Marx tra formule, dialettica e profezie

marxIl Corriere del sud n.4-2013 15 maggio

A cura di Marco Bertoncini

Sovrintendente emerito all’Archivio centrale dello Stato, docente di Storia contemporanea, Aldo Giovanni Ricci ha all’attivo una lunga serie di studi, che vanno dagli anni d’avvio della Repubblica (segnatamente il periodo degasperiano), alla figura del Sismondi (Ricci presiede l’Associazione di studi sismondiani), da Garibaldi a Lucio Colletti. Importante è la serie di verbali del Consiglio dei ministri da lui curata per gli anni dal 1943 al ’48. Se al centro dei suoi interessi sono soprattutto Otto e Novecento, non ha mancato escursioni in altri periodo, partendo dal Cinquecento farnesiano. L’ultimo suo volume è La magnifica illusione. Marx tra formule, dialettica e profezie, pubblicato da Palombi editori (pp.150, € 12). Su questa opera l’abbiamo sentito.

La prima domanda è quasi scontata: perché ancora un libro su Marx?

Questo è un libro che potrebbe apparire inattuale, perché il marxismo sembra estinto o in via di estinzione. Ma per altri versi forse non lo è, perché la sociologia del capitalismo elaborata da Marx resta un classico, ma anche, e forse soprattutto, perché queste stesse profezie possono rivelarsi tuttora gravide di frutti imprevedibili in tempi in cui tornano di moda messaggi apocalittici, che postulano la distruzione dell’esistente per la costruzione del nuovo. Messaggi in cui la crisi della politica viene fatta coincidere con la sua fine, per essere sostituita da una favoleggiata democrazia diretta espressa attraverso la rete.

Qual è il nucleo centrale del pensiero di Marx?

Si può descrivere come un lungo viaggio, sulla scia del pensiero hegeliano, alla ricerca dell’alienazione nel mondo moderno, individuata nella proprietà privata e nei suoi sviluppi nell’era del capitalismo. Nell’alienazione della produzione di merci trovano le loro radici anche la separazione tra società civile e Stato politico.

Come si supera per Marx questa situazione?

Per Marx l’alienazione capitalistica è un male necessario per il suo definitivo superamento in un bene più elevato e il proletariato, in quanto oggetto del massimo sfruttamento da parte del capitale, rappresenta il nuovo popolo eletto, chiamato a emancipare l’intera società.

Che ruolo ha la politica in questa prospettiva?

In Marx non c’è posto per una teoria della politica. Il rovesciamento del modo di produzione capitalistico comporta pure l’estinzione dello Stato e quindi il venir meno della politica in quanto mediazione tra interessi diversi. Capitale, altari e Stato scompaiono e la politica muore con loro, anche se la grande industria, con le sue leggi, continua a crescere per soddisfare bisogni potenzialmente infiniti. È la contraddizione, messa a fuoco con estrema lucidità dal grande filosofo del diritto austriaco Hans Kelsen, tra la teoria economica e la teoria politica del marxismo.

500 anni fa Machiavelli scriveva il Principe, ponendo le fondamenta della politica moderna. Marx se ne occupa?

No. Non cita mai nelle sue opere (e non è un caso) il nostro Machiavelli e non ha quindi occasione di confrontarsi con le sue ricerche e in particolare con la scoperta della secolarizzazione della politica nella società moderna, come conseguenza della sua progressiva emancipazione dalla sfera religiosa. Nel sistema di Marx non c’è spazio per quella grande conquista teorica e pratica rappresentata dall’autonomia della politica, dalla quale discendono tutte le dichiarazioni dei diritti che sono alla base delle costituzioni del mondo occidentale.

La scomparsa della politica profetizzata da Marx ci dice qualcosa sulla sua crisi oggi nel nostro Paese?

È vero, viviamo tempi di crisi della politica, in particolare in Italia, ma più in generale in tutto il mondo occidentale, come se il liberalismo democratico-sociale, nelle sue diverse versioni nazionali, non fosse più in grado di sostenere il confronto con la crisi economica e il progressivo arretramento del welfare. Alla voce sempre più flebile della politica si affianca la voce sempre più forte dei tecnocrati, mentre riprendono fiato autori neoanarchici, pronti a illustrarci come rifiutare ogni cooperazione al funzionamento del sistema per realizzare la sua implosione.

Come conseguenza della crisi radicale del sistema dei partiti, questo rifiuto ha trovato un seguito di massa proprio nel nostro Paese, utilizzando le forme dell’egualitarismo ambiguo della rete, un egualitarismo che, paradossalmente, proprio per la volatilità del mezzo utilizzato, si traduce (è il nostro caso) in un esasperato culto verticistico della personalità.

Insomma, leggendo Marx si scopre che non c’è niente di nuovo sotto il sole?

Proprio così. Sembrano discorsi nuovi, ma lo studio di Marx ci mostra che sono discorsi vecchi, viziati da contraddizioni insanabili, riproposti per di più in versioni unilaterali e semplificate, che non hanno certo il fascino del sistema totalizzante del fondatore del “socialismo scientifico”. Le risposte alla crisi della politica, almeno fino a quando non vivremo in un mondo angelicato o di puri spiriti, possono venire solo dalla politica stessa, a meno di non rinunciare alla democrazia così come noi la conosciamo. Ma il buio del “secolo breve” appena trascorso ha dimostrato anche ai più ottimisti che la Civitas Dei non è di questo mondo.