre tirare fuori la persona, a fin di “bene”, con la costrizione e la violenza: “Un être vraiment heureux est un être solitaire”, dice l’autore dell’Emilio, parlando di Dio [13], confondendo il Dio Trinitario con il dio del deismo astratto cui si ispirava.

Coloro che rendono coattivo il contratto sociale hanno per compito di rifondare la natura umana ovvero di annientarla “filantropicamente” se l’uomo naturale non è sufficientemente docile a sottomettersi all’uomo-cittadino. Mirabeau, il futuro costituente, in prima linea per la Dichiarazione dei Diritti, definisce l’uomo “un animal bon et juste qui veut jouir” [14].

Xavier Martin fa l’esegesi dell’espressione, che ha un sapore russoviano: “L’animal est juste: il est bon s’il jouit, c’est a dire qu’il n’est bon que s’il jouit” [15]. E l’insigne costituzionalista Sieyès ribadisce. “L’homme est fait pour jouir” [16] sulla linea di Rousseau che scriveva nel Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini: “L’homme sauvage, quand il a dîné, est en paix avec toute la nature, et l’ami de tous ses semblables” [17].

5. L’odio teologico dei filosofi dei “lumi” contro l’uomo creato da Dio.

Il riduzionismo ontologico dell’umano trova la sua radice profonda nell’odio teologico che i filosofi dei “lumi” nutrono nei confronti della natura umana creata da Dio. L’insofferenza contro la prospettiva del Genesi: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gn 1, 27) è particolarmente aggressiva in Voltaire: “Ô homme! qui ose te dire l’image de Dieu, dis-moi si Dieu mange, et s’il a un boyau rectum” [18].

Nota Martin: il tema dell’uomo immagine di Dio provoca in Voltaire un rigurgito di odio umanamente incomprensibile. Egli inverte diametralmente il rapporto: “[S]i l’l’être fantastique et ridicule qu’on appelle le diable avait voulu faire les hommes à son image, les aurait-il formés autrement ?” [19].

Ugualmente ripugnante appare all’individualismo dei “lumi” l’altro versetto del Genesi, strettamente apparentato al precedente: “Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (Gn. 2,18).

L’uomo di Rousseau è tutto perfetto nella sua solitudine. Con il rigetto del Genesi, l’uomo e la donna non hanno titolo di somiglianza né ragione oggettiva di istituire tra loro una stabile compagnia. Contro la densità relazionale del Genesi: “Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Gn 2, 24), i maschi filosofi dei “lumi” che teorizzano l’umano in un quadro decisamente anti-biblico hanno difficoltà a pensare uomo e donna in un rapporto relazionale di alleanza ontologica e di amicizia paritaria [20].

Diderot usa una formula impressionante, che esprime in modo radicale la rottura dello spirito dei “lumi” con l’antropologia cristiana: “L’homme n’est peut-être que le monstre de la femme, ou la femme le monstre de l’homme” [21]. Osserva Martin che tale formula è la versione massimalista del rifiuto della Bibbia relativamente alla tessitura fondamentale della coppia umana [22].

6. La relazione tra uomo e donna ridotta a rapporto di forza.

La rottura dell’immagine biblica archetipica dell’alleanza ontologica riduce la relazione uomo-donna a un rapporto di forza. L’aspetto sessuale, che resta predominante e quasi esclusivo, una volta cacciati via i profili spirituali e sentimentali dell’esistenza, viene ordinariamente espresso nei termini polemologici di attacco maschile e di difesa femminile e, conseguentemente, di vittoria per il primo e disfatta per la seconda.

Anche a questo riguardo Diderot esercita il ruolo di maestro: “Le coeur de l’homme ne frissonne point; ses sens commandent et il obéit. Les sens de la femme s’expliquent, et elle craint de les écouter. C’est l’affaire de l’homme que de la distraire de sa crainte, de l’enivrer et de la séduire. L’homme conserve toute son impulsion naturelle vers la femme: l’impulsion naturelle de la femme vers l’hommne, dirait un géomètre, est en raison composée de la directe de la passion et de l’inverse de la crainte, raison qui se complique d’une multitude d’éléments divers dans nos sociétés, éléments qui concourent presque tous à accroître la pusillanimité d’un sexe et la durée de la poursuite de l’autre. C’est une espèce de tactique où les ressources de la défense et les moyens de l’attaque ont marché sur la même ligne” [23].

