«Famiglia italiana con velo (integrale)»

il Corriere della Sera, 2 settembre 2006

La falsa integrazione, rischio per la società italiana. La denuncia di Magdi Allam

valmozzola_Islam

Ecco la nuova famiglia italiana. Valmozzola, 673 anime compresa una cinquantina di immigrati, è il più piccolo comune della provincia di Parma.

Era una giornata caldissima. La foto, pubblicata dalla Gazzetta di Parma il 13 agosto scorso, mostra il sindaco, Gabriella Olari, con un abito comprensibilmente sbracciato, avvolta dalla fascia tricolore. Sta presiedendo al rito di attribuzione della cittadinanza italiana, che viene conferita con un decreto del presidente della Repubblica. Accanto a lei un’intera famiglia egiziana tra cui spicca la madre completamente avvolta dal niqab, un velo integrale che ha un’unica fessura all’altezza degli occhi.

I nuovi cittadini italiani sono il padre, Mohamed Ismail, e i suoi quattro figli minori, Asmaa, Asraa, Mawadda e Abdel Rahman. Ora anche la moglie ha i requisiti per richiedere la cittadinanza.

La foto della prossima cittadina italiana imbacuccata da cima a fondo, è emblematica di ciò che diventerà la società italiana accordando la cittadinanza senza verificare l’adesione ai valori fondanti della nostra Costituzione e civiltà. Tra cui primeggia l’assoluta parità tra uomo e donna e quindi la condanna di qualsiasi discriminazione nei confronti della donna. Una realtà implicita nell’annullamento del corpo e nell’umiliazione della personalità femminile.

È del tutto evidente che quella donna non si integrerà mai. Quel velo assoluto è una barriera che la separa da una società nei cui confronti ha un atteggiamento pregiudizialmente negativo. Ecco perché dare la cittadinanza a queste persone si tradurrà inevitabilmente nella formazione di un’Italia ghettizzata sul piano etnico, confessionale e identitario, con comunità rinchiuse in compartimenti stagni all’insegna del relativismo valoriale, culturale e giuridico, dove si elargiscono libertà e diritti che ci vengono restituiti sotto forma di indifferenza e intolleranza.

Ciò è purtroppo possibile principalmente per la nostra ignoranza, ingenuità e ideologismo. Nonostante non esista alcuna prescrizione coranica del velo, lo Stato italiano ha recepito e fatta propria la versione più oltranzista dell’islam affermando, con una circolare del Dipartimento della polizia di Stato del dicembre 2004, che l’utilizzo del burqa, in quanto «segno esteriore di una tipica fede religiosa» e una «pratica devozionale», non costituisce reato.

Quindi l’Italia si è spinta addirittura oltre il convincimento degli integralisti islamici secondo cui l’islam imporrebbe un semplice velo che copre il capo, sulla base di una discutibile interpretazione del versetto XXIV, 30-31 del Corano, sposando la tesi aberrante degli estremisti islamici secondo cui la donna deve essere relegata sotto un velo integrale.

Ancor più grave di questo provvedimento amministrativo è la sentenza 11919, della terza sezione penale della Corte di Cassazione di Roma, che lo scorso 4 aprile ha deliberato che «la religione musulmana impone alle credenti» di portare il velo. Si tratta di una sentenza definitiva e inappellabile del nostro Stato laico che sostiene l’obbligatorietà del velo per le donne islamiche. Ebbene oggi gli estremisti islamici nostrani possono legittimamente, con il pieno conforto della magistratura italiana, esigere che in Italia le donne musulmane siano tutte velate.

Questo sbandamento amministrativo e giuridico trova riscontro anche nelle recenti decisioni dei Comuni di Riccione e di Francavilla al Mare (Chieti) di riservare delle spiagge per sole donne musulmane, separate con un muro. Il Comune di Riccione ha chiarito che si tratta di un’iniziativa atta a favorire l’afflusso e i consumi dei ricchi sceicchi arabi che arrivano con uno stuolo di donne, che non vogliono che vengano viste in mare da altri uomini.

Mentre il sindaco di Francavilla, Roberto Angelucci — in una dichiarazione raccolta da Il Giornale  il 29 agosto — ha invocato nobili ragioni ideali: «Viviamo in una società multirazziale ed anche Francavilla si sta adeguando alla tendenza. Tutto questo, quindi, implica la presenza di persone con culture e religioni diverse.

Ed è proprio nel rispetto delle altre culture e religioni che ritengo opportuno prevedere nel nuovo piano spiaggia 2007 un tratto di arenile riservato esclusivamente alle donne ed un altro agli uomini». Ebbene non si tratta forse di una flagrante violazione di uno dei cardini della nostra civiltà, la parità tra uomo e donna e il rifiuto di qualsiasi discriminazione delle donne? Come non rendersi conto che la svendita dei valori per denaro o cinismo ideologico porterà dritto al suicidio della nostra civiltà?

Così come non può non preoccupare il fatto che a Padova il ghetto di via Anelli, teatro di violenti scontri tra nigeriani e maghrebini lo scorso 26 luglio, sia stato prima isolato con un muro e poi, su iniziativa del Comune, si è affidato a vigilantes extracomunitari il compito di garantirne la sicurezza. Alla realtà del ghetto etnico e confessionale, si aggiunge ora la discriminazione politica che inesorabilmente produrrà la ghettizzazione identitaria. Ci rendiamo conto che ammettendo che le istituzioni italiane non sono in grado di garantire la legge e la sicurezza sul proprio territorio, di fatto ci rendiamo responsabili di un gravissimo cedimento sul piano della sovranità e identità nazionale?

In tutto ciò i principali colpevoli siamo noi italiani. Lo sapete che, dal primo luglio scorso, in venti motorizzazioni è possibile ottenere la patente di guida sostenendo l’esame, a propria scelta, in sette lingue, tra cui l’arabo, il russo e il cinese? Ebbene visto che la patente di guida italiana è un documento richiesto da un residente fisso, ci rendiamo conto che sarebbe necessario che questi immigrati conoscessero adeguatamente la lingua italiana? Si tratta di una iniziativa sbagliatissima perché fa venire meno il primato e l’obbligatorietà della lingua italiana per chi soggiorna stabilmente nel nostro Paese.

È questo insieme di fatti reali che connotano l’immagine di un’Italia che procede alla rinfusa e ciecamente nella definizione di un nuovo modello di convivenza sociale imposto da un mondo sempre più globalizzato. Un’Italia che viaggia con una navigazione a vista, senza un comandante che indichi la rotta da seguire e il punto d’approdo, lasciando campo libero all’arbitrio dei singoli membri dell’equipaggio con la loro irresistibile sete di protagonismo. Il rischio, lo si può facilmente intuire, è che la nave affondi