Abbandonare la morale?

moralitàil Timone, n.135 (2014)

Se partiamo dall’annuncio dell’amore di Dio, anche la condotta degli uomini migliorerà. Ma anche se partiamo da discorsi etici (ben argomentati), sarà poi più facile proporre la fede in Cristo

di Giacomo Samek Lodovici

Da qualche mese, nel mondo cattolico si è rafforzata un’impostazione circa il modo cristiano di agire nella società, quella di chi dice: «lasciamo stare l’etica, la morale, e focalizziamoci sull’annuncio di Dio e di Cristo».

La sola fede salva?

Ora, tralasciare totalmente la morale, è, in buona misura, la posizione di Lutero (non posso fare qui una serie di precisazioni sulla sua concezione), secondo cui le opere che l’uomo compie, il suo agire, non incidono sulla salvezza: è la sola fede che giustifica l’uomo. Una simile prospettiva è erronea sia dal punto di vista teologico, sia dal punto vista filosofico.

Dal punto di vista teologico basti citare la lettera di Giacomo (Gc, 17): «la fede senza le opere è morta»; e già Gesù afferma (Mt, 7,21): «non chi mi dice Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio entrerà nel Regno dei cieli». Chi fa la volontà di Dio è colui che agisce moralmente in un certo modo. E nel Vangelo Gesù fa molti discorsi etici, anche scomodi (per esempio discorsi sul matrimonio: «l’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto», Mc, 10, 7-9).

Quanto al punto di vista della filosofia-metafisica, Dio è interessato alla vita di ciascuno e un uomo che è malvagio verso gli altri e/o verso se stesso (esiste infatti anche una ingiustizia verso se stessi, come dice già Aristotele) non può per nulla compiacere Dio.

Partire dalla fede o dall’etica

Le impostazioni giuste sono invece altre due, e sono complementari:

1. «partiamo dall’annuncio di Dio, dall’annuncio dell’amore di Gesù, focalizzandoci specialmente su questi discorsi, e poi anche la condotta degli uomini migliorerà di conseguenza»;

2. «partiamo dai discorsi morali, cerchiamo di aiutare le persone ad essere moralmente migliori, e poi sarà possibile proporre loro la fede in Dio e in Cristo».

A seconda delle persone con cui (caso per caso) si è in relazione e a seconda dei contesti culturali, può essere più opportuno battere la strada 1 oppure la 2.Ma mentre la 1. è facilmente plausibile e convincente, raramente si coglie la validità anche della 2.

Validità della partenza dalla fede

La 1 è valida perché una persona che diviene profondamente credente, che viene conquistata dall’amore meraviglioso e misericordioso di Dio, cerca di agire per compiacere Dio; se comincia o ri-comincia a frequentare la Chiesa cerca di agire secondo l’etica cristiana proclamata dalla Chiesa, per di più sorretta dalla forza della grazia, che viene dai sacramenti.

Però, se la Chiesa rinuncia all’annuncio morale o lo mutila o lo adultera (come non di rado fanno alcuni sacerdoti), allora questo neo-credente non sa nemmeno quale sia l’etica cristiana o la conosce mutilata o mistificata e dunque il suo comportamento morale sarà improntato a quest’etica mutilata-adulterata.

Inoltre, se questo credente non viene aiutato a comprendere la ragionevolezza dell’etica cristiana, il suo innamoramento per Dio e Cristo rischia di affievolirsi o di spegnersi di fronte a certe esigenze dell’etica cristiana (la protezione dell’innocente dall’aborto, la purezza, la fedeltà matrimoniale, ecc.), esigenze che nel lungo periodo rendono più felici (come ho argomentato in G. Samek Lodovici, L’emozione del bene, Vita e Pensiero 2010), ma che nell’immediato richiedono fatica, impegno, lotta contro certe proprie passioni e abitudini, ecc.

Tra l’altro, alcune di queste convinzioni morali cristiane sono contestate quotidianamente in modo martellante dalla stragrande maggioranza dei media, perciò è cruciale avere delle ragioni per vivere secondo l’etica cristiana.

E, non solo per quanto riguarda l’aspetto morale del cristianesimo, bensì anche per la fede in generale, chi aderisce a Dio solo in forza dell’entusiasmo emotivo-sentimentale, rischia molto facilmente di allontanarsi da Dio stesso se altre esperienze emotivamente forti provocano in lui delle emozioni che subentrano al posto del sentimento di amore filiale verso Dio. Una simile fede è come la casa appoggiata sulla sabbia di cui parla il vangelo (Mt, 7, 26-28). Per questo è importante fondare piuttosto la fede sulla roccia, cioè anche su un approfondimento della motivazioni razionali della fede stessa (cfr. il mio Fede e ragione/2, «il Timone», n. 79 (2009), reperibile su www.iltimone.org).