Helvétius non potrebbe essere più esplicito: egli teorizza, sul rilievo che la ragione non può alterare la bontà dell’istinto, che la caccia della donna assomiglia a quella della selvaggina: “La chasse des femmes comme celle du gibier, doit être différente selon le tems qu’on veut y mettre” [24].

La relazione tra l’uomo e la donna è ridotta al profilo organico e inclina verso la brutalità. Si troveranno le tracce di questa concezione nelle discussioni sul Codice Civile voluto da Napoleone. Nel marzo 1803 al Tribunato, durante la sessione sul divorzio, Savoye-Rollin dirà: “[D]ans cet état grossier de nature ou l’on va chercher les plus vives notions du droit naturel, la faiblesse d’un sexe ne pouvait rien opposer à la brutalité de l’autre: celui-ci trouvait ses droits dans l’effronterie même de ses désirs, et leur sanction dans la puissance de les satisfaire” [25].

La nostalgia dello stato di natura, in cui tutto è ammesso per il più forte, è ancora vivissima e si insinua nelle pieghe dell’articolato codicistico. Il sommo Sieyès, gran fautore dei diritti dell’uomo, osserva: ”Dans la nature, tout ce qui a des besoins […] a le droit d’y satisfaire, et par conséquent des droits aux moyens essentiels pour cela. Toute combinaison animée est un système dévorant […]. L’un vit aux dépens de l’autre, et chaque être se tire d’affaire comme il peut” [26].

I confini tra rapporti di forza e violenza sessuale sono labili e incerti. Diderot, riflettendo sui diritti dell’uomo nello stato di natura, lamenta che nella società civile si sia associato un giudizio di disvalore alla violenza dell’uomo sulla donna: ciò che in un luogo primitivo costituirebbe soltanto una leggera ingiuria è divenuto un grave crimine nella nostra civiltà [27]. Non è questa forse una modalità sottile di relativizzare la violenza, poiché essa, in via di principio, non sarebbe che una ingiuria leggera?

Imporre il rapporto sessuale alla donna con la violenza costituisce una sorta di diritto primordiale. Nel romanzo di P.A.F. Choderlos de Laclos Les liaisons dangereuses, che tanta influenza ha esercitato sull’immaginario maschile a partire dalla sua pubblicazione nel 1782, il visconte di Valmont, evocando gli approcci astuti con cui si è avvicinato a Cécile de Volanges, allega i suoi diritti fondamentali scrivendo alla sua complice M.me de Merteuil: “Vous triomphiez par la finesse, moi, rendant à l’homme ses droits imprescriptibles, je subjuguais par l’autorité. Sûr de saisir ma proie si je pouvais la joindre, je n’avais besoin de ruse que pour m’en approcher” [28].

George L. Mosse, che ha studiato l’intero ciclo moderno della società violenta di massa, ha situato precisamente nel cuore del XVIII secolo la dissociazione dell’uomo e della donna nel modo di percepire l’umano, abusivamente mascolinizzato e privato di una dimensione globale. La ricostruzione di Mosse fissa il momento cruciale della frattura ontologica della coppia del Genesi allorché si affermò, nel XVIII secolo, l’invadenza in tutti i rapporti umani del postulato individualista dell’uomo perfetto e solitario [29].

Xavier Martin sottolinea che la perdita del senso della complementarietà biblica tra l’uomo e la donna è il segno ultimo di una visione sociale in cui non ci sono più che individui “plus ou moins ressemblants, fortuitement rapprochés par des pulsions mutuelles, ou unilatérales mais éprouvées par le plus fort” [30].

7. La specie femminile come materiale biologico riproduttore.

Il ruolo della specie femminile viene considerato sotto due diverse declinazioni: quella, già accennata, di oggetto per la fruizione di piacere per l’uomo e quella di materiale biologico riproduttivo.

Quanto al secondo aspetto, prevalgono ancora nei secoli XVIII e XIX e nella prima parte del XX, nonostante la militanza antinatalista del filone riconducibile al marchese de Sade, le pulsioni nataliste, largamente interpretate in chiave utilitarista, come produzione di materiale umano a puri fini economici e militari.

