Afghanistan, vietata l’università alle ragazze

Il Borghese marzo 2023 

di Giuseppe Brienza

Nell’agosto del 2021 i talebani sono tornati al potere in Afghanistan. Insieme ai Mullah è stato ripristinato anche il regime di segregazione delle donne. In pochi mesi si sono infrante le promesse di non ripetere il totalitarismo che aveva segnato il primo periodo al potere (1996-2001), cominciando dalla progressiva esclusione delle donne dalla vita pubblica. Di fatto impedite immediatamente di lavorare, a nemmeno sei mesi dalla conquista del potere a Kabul, il 23 marzo 2022, i talebani le hanno estromesse (quelle da dodici anni in su) da tutte le scuole secondarie, a poche ore dalla loro tanto sbandierata riapertura!

Il 7 maggio 2022 è stata la volta del decreto del leader supremo dell’Emirato islamico dell’Afghanistan Haibatullah Akhunzada, che ha imposto di nuovo il velo integrale, che lascia scoperti solo gli occhi, alle donne ogniqualvolta sono fuori casa.

Nello scorso dicembre per le studentesse afghane era scattato il divieto di entrare in aula, seguito poi da un’altra proibizione che impediva loro di prestare servizio nelle Ong. A gennaio di quest’anno, quindi, il capitolo finale. Dopo che migliaia di ragazze avevano sostenuto gli esami di ammissione in varie università del Paese, infatti, è arrivato il diktat definitivo del ministro dell’Istruzione superiore Neda Mohammad Nadeem: divieto generalizzato di istruzione universitaria per tutte le donne «fino a nuovo ordine».

Il Mullah Nadim, già governatore e comandante militare talebano di Kabul, era stato incredibilmente nominato responsabile dell’università ad ottobre 2022 e, fin da subito, aveva espresso la sua chiara opposizione all’istruzione femminile, definendola «non islamica» e contraria ai «valori afghani». La sua recente decisione, quindi, poco rilanciata dai grandi media occidentali, non rappresenta pertanto una sorpresa.

Quattro mesi fa, quando migliaia di ragazze e giovani donne avevano potuto sostenere gli esami di ammissione all’università, lo avevano potuto in effetti fare nel quadro di radicali restrizioni sulla scelta dei corsi di studio, con veterinaria, ingegneria, economia e agricoltura vietate e giornalismo severamente limitato. Senza contare le regole imposte a tutti gli atenei, tra cui aule e ingressi separati per uomini e donne. Di fatto, come ha confermato il recente decreto di Nadim, si è trattato solo di fumo negli occhi…

Tanto è vero che, fino a che è stato possibile, alle ragazze che avessero deciso nonostante il boicottaggio di Stato di frequentare le aule universitarie, l’incolumità non è stata mai garantita. Come alle circa seicento giovanissime, tra i 18 e i 25 anni, che la mattina del 30 settembre 2022 si sono recate in un istituto scolastico nel quartiere sciita Dasht-e-Barki per sostenere la prova di ammissione e si sono ritrovate davanti ad un attentatore suicida entrato nell’edificio uccidendo la guardia all’ingresso e azionando nell’aula la sua cintura esplosiva. Le vittime, quasi tutte ragazze appartenenti alla minoranza sciita degli hazara, sono state più di trenta. Con il definitivo divieto di ammissione all’università, anche quel sacrificio sembra diventato inutile.

Ma come mai all’Afghanistan non è data analoga copertura mediatica a ciò che, negli stessi mesi, sta accadendo in Iran? Nel Paese più povero dell’Asia consegnato dagli Stati Uniti di Biden ai Talebani, che la polizia morale (o il suo equivalente) si riservi diritto di vita o di morte su tutti o che le donne siano private di tutte o quasi le libertà fondamentali, evidentemente, non scandalizza…

La fiammella della resistenza all’interno dell’Emirato islamico, comunque, sembra ancora non spegnersi. Solo per fare un esempio, il 3 febbraio scorso un giovane professore afghano di 37 anni, Ismail Mashal, è stato arrestato a Kabul mentre regalava libri ad alcune ragazze. Stava girando per le vie della capitale con un carretto di testi quando le forze di sicurezza lo hanno accusato di «azione provocatoria» e condotto in carcere.

La Bbc ha riportato la notizia citando diversi testimoni oculari, secondo i quali, durante le fasi dell’arresto, il professore è stato ripetutamente schiaffeggiato, preso a pugni e a calci da parte di alcuni agenti.

Ex giornalista, Mashal dirigeva un’università privata a Kabul – ora chiusa dopo il bando dei talebani – con oltre 450 studentesse che studiavano giornalismo, ingegneria, economia e informatica.

«L’unico potere che ho è la mia penna, anche se mi uccidono, anche se mi fanno a pezzi, non rimarrò in silenzio ora», aveva dichiarato alla Bbc precedentemente all’arresto Mashal, che oltretutto è ora sottratto alla moglie ed ai suoi due figli. Nella stessa intervista aveva rivolto un appello agli uomini afghani, perché sempre più numerosi si unissero alle proteste per permettere alle ragazze di studiare negli istituti superiori e nelle università del Paese. Nell’Afghanistan dei talebani, quindi, qualcuno che lotta, ragiona e spera, grazie a Dio, ancora esiste…

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