Come dice la parabola evangelica (Lc, 8, 5-8), il seminatore uscì a seminare e una parte del seme cadde dove non c’era molta terra e qui germogliò, ma, «spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. Un’altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto». Una fede fondata solo su un riscontro emotivo rischia di bruciarsi al sole di altre esperienze emotive o di essere soffocata dalle spine, cioè dagli avversari del cristianesimo o  da gravi sofferenze.

Validità della partenza dalla morale

La validità della 2, come detto, è più difficile da comprendere.

Torniamo alla metafora evangelica della semina. La fede è un dono divino, è il seme messo dal Seminatore, ma l’essere umano può favorire  questo dono, può propiziarlo, come fa chi prepara un terreno − arandolo, fertilizzandolo, ecc. − in modo che possa ricevere ed accogliere un seme, il quale possa allora germogliare e poi crescere come pianta rigogliosa.

Ora, s. Tommaso dice che ci sono alcune dimostrazioni filosofiche (per esempio la dimostrazione dell’esistenza di Dio) che favoriscono la fede nella Trinità, nell’Incarnazione, eccetera, e le chiama preambula fidei, cioè presupposti per poter arrivare a credere.

Ebbene, anche la buona condotta umana, ed in particolare le virtù, possono essere preambula fidei. Se questi concetti sono antichi, questa espressione tommasiana è stata in tempi relativamente recenti applicata alle virtù da Benedetto XVI (cfr. Incontro con i parroci e il clero della diocesi di Roma,): «l’essenziale è Dio. Se non parliamo di Dio […] restiamo sempre alle cose secondarie». Ma come arrivare a Dio? «ci sono i preambula fidei, che forse sono il primo passo per rendere aperto il cuore e la mente verso Dio: le virtù naturali»; «ho avuto la visita di un capo di Stato, che mi ha detto: non sono religioso, il fondamento della mia vita è l’etica aristotelica. È già una cosa molto buona, e siamo già […] in cammino verso la sintesi di Tommaso. E quindi può essere questo un punto di aggancio: imparare e rendere comprensibile l’importanza per la convivenza umana di questa etica razionale, che poi si apre interiormente − se vissuta conseguentemente − alla domanda di Dio, alla responsabilità davanti a Dio». Insomma, «dobbiamo avere chiaro davanti a noi […] quali sono i preambula nelle situazioni in cui possiamo fare i primi passi: certamente proprio nell’oggi una certa prima educazione etica è un passo fondamentale». Ed ecco due esempi storici: «Cipriano […] ci dice che prima la sua era una vita totalmente dissoluta; poi […] ha imparato un’etica fondamentale e così si è aperto la strada verso Dio. Anche sant’Ambrogio […] dice: finora abbiamo parlato della morale, adesso veniamo ai misteri. Avevano fatto il cammino dei preambula fidei con un’educazione etica fondamentale, che creava la disponibilità per capire il mistero di Dio».

In effetti, le virtù predispongono il terreno alla seminagione della fede. Chi, pur non essendo credente, si sforza di vivere come se Dio esistesse (veluti si Deus daretur, come ha sottolineato l’allora cardinale Ratzinger in un discorso a Subiaco del 1 aprile 2005), molto probabilmente arriva alla fede. Del resto lo dice il Vangelo (Mt 7,7): «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete».

Inoltre (già per Socrate, Platone e Aristotele, poi per Agostino, Tommaso ecc.), le virtù realizzano l’ordine nelle passioni e negli affetti, laddove invece l’uomo passionale a volte sceglie di non vedere quelle verità, per esempio le verità su Dio, che gli imporrebbero di cambiar vita (con la nostra volontà noi siamo in grado persino di negare un’evidenza, dicendo a noi stessi che siamo vittime di un’autosuggestione). Davvero «i puri di cuore vedranno Dio» (Mt 5,8): autocoltivando virtuosamente i nostri affetti, desideri, passioni, possiamo essere predisposti ad accogliere la Grazia (su ciò cfr. anche Pascal).

Infine, la fede cristiana culmina nell’amore e le virtù, pienamente realizzate, sono espressioni dell’amore (cfr. il mio La virtù come amore, «il Timone», 90 (2010), reperibile su www.iltimone.org). Esse dunque producono (cfr. per es. già Clemente Alessandrino) la somiglianza con Dio, che è Amore. Ora, la somiglianza tra due persone rende possibile l’amicizia tra di loro, quindi la somiglianza con Dio rende possibile quella l’amicizia con Dio che è appunto il culmine della fede.

Due approcci complementari

Come detto, l’impostazione 1. e la 2. sono complementari (Papa Francesco insiste soprattutto sulla 1., ma talvolta persegue anche la 2: si pensi, per esempio, alla sua condanna dell’aborto, definito «delitto abominevole» l’11.4.14). Al riguardo cfr. il già citato discorso di Benedetto XVI: «dobbiamo forse fare un’interazione tra educazione etica − oggi così importante − da una parte, anche con una sua evidenza pragmatica, e nello stesso tempo non omettere la questione di Dio. E in questo interpenetrarsi di due cammini mi sembra forse che riusciamo un po’ ad aprirci a quel Dio che solo può dare la luce».