I “savants” del XVIII secolo, in particolare i medici-filosofi dei “lumi” “inventano una natura femminile incommensurabile a quella dell’uomo e la definiscono a partire dalle necessità della specie e delle leggi della riproduzione” [31].

Il dossier al riguardo è grondante di prove. Voltaire per esempio, alludendo alle perdite umane causate dalle guerre, osservò in una lettera del 1766 che i principi bellicosi, preoccupati del problema demografico, “fussent condamnés, eux et tous leurs soldats, à engrosser trente ou quarante mille filles avant d’entrer en campagne” [32]. La greve ironia lascia trasparire il suo disprezzo per la donna. Anche Diderot ammonisce di non preoccuparsi troppo delle perdite di uomini in guerra: “Je l’ai déjà dit, je ne regrette pas les hommes, les hommes se refont” [33].

L’argomento è usato anche al contrario. Nella Vandea in rivolta è d’uopo eliminare anche le donne, poiché da esse rinasce continuamente: “Une race ennemie”, lo ripete il rappresentante convenzionale in missione Jean Baptiste Carrier, capo delle operazioni “rigeneratrici”: “Les femmes de la Vandée! C’est par elles que renaît une race ennemie” [34]. E un comandante delle colonne infernali sollecita i soldati a non farsi scrupolo di abbattere “un troupeau de plusieurs centaines de femmes …Purgeons, purgeons à jamais le pays de cette race infâme” [35]..

La febbre rivoluzionaria e, successivamente, le sanguinose guerre di aggressione di Napoleone in Europa accentuarono la percezione sociale della popolazione come un materiale biologico, “quantité negligéable”, materia impositiva trattata allo stesso modo dell’imponibile delle imposte sui patrimoni e, conseguentemente, la percezione della specie femminile come specie riproduttrice.

Voltaire, che rivela in modo quasi paradigmatico le tendenze dominanti dell’uomo dei diritti dell’uomo, usa con degradante ironia le metafore animali per rappresentare il rapporto tra uomo e donna: “Si vous êtes chèvre, Madame – così si rivolge in una lettera a M.me d’Épinay – il n’y a personne qui ne veuille devenir bouc” [36]. Adulando il duca di Richelieu per le sue conquiste amorose, non si astiene dal rappresentarlo in termini ignobili in mezzo a trofei organici femminili [37]. Con Caterina II, all’epoca della guerra contro i Turchi e con il suo complice re Federico II di Prussia, egli si sofferma a disegnare quadri di ilarità triviale sugli harem e sui serragli orientali, nonché sui “diritti” dei potenti sulle donne in condizioni di schiavitù [38]. L’opinione del corifeo dei diritti dell’uomo circa la superiorità dell’uomo sulla donna la si trova tranchant nel Dictionnaire philosophique: “Et quant à la supériorité de l’homme sur la femme, c’est une chose entièrement naturelle; c’est l’effet de la force du corps, et même celle de l’esprit” [39].

Il dittatore della cultura di Ferney e gli umanisti dei “lumi” non si trattengono dall’esprimere il loro disgusto per la donna anziana. Xavier Martin dedica a questo tema un intero paragrafo del capitolo II del suo libro [40].

Diderot sottolinea il differenziale di decrepitezza tra i due sessi imputabile all’età: “S’il étoit possible qu’il y eût une belle tête de vieille, les haillons qui le couvrent la dépareroient. Nous, nous avons la tête nue; on voit la forêt de nos cheveux blancs; une longue barbe rend notre visage respectable; nous conservons sous une peau ridée e brunie des muscles fermes et solides”. La differenza tra l’uomo vecchio e la donna vecchia è abissale: nella donna, al contrario, “tout s’affaisse, tout s’aplatit, tout pend dans l’âge avancé” [41]. Gli uomini cambiano senza dubbio come le donne col tempo: “Mais le temps ne nous décompose pas autant qu’elles” [42].

Se la densità ontologica della donna sta nell’utilità come riproduttrice e come oggetto di piacere sessuale, la vecchiaia la rende una nullità. La logica dei filosofi dei “lumi” è stringente: l’utilità è il valore per eccellenza nella società dei diritti dell’uomo. Quando la donna non è più in grado di apportare alcuna utilità, essa è ormai fuori dal gioco.

