Milano 313 d.C.: un editto che cambiò la storia

editto CostantinoStudi cattolici n.621 novembre 2012

di Alberto Torresani

II giorno 24 ottobre è stata inaugurata a Palazzo Reale la mostra dedicata a Costantino e all’Editto di Milano del 313 che rendeva religio licita il cristianesimo, fino a quel momento perseguitato o almeno osteggiato nell’Impero romano.

È incredibile il numero degli oggetti che testimoniano quell’epoca, soprattutto medaglie, monete, cammei tramandati all’interno delle più importanti dinastie e poi finiti nei musei. Le monete che passavano per le mani di tutti, nel recto e nel verso recavano immagini e simboli ritenuti un mezzo per influire sull’immaginario collettivo. Essendo importanti per il potere politico, le monete recavano una legenda che talvolta riassumeva un intero programma di governo. Non intendo competere con le didascalie che accompagnano gli oggetti esposti a Palazzo Reale, bastando riassumere ciò che ritengo importante prima di visitare la mostra.

Ascesa imperiale di Costantino

Costantino, figlio di Costanze Cloro e della prima moglie Elena, quando nel 305 Diocleziano abdicò, si trovava a Nicomedia, praticamente ostaggio di Galerio, augusto per l’Oriente. Poiché Costanze Cloro, era divenuto augusto per l’Occidente, decise di raggiungerlo con un’epica cavalcata da Nicomedia fino a Eboracum (York) in Britannia. L’anno dopo il padre morì e Costantino fu acclamato augusto dalle sue legioni.

Con forze nettamente inferiori a quelle di Massenzio, che a Roma si era proclamato augusto dell’Occidente con una rapida campagna militare, Costantino attraversò la Gallia, a Verona sconfisse truppe che potevano molestare le sue retrovie e si precipitò a Roma. Nella località ad saxa rubra, nei pressi del ponte Milvio, affrontò l’avversario e lo travolse. Massenzio morì annegato nel Tevere. Era la fine d’ottobre del 312.

Secondo la leggenda, la notte precedente lo scontro, in sogno Costantino avrebbe percepito la promessa di vittoria: in hoc signo vinces. Perciò avrebbe ordinato di dipingere sugli scudi dei soldati il monogramma di Cristo, le due lettere greche chi e rho. Costantino non amava Roma, ritenuta troppo legata a una tradizione che intendeva modificare. Si trasferì a Milano, divenuta con Diocleziano capitale della pars occidentalis dell’Impero romano.

Milano possiede una collocazione geografica invidiabile, all’incrocio tra un asse orizzontale che permette rapidi collegamenti con Aquileia e Sirmio e perciò col settore strategico del Danubio, e un asse verticale che da Milano giunge fino a Coirà e al Reno, l’altro confine caldo dell’Impero romano.

A maggio del 313 ci fu l’incontro con Licinio, augusto per l’Oriente col compito di eliminare i concorrenti. Il patto fu rafforzato dal matrimonio di Costanza, sorella di Costantino, con Licinio. La prima decisione politica presa in comune fu di tollerare il cristianesimo che perciò cessava di essere discriminato.

Costantino è il vero rivoluzionario, se con questo termine si intende la capacità di ribaltare una prassi che durava da tre secoli.

L’Impero romano & i cristiani

II fondamento giuridico dell’opposizione ai cristiani, era un senatoconsulto dell’anno 35 che stabiliva non licei esse christianos, i cristiani non devono esistere. Il Senato aveva processato Pilato, accusato di malversazioni, e l’aveva assolto. Perciò i suoi Acta furono ratificati, anche il processo a carico di Gesù. L’imperatore Tiberio, in pessimi rapporti col Senato, oppose un decreto che recitava: cristiani nomine tantum conquirendi non sunt, i cristiani tali solo per fama non devono essere citati in tribunale.

Era un chiaro pasticcio giuridico accaduto nella patria del diritto. I magistrati, perciò, potevano far pesare l’uno o l’altro dei principi espressi e stabilire o meno di procedere contro i cristiani. Circa ottant’anni dopo, al tempo di Traiano, Plinio il Giovane poteva scrivere all’imperatore che in Bitinia i cristiani erano così numerosi da temere un abbandono dei templi pagani.

