Abbattere il Corviale è di destra o di sinistra?

corviale

Roma, Corviale

Studi cattolici n.592 Giugno 2010

di Stefano Serafini

Teodoro Buontempo, neo-assessore alla casa della Regione Lazio, storico esponente della destra più ruspante e nostalgica, ha proposto pochi giorni fa di abbattere il complesso di edilizia popolare di Roma «Nuovo Corviale», meglio conosciuto come «il Corviale», «il Serpentone», «il Mostro». Anche grazie al successivo contributo del Gruppo Salingaros, che sostiene la sostituzione graduale del blocco-ghetto con un quartiere a misura umana, è tornata così a infiammarsi un’annosa polemica.

Progettato da Mario Fiorentino nel 1972 sulla base degli insegnamenti di Le Corbusier, costato quasi 100 miliardi di lire dell’epoca e 10 anni di lavoro, il Nuovo Comale è un edificio in cemento armato lungo un chilometro, attraversato da camminamenti che collegano 1200 appartamenti e innumerevoli altre abitazioni sorte abusivamente al suo interno. Giganteggia nel vuoto che lo circonda come un sistema concentrazionario per poveri (per anni girò la leggenda che fosse un carcere adattato a residenza sociale); violenza e degrado vi hanno attecchito fin dall’inizio della sua storia abitativa.

A causa delle caratteristiche igrometriche del cemento, molti appartamenti hanno le pareti costantemente umide, sulle quali crescono muffe e funghi. La sua mole ha cambiato il flusso dei venti sulla città di Roma. In tutto il mondo viene indicato come un paradigma di fallimento architettonico, sociale ed ecologico, associato a Le Vele di Scampia o al quartiere Zen di Palermo.

Tuttavia, sempre con molti distinguo, il Mostro continua a essere difeso, magari perorandone l’abbellimento con qualche pianta e un po’ di pannelli colorati.

È su tale imbarazzata difesa dell’indifendibile che vorrei qui concentrarmi.

Ideologia del modernismo

Come ha spiegato Sergio Porta in un suo acuto saggio (1), intorno al Corviale non si gioca soltanto la difesa ideologica del modernismo, ma la partita di un corporativismo intellettuale che non può ammettere autocritica. Il discorso è molto interessante, perché funziona anche quando dagli architetti passiamo a esaminare i politici, i filosofi, gli analisti economici. Esso ha a che fare con il ruolo degli intellettuali assurti a vertice di un modello antropologico, definito «illuminista» da Adorno e Horkheimer.

L’Illuminismo costituisce l’anima della nostra civiltà borghese avversa nevroticamente a ogni forma di limite (la morte, per es., e di conseguenza il sacro che l’avvolge), per cui tutta la cultura, dalla modernità in poi, si è avviata a trasmutarsi in tecnica, strumento di potere, ed esorcismo. Da un lato l’esistenza, la società, la natura; dall’altro la libertà e l’esercizio aprioristici del potere di gestione e controllo, fluenti dall’individuo tecnocratico.

Vele_Scampia

Scampia (Na), le Vele

È questo tipo di anima che tra-spare quando, pur di difendere il primato dell’architettura e il suo diritto di applicare idee geniali sul corpo dei cittadini-cavie, si giunge a negare l’evidenza del disastro di Corviale. Magari perché i suoi gironi avrebbero promosso una «comunità sociale» la quale, come nella sindrome di Stoccolma, si sarebbe persine affezionata al Mostro («Gli inquilini di Corviale amano il mostro. Anche se non lo capiscono ne sono affascinati. Hanno quasi un senso di fierezza ad abitare in un palazzo così famoso…», cfr http: //www.corviale.it).

Oppure, se si ammette il fallimento, lo si attribuisce alla cattiva realizzazione, o agli abusivi, o alla criminalità, come se non esistesse alcuna relazione fra il progetto e quel che lo ha seguito («La vita, accidenti, rema contro!», ironizza Sergio Porta). Infine, con ipocrita pseudoumiltà, si è persino detto che nessun architetto può gestire l’intera complessità sociale, e dunque prevedere se il suo lavoro avrà o meno completo successo. Chissà perché, allora, fino al radicarsi del capitalismo borghese e ancora oggi nell’auto-costruzione spontanea o nell’architettura partecipata biofilica, il tessuto urbano ha risposto bene alle esigenze umane, senza bisogno di grandi idee?

Il nazismo non è morto

Un tale cinismo, sostenuto all’occorrenza da fughe relativiste («Non è malessere, è un passo verso il progresso»), difende in realtà la classe intellettuale e il suo preteso diritto assoluto a esercitare il potere.

Difficile, per costoro, resistere al fascino rivoluzionario del grandioso progetto, ammettere che il pensiero libero che lo ha generato abbia potuto sbagliare, perché ciò sancirebbe l’esistenza del limite. Non è affatto strano, dunque, che il sostegno provenga al Corviale soprattutto dai pensatori libertari e chic che solo in quanto illuministi si definiscono «di sinistra», ma lì, vicino ai fratelli, non vivrebbero mai. Per reazione, l’opposizione antimodernista e popolare giunge allora «da destra», da presunti «ignoranti», come sarebbero peraltro gli stessi abitanti-oggetto di Corviale.

Nel coerente sistema concentrazionario — fatto di muri, ma soprattutto di parole — finiscono così tutti gli sporchi e i cattivi: i poveri abitanti, e i fascisti, accomunati nella lettura del Corriere dello Sport, dalla fantasia di chi si vanta di appartenere alla categoria del grande Mario Fiorentino. Non per niente La dialettica dell’Illuminismo di Adorno e Horkheimer, è un libro sostanzialmente rimosso dalla coscienza culturale e politica: si è detto che sarebbe storicamente superato, che risentirebbe della reazione al nazismo contro il quale fu scritto negli anni ’40.

Ma bisogna essere sepolcri imbiancati per non vedere che in realtà il male del nazismo non è morto, giacché non lo si può sconfiggere con le bombe: esso è la cecità critica, l’identificazione individualistica e aggressiva con le proprie idee, l’isteria del controllo, l’indifferenza al corpo vivo del prossimo, coerentemente rappresentato dalla geometria antiumana di mostri come il Corviale e da chi, altrettanto coerentemente con lo stato di cose, la difende. In buona fede, magari, ma con cattiva coscienza e sotto la bandiera sbagliata. Anche perché nessun Sistema-Corviale, dissacrante, osceno, patogeno, pesante sulla terra, resisterà ancora a lungo. La natura — anche e in primis quella umana – ha un limite e una misura.

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1) Sergio Porta, «II più lungo errore del mondo?». Urban design sostenibile e riscatto dei quartieri di edilizia sociale: una questione anche disciplinare, in S. Porta (a cura di), «II più lungo errore del mondo?». Il recupero dei quartieri di edilizia sociale: una questione anche disciplinare, Politecnico di Milano / Libreria Chip, Milano 2006, pp. 5-15