Le citazioni di Xavier Martin sono innumerevoli. G.T. Raynal, scrittore di filosofia politica particolarmente affermato negli anni ’80 del ‘700, dà il tono: “Les vieilles femmes, inutiles au monde” [43]. Il loro destino residuale è “une imbecille apathie” [44]. Senza idee, senza esistenza ripetono senza comprenderlo ciò che ascoltano e sono per se stesse assolutamente una nullità[45].

Le parole conclusive di questa parte le lasciamo ai due eroi principali, Diderot e Voltaire. Il primo: “L’âge avance, la beauté passe; arrivent les années de l’abandon, de l’humeur et de l’ennuie. […] Qu’est-ce alors qu’une femme? Négligée de son époux, délaissée de ses enfants, nulle dans la societé” [46]. E il principe degli umanisti sigilla il tema della donna anziana nel modo seguente: “La femelle, étant plus faible, devint encore plus dégoûtante et plus affreuse. L’objet de la terre le plus hideux est une décrépite” [47].

8. Conclusione.

Nell’epoca in cui ci troviamo a vivere – quando ascoltiamo la proclamazione arrogante, come se si trattasse di diritti umani fondamentali, di desideri e pretese che scuotono dalle fondamenta gli essenziali doveri morali dell’uomo verso Dio, verso se stesso e verso gli altri – non è inopportuno sottoporre a esame critico “i nostri valori”, quei valori di cui le élites intellettuali e politiche della postmodernità si vantano orgogliosamente pretendendo di imporli a tutto il mondo come se fossero il rimedio contro ogni male.

I “nostri valori” corrispondono forse ai “valori” di cui si facevano banditori insolenti i filosofi dei “lumi”?; la nostra idea della donna corrisponde a quella che l’umanista di Ferney proponeva con sarcasmo negandole ogni densità ontologica e ogni dignità veramente umana?; i “nostri valori” non sono piuttosto gli eredi diretti del rifiuto della saggezza inscritta nel libro del Genesi, che stigmatizza nella complementarietà dell’uomo e della donna e nella loro essenziale parità e dignità ontologica i mirabili doni che Dio ha fatto all’uomo e alla donna per averli creati a sua immagine?

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[1] D. Diderot, J.B. Le Rond D’Alambert, Encyclopédie, ou Dictionnaire Raisonné des Sciences, des arts et des métiers, par une société de gens de lettres, Paris, 1751-1772.

[2] X. Martin, Nature humaine et Révolution française: Du siècle des lumières au Code Napoléon, Bouère, 1994.

[3] Lo storico del diritto italiano che si è interessato approfonditamente del pensiero di Martin è forse soltanto S. Solimano, che nel 1995 tradusse sulla Rivista Internazionale dei Diritti dell’Uomo (1995/3, 606-615) lo scritto di Martin Mythologie du Code Napoléon.

[4] X. Martin, L’Homme des droits de l’homme et sa compagne” (1750-1850). Sur le quotient intellectuel et affectif du “bon sauvage”, 2° ed., Poitiers, 2022.

[5] Helvétius, De l’Homme (1773), Section I, note 25, 2 vol., Paris, 1989, t. 1, 128-129.

[6] Diderot, Réfutation suivie de l’ouvrage d’Helvétius intitulé l’Homme (écr. 1773-1774), (publ. 1783-1786), in Oeuvres, publ. L. Versini, t. 1, Philosophie, Paris, 1994, [p. 771-793], 791.

[7] Citato in X. Martin, op. cit., n. 19, 70-71.

[8] X. Martin, op. cit., 71.

[9] J.J. Rousseau, Du Contrat Social, ou Principes du droit politique (1762), LII, ch. 7, Paris, 1966, 77.

[10] Ibidem, L. I, ch. 8, 55.

[11]  X. Martin, op. cit. p. 13.

[12] J.J. Rousseau, Emile ou de l’Éducation (1762), L. I, Paris, 1966, 39.

[13] Ibidem, L. IV, 287.

[14] H.G. Mirabeau, Essai sur le Despotisme, Londres, 1776, 63.ì

[15] X. Martin, op. cit., 16.

[16] J. Sieyès, Essai analytique sur l’âme (1773), in Manuscrits de Sieyès, 1773-1779, publ. dir. C. Fauré, coll. J. Guilhaumou et J. Valier, Paris, 1999, 111 (e nelle sue Lettres aux Économistes, 1774, ibidem, 175).

