I cristiani e l’immigrazione

banlieu

disordini nelle banlieu parigine

Il Foglio, 21 ottobre 2010

di Francesco Agnoli

A me sembra che la situazione dell’Europa di oggi assomigli terribilmente a quella della fine dell’Impero romano. Una grandezza passata, circondata di rovine. Una civiltà si dissolve piano piano, senza neppure accorgersene. Si canta e si balla, come sul Titanic, senza comprendere cosa stia per accadere.

L’impero romano crollò anzitutto per motivi interni: la corruzione, la disgregazione familiare, l’aborto di massa che portò ad una crisi demografica devastante. Popoli senza terra si accorsero di poter entrare, come la lama nel burro, in un Impero senza popolo, che spesso era stato costretto a chiamarli per primo, avendo bisogno di braccia e di giovani soldati.

Nacque così il periodo più difficile del Medioevo, quello dei primi secoli dopo il 476 d.C: i germani erano veramente dei barbari, con usanze e costumi feroci. Praticavano la faida, l’ordalia, veneravano dei guerrieri, adoravano serpenti ed alberi, praticavano il sacrificio umano.

Ad accoglierli, però, non ci fu soltanto un impero in decadenza: di fronte a sé i barbari trovarono anche la cultura latina e soprattutto, il cristianesimo in espansione. Successe così che i vinti riuscirono, con la loro superiorità, a conquistare piano piano, dopo anni e anni di asprezze, guerre, povertà, i vincitori. Col tempo, soprattutto grazie a papi, santi e ad alcune donne, come Clotilde e Teodolinda, i barbari si convertirono alla Chiesa e alla latinità.

Carlo Magno è un esempio di tutto ciò: figlio dei dominatori, rifondò l’Impero, dandogli anche una struttura culturale e religiosa. L’Europa dopo il Mille, quella delle cattedrali, dei Comuni, di Dante, di Giotto, delle università e degli ospedali, sorse dunque dopo secoli in cui una idea forte, quella cristiana, si era affermata e aveva permesso un lento amalgamarsi di popoli e di culture.

Ma oggi? Mentre gli italiani e gli europei non hanno più figli, mentre la famiglia occidentale vive una crisi terribile, popoli stranieri spingono sui confini, in cerca della nostra ricchezza, dietro la quale, però, non vi è più nulla. Di fronte a questa massa di immigrati che avanza vi sono varie posizioni possibili. Anzitutto c’è quella culturalmente dominante, sostenuta dalla sinistra.

Secondo questa visione l’immigrazione di massa è di per sé un bene: non bisogna allarmarsi, prendere provvedimenti di alcun genere. Nell’ideologia di sinistra, che odia la mentalità cristiana, tutte le altre culture sono ben accette e relativisticamente eguali. “Accogliere” significherebbe lavorare per la società multietnica, senza scorgere in essa alcuna problematicità. Questa visione è il cavallo di Troia dell’Europa: gli islamici di oggi, o gli slavi dei paesi ex comunisti, non sono fortunati come i Germani di un tempo. Di fronte a sé non trovano nulla, e certamente non saranno mai attratti dalla nostra cultura, così decadente e così priva di identità.

In quanto nemica dell’identità storica e religiosa dell’Europa, la sinistra prepara un futuro di ghetti e di conflitti sociali, perché è impossibile che popoli tanto diversi, in un’epoca di migrazioni così imponenti, si possano incontrare in nome del niente. L’ideologia sinistra dell’eguaglianza, infatti, non fonda nulla: è la stessa che ha permesso a Stalin di sterminare i propri compatrioti russi, al cinese Mao i cinesi, a Pol Pot i suoi fratelli cambogiani.

La risposta cristiana al problema dell’immigrazione è assai diversa. Essa presuppone anzitutto uno sguardo realistico: occorre che lo Stato tuteli anzitutto i propri cittadini, e che non confonda l’accoglienza con la concessione di una licenza deprecabile. All’epoca dell’Impero in fiamme S.Agostino invitava gli africani del suo tempo ad accogliere coloro che scappavano dal nord dell’Impero, fraternamente.

Chiedeva loro di essere fratelli dello straniero, chiedeva sacrifici materiali (che oggi non sappiamo più fare), ma non di sacrificare la propria fede e la propria cultura (cosa che oggi abbiamo già fatto). Agostino invitava a riconoscere in ogni uomo una creatura di Dio, dotata di anima immortale: è solo questo sguardo, infatti, non quello materialista di derivazione comunista o liberale, che può farci vedere uno straniero, anche importuno, non solo come un nemico.

Solo questo sguardo genera una accoglienza che non sia semplicemente un “entra pure, tanto il paese è grande e difficilmente toccherà a me occuparmi dei casi tuoi”, ma qualcosa di più profondo, e quindi di più veramente significativo. A me sembra che di fronte al dramma dell’immigrazione la Chiesa dovrebbe provvedere a nuovi missionari, che sappiano le lingue degli immigrati e che vadano loro incontro, per sovvenire ai loro bisogni materiali ma anche spirituali. Solo santi missionari possono essere oggi, come furono in passato, capaci di permettere che l’immigrazione di popoli diventi incontro e non solamente scontro. Se questa è la missione dei credenti, non deve però esserci nessun sovrapposizione tra la carità dei singoli e il ruolo dello Stato.

A Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare, sostengono sempre, anche a sproposito, personalità di sinistra. Per cui la piantino di definire “anticristiani”, quando torna comodo, governi che semplicemente cercano di compiere il loro dovere, regolando un fenomeno, quello immigratorio, che di per sé è sempre drammatico, per chi arriva in una nuova terra, ma anche per chi accoglie. Il nemico più feroce dell’Europa, l’Attila di oggi: l’idea relativista e il mito multiculturale, cioè il principio secondo cui rinunciare a ciò che è per noi essenziale sia il presupposto per incontrare gli altri.