Chiaramente esagerava, ma poneva un problema reale. Il rescritto imperiale prescriveva di accettare solamente denuncie scritte e firmate di due testimoni. Il governatore doveva far citare davanti al suo tribunale gli indiziati. Se costoro negavano di essere cristiani dovevano venir subito dimessi. Se confermavano di essere cristiani bisognava ordinare loro di riverire gli dèi. In caso di colpevole ostinazione bisognava procedere col rigore della legge.

Di fatto le persecuzioni furono sporadiche, spesso intervallate da lunghi periodi di quiescenza, tranne l’ultima persecuzione, quella di Diocleziano, divampata in rutto l’impero tra il 303 e il 305, con tre editti successivi. Il primo ordinava di consegnare i libri sacri e le suppellettili liturgiche. Risulta interessante ricordare che consegnare in latino è tradere e perciò coloro che consegnavano i libri sacri divenivano traditores, un termine che ha sostituito il termine proditores come sostantivo, rimasto solo nell’aggettivo abbastanza dotto «proditorio».

Tra i martiri di quella persecuzione ci fu anche la decimazione della legione tebana comandata da Maurizio e fatta venire in Gallia per reprimere una sollevazione di contadini esasperati dalle tasse, chiamati Bacaudae: quando si seppe che la legione era composta di cristiani, gli ufficiali furono condannati a morte, mentre i semplici legionari furono esclusi dall’esercito senza alcuna pensione (inhonesta missio).

Donatisti & ariani: il concilio di Nicea

Con la libertà religiosa vennero allo scoperto alcuni conflitti interni alla Chiesa. In Africa, a Cartagine, il vescovo rigorista Donato si mise a capo di una fazione scismatica che accusava il vescovo Ceciliano di lassismo, perché riammetteva nella Chiesa i lapsi, ossia quei cristiani che avevano sacrificato agli idoli per salvarsi.

Costantino ordinò di riunire i vescovi africani ad Arelate in Provenza, ma senza ottenere la fine dello scisma che durò per un secolo, fino al 411, quando sant’Agostino vinse una celebre disputa coi donatisti. La crisi esplosa ad Alessandria fu ancora più grave. Il protagonista fu il presbitero Ario, un libico di Cirene che si era formato ad Antiochia al seguito di un noto maestro, Luciano d’Antiochia, martire. Nella sua predicazione Ario affermava che Cristo è inferiore al Padre, e che ci fu un tempo in cui Cristo non era e perciò era una creatura come gli altri uomini.

Ario fu denunciato al suo vescovo Alessandro che riunì un concilio egiziano. La disputa ebbe come protagonista il diacono Atanasio che sostenne la tesi ortodossa: la redenzione dell’umanità poteva essere realizzata solamente da Dio. Se Cristo fosse stato solamente un uomo, la redenzione non sarebbe avvenuta e l’umanità si troverebbe ancora nel suo antico peccato.

Anche Ario potè esprimere le sue tesi, ma fu giudicato perdente, seguito solamente da due vescovi e cinque presbiteri. Ario diffuse in Oriente la sua versione dei fatti e ad Antiochia si ebbe l’impressione che quella celebre scuola fosse stata ingiustamente tacitata per una specie di gelosia da parte della scuola alessandrina.

Il vescovo Alessandro fu costretto a scrivere una lettera che rettificava la versione dei fatti. L’agitazione arrivò alle orecchie di Costantino, preoccupato del conflitto insorto tra i cristiani delle due province più importanti: l’Egitto che produceva le sole eccedenze di viveri per rifornire le capitali, e la Siria, sede del più importante gruppo di legioni e dell’industria che le riforniva.

Costantino non capiva l’importanza del dibattito, pensava che fosse solamente questione di parole. Accettò il consiglio di convocare tutti i vescovi, disposto a pagare le spese di viaggio. Fu scelta la villa imperiale di Nicea, sulla sponda asiatica del Bosforo, come luogo più facilmente raggiungibile.