[17] J.J. Rousseau, Discours sur l’Origine et les Fondaments de l’Inégaliuté parmi les Hommes (1775), notes, nelle sue Oeuvres complètes, t. 3, Paris, 1964, rist. 1979, [109-223], 203.

[18] Voltaire, art. “Déjection”, in Questions sur l’Encyclopédie (1774), in Oeuvres, publ. Beuchot, t. 28, Paris, 1829, 309.

[19] Voltaire, Histoire de Jenni ou l’Athée et le Sage, par M. Sherloc (1775), in Romans et Contes, Paris, 1966, rist. 1998, [611-668], 655. “Cessez donc d’attribuer à un Dieu un ouvrage si abominable”.

[20] X. Martin, op. cit., 84-89.

[21] Diderot, Le Rêve de d’Alambert (écr. août 1769), Paris, 1965, 113.

[22] X. Martin, op. cit., 88.

[23] Diderot, Supplément au Voyage de Bougainville ou Dialogue entre A et B sur l’inconvénient d’attacher des idées morales à certaines actions physique qui n’en comportent pas (1772-1773), in Oeuvres, t. 2, Paris, 1994, [541-578], 573.

[24] Helvétius, De l’Homme, cit., t. 2, 683.

[25] Savoye-Rollin au Tribunat, sur le divorce, 27 ventôse an XI, 18 mars 1803, in Arch. Parlem., 2/4/377/1.

[26] J. Sieyès, Droits de l’Homme (an III?), in Des Manuscrits de Sieyes, 1773-1799, publ. dir. par C. Fauré, collab. J. Guilhaumou et J. Valier, Paris, 1999, 497.

[27] Diderot, Supplément au voyage de Bougainville, cit., 573.

[28] P.A.F. Choderlos de Laclos, Les liaisons dangereuses (1782), lettres 96, Paris, 1998, 257.

[29] G.L. Mosse, L’Image de l’Homme. L’invention de la virilité moderne (version anglaise, 1996), trad. M. Hechter, Paris, 1997, 33.

[30] X. Martin, op. cit., 116.

[31] S. Steinberg, L’inegalité entre les sexes et l’égalité entre les hommes. Le tourmamt des Lumières, in Esprit, mars-avril 2001, n. 3-4, 25, il quale mette in luce che la stessa logica diretta ad annullare le disuguaglianze fondate sulla nascita esacerba le disuguaglianze riguardanti il sesso fino a provocare l’incommensurabilità fondamentale tra gli uomini e le donne.

[32] Voltaire à J. Marriott, 28 mars 1766: Best. D 13224, t. 30, 147.

[33] Diderot, Mémoires pour Catherine II (écr. 1773-1774), Paris, 1966, 10.

[34] Citato da Ch. L. Chassin, La Vendée Patriote (1895), 4 vol., reprint. Mayenne, 1973, t. 4, 217.

[35] Lettres des 20 et 22 décembre 1793, citate in Sur les Droits de l’Homme et la Vendée, 56.

[36] Voltaire a M.me d’Épinay, 26 septembre 1766, Best. D 13590, t. 30, 468.

[37] Voltaire au duc de Richelieu, 28 mai 1744, Best. D 2978, t. 9, 112.

[38] Lettere a Caterina II e a Federico II citate da X. Martin alle n. 294, e 295 p. 143.

[39] Voltaire, art. “Genèse” (1765), in Dictionnaire philosophique, Paris, 1964, 210.

[40] 146-162.

[41] Diderot à Sophie Volland, 15 août 1762, Correspondence, t. 4, Paris, 1958, 104.

[42] Ibidem, 104-105

[43] G.T. Raynal, Histoire philosophique et politique (…) dans les deux Indes, 10 vol., Genève, t. 8, 1780, 46.

[44] Choderlos de Laclos, citato alla n. 335 di Martin, 153.

[45] Ibidem.

[46] Diderot, Sur les femmes, 1772, dans ses Oeuvres, publ. L. Versini, t. 1, Philosophie, Paris, 1994, 954.

[47] Voltaire, art. “Homme”, in Questions sur l’Encyclopédie, 7° partie, 1771, in Oeuvres, publ. Beuchot, t. 30, Paris, 1829, 235.

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Per approfondire:

Una narrativa femminista falsa: il ruolo della donna nel Medioevo