Aborto: anche la donna è vittima

depressione_femminileIl Timone n.86 Settembre-Ottobre 2009

L’aborto può avere sulla donna conseguenze devastanti: difficoltà ad accudire i figli, ansia, disturbo post-traumatico da stress, disturbo da uso o abuso di sostanze psicoattive, pensieri intrusivi, depressione, ricorso al suicidio. I fatti parlano chiaro. Ma sono taciuti

di Renzo Puccetti

Secondo la legislazione italiana l’aborto nei primi 90 giorni è consentito allorquando «la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua [della donna, n.d.r.] salute fisica o psichica». Sono molti i Paesi in cui l’aborto è liberamente praticato al fine di prevenire un rischio per la salute della donna, quasi sempre di natura psicologica.

Consapevole della riluttanza delle popolazioni ad accettare l’aborto come istanza libertaria e delle resistenze tra i medici verso una pratica per millenni considerata un orrendo delitto, il movimento abortista si è sempre sforzato di accreditare il benefico effetto dell’aborto per la salute anche psichica delle donne.

È per questo che a partire dagli anni ’70, contemporaneamente alla liberalizzazione dell’aborto su tutto il territorio degli Stati Uniti, cominciarono ad apparire piccoli studi che dimostravano non solo l’innocuità dell’aborto, ma addirittura un beneficio legato alla riduzione dei livelli di ansia immediatamente dopo la procedura.

Ma nel 1972 alcuni psichiatri del St. Bartholomew’s Hospital di Londra pubblicano una delle prime revisioni della letteratura medica, evidenziando la possibilità di sequele negative per la salute psichica delle donne che abortiscono volontariamente. Da allora centinaia di studi hanno evidenziato l’incremento d’incidenza di disturbi mentali nelle donne che abortiscono. Qualche dato potrà aiutare a comprendere la complessità della mole di ricerche disponibile.

Nello studio STAKE, condotto sull’intera popolazione femminile finlandese osservata per un periodo di 14 anni, entro un anno dal termine della gravidanza le donne che avevano abortito mostravano una mortalità tripla ed un tasso di suicidarietà 7 volte maggiore rispetto a quelle che avevano dato alla luce un figlio.

Particolarmente interessante il dato pubblicato da due ricercatori italiani, Angelo Cagnacci e Annibale Volpi, che hanno evidenziato una sovrapposizione fra l’incidenza stagionale degli aborti e dei suicidi femminili.

Ricercatori dell’Università del Minnesota hanno dimostrato un tasso di suicidarietà dieci volte maggiore tra le adolescenti nei primi sei mesi dopo un aborto.

Il prof. Fergusson, peraltro ateo e favorevole alla libertà di abortire, seguendo sin dalla nascita una popolazione residente nella cittadina di Christchurch, ha dimostrato per le ragazze di 15-25 anni un rischio 2-3 volte maggiore di sviluppare un disturbo d’ansia o depressivo. Per una donna che abortisce la probabilità di dovere essere ricoverata in un reparto psichiatrico è nei primi tre mesi 5 volte maggiore.

David Reardon, ricercatore presso l’Elliot Institute, un centro internazionale per lo studio e la cura dei disturbi psichici post-abortivi, ha dimostrato nei casi di gravidanza indesiderata che raddoppio del rischio di ricovero psichiatrico si mantiene per almeno quattro anni se la donna abortisce

Sindrome post-abortiva

Ma che cos’è la sindrome post-abortiva? Ce lo spiega in termini semplici la dott.ssa Cinzia Baccaglini, psicoterapeuta, che, per la qualifica professionale e l’impegno come presidente del Movimento per la vita di Ravenna, ha avuto modo di seguire direttamente molte di queste donne. In un articolo dal titolo eloquente Dal giuramento di Ippocrate a quello degli ipocriti, la dottoressa chiarisce come l’aborto possa condurre a tre distinti quadri psicopatologici: la psicosi post-abortiva, ad insorgenza precoce, il più lieve stress post-abortivo e la sindrome post-abortiva vera e propria, caratterizzata da un insieme di disturbi che possono insorgere anche molti anni dopo l’aborto.