I vescovi furono circa trecento, quasi tutti orientali perché in occidente il problema non era insorto. Costantino presiedette il concilio. Anche Ario partecipò ai lavori e, pur non essendo vescovo, gli fu data la parola. Quando accennò che Cristo era inferiore al Padre e che ci fu un tempo in cui non era e che perciò era solamente un uomo, l’assemblea inorridì. I vescovi filoariani si affrettarono a modificare le loro opinioni.

Uno di loro, Eusebio di Cesarea di Palestina propose il testo della professione di fede in uso nelle diocesi palestinesi. Cristo perciò fu dichiarato «luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non fatto, della stessa sostanza del Padre», come recitiamo ancora oggi nel Credo. L’ultima parola, homoousios in greco, consubstantialis in latino, non piaceva a molti padri perché non era biblica, bensì filosofica. Con soli due voti contrari, la formula del Credo fu accettata. Ario e i due vescovi dissidenti furono esiliati.

Costantino ariano

Tuttavia, appena tre anni dopo, nel 328, Costantino si accorse che la formulazione ariana circa la natura di Cristo era più funzionale al potere imperiale di quella dichiarata ortodossa. Infatti, se Cristo è solamente un uomo, il Papa e i vescovi sono vicari di un semplice uomo e il loro potere è nettamente inferiore a quello dell’imperatore.

Se Gesù è vero Dio oltre che vero uomo, il Papa e i vescovi sono vicari di Dio e l’imperatore, almeno per le cose spirituali, deve dipendere da loro. In Oriente solo Atanasio rimase fermo nella fede di Nicea, mentre quasi tutti i vescovi seguirono Costantino. Anche il suo successore Costanze II fu ariano, così come lo furono le popolazioni germaniche quando si convertirono al cristianesimo.

A Milano, Costanzo II, dopo aver esiliato il vescovo ortodosso Dionigi, impose come vescovo un orientale, Aussenzio, morto nel 374. Quando si trattò di nominare il successore, accaddero incidenti, sedati solamente dalla decisione di nominare vescovo il governatore Ambrogio, gradito da ortodossi e da ariani, anche se in quel momento non era nemmeno battezzato. Il 7 dicembre di quell’anno Ambrogio fu consacrato vescovo, dopo aver dichiarato che la sua scelta era per l’ortodossia. Per alcuni anni mantenne il silenzio perché doveva studiare quel che non conosceva e poi cominciò a parlare nel modo più autorevole.

Teodosio & l’Editto di Tessalonica

Nel 378 l’impero conobbe il momento più tragico della sua storia. Ad Adrianopoli in Tracia l’imperatore Valente fu sconfitto e ucciso dai Goti insieme con circa ventimila legionari. Valente fu sostituito da Teodosio che era ortodosso e che per l’ultima volta fu in grado di raddrizzare la situazione, riunendo le due parti dell’Impero sotto il suo comando.

Nel 380, con l’Editto di Tessalonica, Teodosio stabilì che il cristianesimo, così come veniva professato da Pietro, fratello e successore di Atanasio, Patriarca di Alessandria, e da Damaso, Papa di Roma, era la religione dell’Impero romano. L’anno dopo si riunì il concilio di Costantinopoli, il secondo ecumenico, che aggiunse al Credo l’ultimo versetto affermante la divinità dello Spirito Santo: è il nostro simbolo niceno-costantinopolitano.

Quando Teodosio venne a Milano, i suoi ciambellani collocarono il seggio imperiale sul presbiterio di fronte al vescovo, perché così si faceva in Oriente. Ambrogio affermò che non avrebbe dato inizio ai sacri misteri se il trono non fosse stato spostato tra i fedeli, perché l’imperatore aveva una funzione preminente, ma il suo posto era tra i laici.

Teodosio comprese. In seguito Ambrogio fu conosciuto e ascoltato da Agostino di Tagaste che si convertì e divenne il più importante teologo dell’Occidente, capace di mantenere ben chiara la distinzione tra Stato e Chiesa, mai compresa da Costantino e dall’Oriente fino a oggi.

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