Accordi di Abramo tra Israele e Arabia, quale futuro?

Inside Over  – DOSSIER – Agosto 2023

Il nuovo Medio Oriente  

Il Medio Oriente sta cambiando pelle. Dal lungo addio degli Stati Uniti, passando per il nuovo ruolo delle potenze regionali: Arabia Saudita e Iran in testa, tutta l’area è in fermento. Gli accordi di Abramo restano in bilico, e intanto alcuni focolai di tensione non accennano a diminuire. E sullo sfondo compare la Cina e il nuovo ruolo che è pronta a ricoprire

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Inside Over  – dossier – 14 Agosto 2023

Il Nuovo Medio Oriente e il futuro degli Accordi di Abramo

Il futuro degli Accordi di Abramo tra Israele e Emirati Arabi

Fulvio Scaglione

Proprio due anni fa, il 13 agosto del 2020, Donald Trump metteva la firma su quello che, alla luce degli eventi, è stato l’ultimo grande progetto Usa di politica estera: la normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, comunemente detti Accordi di Abramo. Ad essi, i primi due Paesi del Golfo Persico ad abbracciare uno spirito di riconciliazione tra Paesi arabi e lo Stato ebraico, si erano poi aggiunti Sudan e Marocco. Tutti andavano ad affiancarsi all’Egitto (Accordi di Camp David del 1978) e alla Giordania (trattato del 1994), aprendo così una grande breccia in quello che, per decenni, era stato un fronte compatto anti-israeliano. Tanto più che anche l’Arabia Saudita sembrava incline a seguire la stessa strada.

Con mille astuzie e prudenze, certo: all’alleato e protettore americano Riad, che insegue il vecchio sogno di diversificare rispetto all’economia petrolifera, chiedeva lo sviluppo di un programma di nucleare civile e lo status di “major non Nato ally”, lo stesso di cui godono Israele, Giordania e Qatar; e per pararsi il fianco rispetto alla parte intransigente dell’opinione pubblica araba che flirta con i movimenti islamisti, chiedeva un trattato di pace, o qualcosa che gli somigliasse, tra Israele e i palestinesi.

Una montagna diplomatica da scalare ma intanto si trattava e i contatti si rafforzavano. L’Arabia Saudita apriva il proprio spazio aereo ai voli da e per Israele (e sul primo, da Tel Aviv a Gedda, viaggiò nel luglio 2022 lo stesso Joe Biden), Israele riconosceva la sovranità saudita sulla isola di Tiran e Sanafir nel Mar Rosso, e la comune preoccupazione per l’espansionismo politico (Yemen, Siria, Libano, Iraq) e tecnologico (nucleare) iraniano garantiva che il dialogo non si interrompesse. Ed era chiaro a tutti che l’adesione dei sauditi sarebbe stato il portone spalancato su una completa ristrutturazione politica ed economica del Medio Oriente.

Le crepe dopo lo scoppio della guerra in Ucraina

la Guerra russo-ucrainaPoi sono cambiate tante cose. Il Sudan è sprofondato nell’ennesima guerra civile. In Israele i primi ministri e i governi si sono avvicendati (gli Accordi di Abramo furono firmati da Benjamin Netanyahu che, prima di tornare in sella a fine 2022, era stato avvicendato da Naftali Bennet e Yair Lapid), l’inquietudine sociale è cresciuta e lo scontro con i palestinesi si è inasprito. Ma soprattutto è arrivata l’invasione russa dell’Ucraina e la guerra che ne è derivata, con il grande rimescolamento internazionale che l’una e l’altra hanno provocato.

Gli scossoni si sono avvertiti fin da subito. Un mese dopo l’avanzata delle truppe russe in territorio ucraino, i ministri degli Esteri di Usa, Egitto, Israele, Marocco, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti si ritrovarono in Israele, a Sde Boker, per confermare lo spirito degli Accordi firmati due anni prima. Molti sorrisi, calorose strette di mano ma nessun documento alla fine della riunione. E qualche tensione facilmente percepibile. In primo luogo da parte del Paese che, per i Paesi del Golfo Persico, aveva fatto da pesce pilota rispetto agli Accordi, ovvero gli Emirati Arabi Uniti. Abdullah bin Zayed al-Nahyan, figlio del fondatore degli Emirati Zayed bin Sultan al-Nahyan e ministro degli Esteri, era stato il firmatario degli Accordi ma anche il diplomatico che nel 2019 aveva accolto Vladimir Putin ad Abu Dhabi con straordinari onori, firmando con lui trattati su energia e tecnologia per un valore di un miliardo di dollari. E infatti a fine febbraio 2022 gli Emirati si erano astenuti su una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu tesa a condannare l’invasione russa dell’Ucraina.

La mossa aveva provocato le ire degli Usa, che dovettero però fare buon viso a cattivo gioco. Allora e in seguito, visto che Dubai è diventato uno degli hub finanziari e commerciali che in questo anno e mezzo di guerra hanno permesso alla Russia di tenere a galla la propria economia. Difficile peraltro analizzare le ragioni della decisione emiratina. Si è detto che fosse dettata dalla delusione per un certo disimpegno americano rispetto alle questioni della sicurezza nell’area, con la decisione di Biden di togliere gli houthi yemeniti dalla lista delle organizzazioni terroristiche, forse una concessione all’Iran nelle complicate e riservatissime trattative sul tema del nucleare. Fatto sta che gli Emirati non hanno cambiato politica e, anzi, hanno rifiutato di aumentare la produzione di petrolio, come chiedeva lo stesso presidente americano per frenare il rally dei prezzi dell’energia in seguito al distacco europeo dal fornitore Russia.