Depressione, ansia, disturbo post-traumatico da stress, disturbo da uso o abuso di sostanze psicoattive, comportamenti di evitamento, pensieri intrusivi, flashbacks sono solo alcuni dei quadri che, isolatamente o in modo combinato, costituiscono i la sindrome post-abortiva.

Con queste parole il prof. Dario Antiseri, purtroppo da poco deceduto, ha spiegato questo quadro: «si può paragonare l’IVG [l’aborto] ad una mina che dopo essere stata innescata viene gettata nell’oceano. Questa mina può rimanere inattiva per svariati anni, può esplodere dopo brevissimo tempo, può anche non esplodere.

Però una “piccola” mina può anche affondare una grossa nave! Uscendo dall’esemplificazione la “mina”, cioè l’aborto, vaga nel “mare” che è l’inconscio, e l’ostacolo su cui può detonare è la percezione dell’interruzione stessa. Infatti la donna può rimuovere, può anche negare, mediante meccanismi di difesa, quanto è accaduto, però può anche recuperare la percezione cosciente dell’interruzione avvenuta evidenziando il bisogno di elaborazione del lutto».

È’ come un fiume carsico che può riemergere allo scoccare di una ricorrenza, di una successiva difficoltà a concepire, alla vista di un’altra donna incinta, o con la nascita di un figlio ed il confronto che ne può derivare. Tra le donne incinte che soffrono di depressione l’anamnesi abortiva ha infatti una frequenza più che doppia.

Come indicato dalla psichiatra Priscilla Coleman sulla rivista medica Acta Pediatrica, la relazione madre-figlio può risentire pesantemente degli effetti di un precedente aborto; per fare solo un esempio, l’abuso fisico sui minori ha infatti un’incidenza del 44% maggiore se la madre ha vissuto una tale esperienza.

Uno studio norvegese della durata di cinque anni ha dimostrato che nell’aborto volontario i sentimenti di colpa e di vergogna contribuiscono ad ostacolare il processo di cicatrizzazione psichica osservato nel tempo tra le donne che soffrono per un aborto spontaneo. Facilmente chi soffre della sindrome post-abortiva tende ad evitare stimoli che ripropongono l’evento. Per questo i ginecologi abortisti raramente vedono queste donne, che infatti preferiscono rivolgersi a professionisti non ideologicamente limitati dalla visione politicamente corretta della scelta autonoma.

Associazioni come La Quercia Millenaria, i Centri di Aiuto alla Vita, Ciao Lapo, per citarne solo alcune, lavorano professionalmente in questo campo tutti i giorni.

Gli abortisti non demordono

Di fronte alla minaccia derivante da tali studi, gli abortisti, com’era prevedibile, non se ne sono stati con le mani in mano ed hanno attivato molti contatti nel mondo accademico. La tesi dell’aborto come strumento per il benessere psichico della donna non era più scientificamente difendibile ed allora l’opzione individuata per sostenere ancora l’aborto come atto medico è stata l’attribuzione delle complicanze psichiche post-abortive alle condizioni mentali della donna precedenti all’aborto. Abortire avrebbe di per sé un ruolo neutro sulla salute mentale della donna.

La punta di lancia di tale impostazione è rappresentata dal documento sull’argomento dell’American Psychological Association e da una revisione della letteratura, pubblicata nel 2008, da parte di alcuni ricercatori di Baltimora. Secondo queste analisi gli studi metodologicamente più rigorosi non dimostrerebbero alcun incremento di rischio per la salute delle donne che abortiscono.

Pur non volendo considerare le opinabili procedure seguite da questi ricercatori per gerarchizzare la validità delle ricerche prese in esame, e tralasciando le loro omissioni ed i conflitti d’interesse da essi taciuti, credo che non possa essere smentito quanto riportavo in un mio commento sul sito della rivista di medicina interna The Lancet l’onere della prova è a carico dei sostenitori dell’aborto.

