Personalismo

Gustave Thibon

Gustave Thibon

Dal sito Filia ecclesiae 17 marzo 2013

Un redivivo Gustave Thibon, avendo sotto gli occhi gli affanni angosciosi che hanno aggredito tanti «tradizionalisti» dopo l’elezione di papa Francesco, riproporrebbe, credo, queste sue riflessioni sull’equivoco del «personalismo»

Andreas Hofer

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Personalismo

di Gustave Thibon

Non più tradizioni, non più categorie: solo persone! La persona oggi è il cardine di tutto. Si sposa, per esempio, la persona che piace, senza tenerne nel minimo conto l’ambiente o la posizione; un regime politico s’incarna in un uomo e muore con lui, ecc.. Tutto questo porta lontano: al tramonto di tutte le grandi continuità sociali, all’instabilità universale. La persona umana non è un assoluto. Un tempo si amavano gli uomini attraverso le istituzioni: il matrimonio aveva maggior peso, nell’anima di una sposa del gran secolo, della persona di suo marito; si tollerava il re per rispetto alla monarchia, ecc..

Attualmente si sopportano le istituzioni solo attraverso un persona idolatrata; si considerano le categorie come cose astratte e morte. Ma non lo sono state sempre: sono divenute tali a misura che aumentava il culto della persona. Impersonale non è necessariamente sinonimo di morto e di astratto; ciò che non è una persona può essere altrettanto concreto e vivente. E anche le categorie che reggono, difendono e superano le persone possono essere amate con ardore! E poi, dietro queste categorie c’è la persona di Dio – la sola che si possa adorare senza pericolo – che garantisce e vivifica tutto…

La tendenza di certi “personalisti” moderni, che vorrebbero respingere come puramente artificiale e decorativo tutto quello che non è personale, ci lascia preoccupati. Sacrificare le persone alle categorie (qui sta il pericolo di tutti i climi forti e classici) non è un bene, sacrificare le categorie alle persone ci sembra anche peggio: da una parte si causa sterilità, dall’altra putrefazione.

Ancora qualche progresso di questa religione della persona, e non avremo più “buone casate”, né patria, né spirito di corpo o di casta – non avremo più radici nel tempo e nello spazio. Non andiamo troppo lontano nelle nostre rivendicazioni in favore della persona umana: essa è relativa, effimera, deludente e gonfia spesso dell’impersonale più vano. Noi non crediamo che al personalismo divino.

Il primato della persona spinto all’esagerazione porta con sè un altro pericolo capitale. Ecco dei realisti i quali non amano la monarchia che attraverso il volto di un principe che li ha sedotti, dei cattolici che legano la fede nell’autorità pontificia a una specie di culto infantile della persona del papa, popoli interi sollevati da ridicolo entusiasmo per un dittatore… Le cose più universali sono divenute “questioni di persone”, “affari privati”.

Non si ha occhi e cuore che per gli individui. Essi portano da soli tutto il peso delle istituzioni. Queste si edificano e franano con loro.

Questo personalismo stupido è una delle cause delle catastrofi rivoluzionarie dei tempi moderni: di mano in mano che il popolo si abitua a confondere la persona dei grandi con il principio eterno che essi rappresentano, il suo rancore verso di essi tende a trasformarsi in una volontà di distruzione universale. Il passato sapeva distinguere le istituzioni dalle persone: si poteva avere in dispregio un re o un papa (il Medio Evo non vi ha certo rinunciato!) senza mettere per nulla in discussione il principio della monarchia o del papato (*). Si sapeva che un’istituzione sana – una istituzione venuta da Dio – si conservava feconda anche attraverso l’uomo meno perfetto. I capi politici e religiosi erano allora come dei traits d’union tra Dio e gli uomini: si giudicava più importante ciò che essi trasmettevano di ciò che essi erano.

L’altare sosteneva il prete, il trono il re. Oggi si chiede al re di sorreggere il trono, al prete di sorreggere l’altare. Le istituzioni non si giustificano agli occhi delle folle che attraverso il genio o il magnetismo di qualche individuo. Tale esigenza porta con sè due rovinose conseguenze: impone ai disgraziati “sostenitori” delle istituzioni un grado di tensione e di attività del tutto inumano, e, correlativamente, lega la sorte delle istituzioni a miserabili casi individuali. Antropocentrismo pietoso, che confonde il canale con la sorgente e che tende a fare della persona umana il sostegno assoluto di ciò che passa attraverso l’uomo e riposa in realtà su Dio solo…

(*) Le invettive di una Caterina da Siena contro il clero della sua epoca oggi non sarebbero più tollerabili: comprometterebbero nelle anime la fede nella Chiesa. Per quanto doloroso ciò possa sembrare, la cura delle istituzioni impone oggi di aver riguardo alle persone e di soffocare gli scandali.