Il rimescolamento degli equilibri

Il futuro degli Accordi di Abramo tra Israele e Emirati ArabiÈ però probabile che anche l’atteggiamento emiratino faccia parte del grande rimescolamento degli equilibrii internazionali che il conflitto tra Russia e Ucraina ha provocato, persino presso i Paesi più tradizionalmente schierati con l’Occidente. Il Qatar, per esempio, non coinvolto negli Accordi di Abramo ma, come già detto, iscritto al ristretto novero dei “major non Nato ally”. Le autorità qatarine hanno firmato contratti importanti e lucrosi (per esempio con ConocoPhillips per l’esportazione in Germania di 2 milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto all’anno in Germania per almeno 15 anni, a partire dal 2026) con i Paesi europei desiderosi di sostituire le forniture energetiche russe ma non si sono nemmeno sognati di dismettere la quota del 19% che detengono nel gigante petrolifero russo Rosneft.

E l’Arabia Saudita, il cui rapporto privilegiato con gli Usa risale alla Seconda guerra mondiale, ha mostrato grande cura nel preservare il rapporto con la Russia, tanto da decidere in sintonia con Mosca un taglio da mezzo milione di barili al giorno alla produzione di petrolio per tenere il prezzo sopra una certa quota, cosa che il Cremlino avrà certo apprezzato. Anche a non voler parlare dei blocchi generati dal Covid, vanno poi tenuti in conto altri sommovimenti che sono il frutto di processi politici di lungo periodo ma che le vicende più recenti hanno senza dubbio accelerato: per esempio, la riammissione della Siria di Bashar al-Assad nella Lega Araba o il disgelo tra Arabia Saudita e Iran mediato dalla nuova e ingombrante presenza della Cina.

Cosa resta degli Accordi di Abramo

Basta tutto questo a recitare un de profundis per gli Accordi di Abramo? La risposta è no. Il potenziale è intatto. Più che dissipato è da considerarsi “congelato” in attesa che la più vasta crisi internazionale cessi di agitare così tanto le acque. Israele aveva molto investito negli Accordi, mobilitandosi senza riserve in una grande offensiva diplomatica verso il mondo arabo sunnita. Nel 2021 il presidente Isaac Herzog aveva visitato, primo tra i capi di Stato israeliani, gli Emirati Arabi Uniti, preceduto dai viaggi del premier Naftali Bennet ad Abu Dhabi e in Egitto, del ministro degli Esteri Yair Lapid in Bahrein e del ministro della Difesa Benny Gantz in Marocco. Per non parlare dei contatti tra i responsabili dei diversi servizi di sicurezza, di cui sono giunte notizie scarse ma frequenti.

Il futuro degli Accordi di Abramo tra Israele e Emirati ArabiNulla di cui stupirsi, perché secondo tutti gli studi il principale beneficiario dell’applicazione, e di un eventuale allargamento, degli Accordi sarebbe proprio lo Stato ebraico. La Rand Corporation ha valutato nel 2,3% il potenziale incremento del Pil israeliano in seguito all’applicazione degli Accordi, e un anticipo del futuro raggiungibile si è avuto con la crescita esponenziale del volume degli scambi tra Israele ed Emirati Arabi Uniti: dagli 11 milioni di dollari del 2019 ai 93 del 2020 fino ai 309 milioni del 2021, cifre che peraltro, come sottolinea Aspenia, “non tengono conto dei beni non classificati, come i diamanti, e del settore dei servizi”. 

Affrancato ormai dalle dipendenze energetiche (dal 2020 lo Stato ebraico è esportatore netto di gas) e, anzi, avviato a diventare una piccola potenza del settore, Israele può guardare agli Accordi di Abramo come a una scommessa “win win”, forte di un settore tecnologico di avanguardia i cui prodotti fanno gola, sia per quanto riguarda la sicurezza sia per le esigenze del settore civile, alle monarchie del Golfo Persico, di fatto costrette a importare tutto il necessario.

Nello stesso tempo, gli Emirati e gli altri Paesi dispongono di un patrimonio finanziario che potrebbe, con i suoi investimenti, fare da motore aggiuntivo alla già superdinamica economia israeliana. Per non parlare dell’effetto positivo complessivo che una rete di Paesi finalmente pacificati potrebbe esercitare sulle economie e sulle società dell’intera regione, soprattutto se si arrivasse a un patto tra Usa e Iran sul nucleare e se il disgelo tra Arabia Saudita e Iran dovesse consolidarsi. Il nuovo atteggiamento della Turchia, che ha ripreso le relazioni con Israele e, spinta dalla crisi economica, migliorato quelle con le petromonarchie del Golfo, è un esempio eloquente.

Non resta, quindi, che aspettare e sperare in una nuova distensione internazionale che, in ogni caso, solo con la fine della guerra in Ucraina potrebbe avviarsi. Come già altre volte nella sua tormentata storia, il Medio Oriente sconta, oltre ai suoi, anche i problemi altrui.

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Indice del DOSSIER

1. La guerra in Yemen, il terrorismo: gli ultimi focolai di crisi in Medio Oriente

2. Da Saddam all’ascesa della Cina: com’è cambiata la politica Usa in Medio Oriente

3. Il nuovo Medio Oriente e il futuro degli Accordi di Abramo

4. Il disgelo siriano: così si è riaperto il dialogo con Damasco

5. La mossa a sorpresa di Xi: perché la Cina punta sul Medio Oriente