In altri termini, ammesso e non concesso che si possa giustificare l’aborto per proteggere la salute psichica della donna, se, come dice questo criticabile studio, l’aborto non danneggia la donna (come essi discutibilmente sostengono), esso nemmeno comporta alcun benefìcio appunto per la sua salute psichica: dunque l’aborto è futile e come tale da non praticare.

D’altra parte, è per le evidenze scientifiche accumulatesi nel tempo che nel 2008 il Royal College of Psychiatrists, difficilmente accusabile di subire ingerenze clericali, con un cambio radicale della precedente posizione del 1994, ha elaborato un documento in cui riconosce la possibilità di effetti negativi per la psiche delle donne derivanti dall’aborto, invitando i medici a darne informazione alle donne.

L’aborto non tutela la salute psichica

Un ulteriore indizio di come l’argomento della salvaguardia della salute psicologica della donna sia in molti casi usato strumentalmente, emerge sia dalla revisione di Del Campo su oltre seimila pazienti, sia dal successivo studio inglese di Gilchrist e collaboratori condotto su 2.542 donne e pubblicato sull’organo ufficiale degli psichiatri inglesi; entrambi hanno mostrato che il rifiuto della certificazione per abortire non conduce a significativi incrementi di episodi depressivi. Tutto questo tralasciando le considerazioni morali sulla soppressione della vita umana ai suoi albori.

Per la comprensione di quanto in Italia sia evanescente l’interesse per la salute psichica delle donne che richiedono l’aborto, soccorrono i dati raccolti dal dottor Grotti su 870 donne che hanno abortito presso il policlinico di Modena. Tra le donne comunitarie soltanto il 30.4% riferisce di avere ricevuto un qualche sostegno psicologico, una percentuale che per le extracomunitarie scende ad un mìsero ed avvilente 16,7%. La stragrande maggioranza delle donne ha riferito di essersi sentita sola nella decisione e quasi la metà di esse non ha ricevuto alcuna offerta di sostegno.

Sono i fatti che mettono all’angolo la visione medica abortista; uccidere un essere umano vivente con la falsa presunzione di tutelare la salute psichica della donna. Eppure c’è un’altra strada: offrire alla donna con una gravidanza difficile la carità della verità e la solidarietà operosa, consentire che insieme esse illuminino l’oscurità di quei momenti drammatici; ma questa è un’altra storia, scritta da migliaia di silenziosi buoni samaritani, che il mondo chiama “integralisti».

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«Personalmente ho conosciuto migliaia di donne la cui vita è stata distrutta dal trauma dell’aborto, un evento che hanno vissuto come un qualcosa di brutale e ignobile. Interviene poi un sentimento di dolore, di tristezza, di angoscia, di colpa, di vergogna e di rabbia. Molte Imparano a rendersi insensibili attraverso l’alcool e la droga, o pensano di dominare il trauma riaffrontando e ripetendo l’esperienza. Alcune ricorrono alla promiscuità e ripetono l’aborto, entrando In un vortice traumatico di abbandono e di rigetto. Altre, per soffocare i sentimenti, cadono in fenomeni di disordine alimentare, di attacchi di panico, depressione, ansia e pensieri suicidi. Alcune hanno subito danni permanenti fisici e riproduttivi per cui non possono più avere figli». (Aborto e depressione, intervista a Theresa Burke)

Bibliografìa

Pier Luigi RighettiDario Casadei. Il sostegno psicologica in gravidanza, Edizioni Scientifiche Magi, 2005.

Cinzia Baccaglini Sindrome post aborto: i problemi veri cominciano quando tutto è finito, “Il Foglio” del 24/2/2008 p. 4.

Eliot Institute, www.afterabortion.org

Benedetta Foà, L’aborto come Ferita. «Famiglia Oggi”, n. 2 (marzo-aprile 2009), pp. 78-83.

Renzo Puccetti, L’uomo indesiderato -dalla pillola di Pincus alla RU 436, Società Editrice Fiorentina, 2008.

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