Lettera aperta al Rabbino Yisrael Meir Lau, “deluso” dalle parole del Papa al Memoriale dell’Olocausto

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Rabbino Yisrael Meir Lau

cesnur.org 14 maggio 2009

di Massimo Introvigne

Egregio Rabbino Lau,

il mio nome non Le dirà probabilmente nulla, ma una semplice ricerca in Internet La persuaderà che chi Le scrive non è un nemico d’Israele. Al contrario, è uno studioso del pluralismo religioso che non si è mai tirato indietro quando si è tentato di condannare il terrorismo ultra-fondamentalista islamico, in particolare quello di Hamas, di sostenere il diritto del Suo Paese alla sicurezza (il che non significa, evidentemente, condividere ogni e qualunque scelta dei governi che si succedono in Israele) e di denunciare ogni forma di antisemitismo.

Come ex-rabbino capo askenazita di Israele, rabbino capo di Tel Aviv e presidente del consiglio di amministrazione dello Yad Vashem, il Memoriale dell’Olocausto, le Sue parole sulla visita del Papa, dell’11 maggio, allo stesso Memoriale hanno un particolare significato, che la stampa del Suo Paese ha sottolineato.

Al discorso del Papa, che la stragrande maggioranza dei cattolici – e non solo dei cattolici – ha trovato non solo rigoroso ma commovente, Lei ha rivolto sostanzialmente tre obiezioni. Il Papa non ha bisogno di essere difeso: lo scopo di questa lettera è dunque solo quello di farLe notare come ciascuna delle obiezioni è non solo poco fondata, ma anche ultimamente nociva alle cause che Lei si propone di difendere.

Anzitutto, Lei ha affermato che nel discorso di Benedetto XVI allo Yad Vashem “manca qualcosa”, perché il Papa tedesco “non ha mai citato i tedeschi o i nazisti responsabili di quella carneficina, né ha espresso rincrescimento per loro”. Lei, Rabbino Lau, non è cattolico ma sa certamente che la persona che ha visitato lo Yad Vashem non lo ha fatto in qualità di tedesco ma di Papa della Chiesa universale, e proprio questo rende la visita e l’omaggio così significativi.

Decine di esponenti politici e culturali tedeschi hanno visitato lo Yad Vashem negli anni e si sono profusi in “espressioni di rincrescimento” ma, giustamente, nessuna delle loro visite ha avuto l’eco mondiale di quella di Benedetto XVI: non perché il Papa sia un intellettuale tedesco più autorevole di altri che lo hanno preceduto, ma perché il Papa è il Papa.

D’altro canto, la Sua critica è in diretto contrasto con la linea storiografica dello Yad Vashem, la quale insiste sul fatto che non si può attribuire la responsabilità dell’Olocausto ai soli tedeschi o ai soli nazisti, perché si tratta in realtà del frutto avvelenato e finale di tutta la storia dell’antisemitismo. Su alcuni dettagli di questa storia può darsi che io e Lei non siamo d’accordo, ma – prescindendo da queste eventuali divergenze – se Benedetto XVI avesse puntato l’indice sul solo nazional-socialismo tedesco non lo si sarebbe forse accusato di volere scaricare tutte le colpe su un solo Paese e su una sola fase della triste storia dell’antisemitismo, ignorandone le fasi precedenti, che non sono solo tedesche?

La posizione del Papa che condanna l’antisemitismo come un peccato che scaturisce dal cuore dell’uomo – di tutti gli uomini, non solo dei tedeschi – non corrisponde allora alla più profonda ragion d’essere della Sua stessa istituzione?

In secondo luogo, Lei avrebbe atteso e gradito delle “scuse” per il silenzio di Papa Pio XII durante la Seconda guerra mondiale. Non risolveremo qui una controversia storiografica che si trascina da decenni. Tuttavia il Papa Le ha già risposto. Lo ha fatto nel Discorso ai partecipanti al Congresso su “L’eredità del Magistero di Pio XII e il Concilio Vaticano II”, dell’8 novembre 2008. In quell’occasione, Benedetto XVI ha ricordato che Pio XII dispiegò durante la Seconda Guerra Mondiale una “intensa opera di carità che promosse in difesa dei perseguitati, senza alcuna distinzione di religione, di etnia, di nazionalità, di appartenenza politica” (ibid.).

“E come dimenticare il radiomessaggio natalizio del dicembre 1942? Con voce rotta dalla commozione deplorò la situazione delle ‘centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento’ (AAS, XXXV, 1943, p. 23), con un chiaro riferimento alla deportazione e allo sterminio perpetrato contro gli ebrei.

Agì spesso in modo segreto e silenzioso proprio perché, alla luce delle concrete situazioni di quel complesso momento storico, egli intuiva che solo in questo modo si poteva evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei. Per questi suoi interventi, numerosi e unanimi attestati di gratitudine furono a lui rivolti alla fine della guerra, come pure al momento della morte, dalle più alte autorità del mondo ebraico, come ad esempio, dal Ministro degli Esteri d’Israele Golda Meir [1898-1978], che così scrisse: ‘Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo, durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata a favore delle vittime’, concludendo con commozione: ‘Noi piangiamo la perdita di un grande servitore della pace’” (ibid.).

La citazione di Golda Meir, che Lei ben conosce, è significativa per un aspetto che mi permetto di farLe rilevare. Fino al Vaticano II a nessun rappresentante significativo del mondo ebraico sarebbe venuto in mente di criticare Pio XII. Al contrario, le figure più eminenti della comunità ebraica israeliana e internazionale lodavano e ringraziavano il Pontefice.

Che cosa cambia con il Vaticano II? Lo sappiamo. Nel 1963 in Germania un grande lancio propagandistico e di stampa accompagna la prima del dramma di Rolf Hochhuth Il Vicario, che accusa Pio XII di complicità con Hitler.

I documenti emersi dagli archivi sovietici e la testimonianza del generale Ion Mihai Pacepa, già responsabile dei servizi segreti della Romania comunista e personalmente coinvolto nell’operazione, oggi ci permettono di concludere senza possibilità di ulteriori dubbi che il dramma di Hochhuth fu commissionato all’autore tedesco dal KGB, in persona del generale Ivan Ivanovich Agayants (1911-1968), responsabile del dipartimento D (Disinformazione) del controspionaggio sovietico.

Agayants collaborò personalmente alla redazione del testo firmato da Hochhuth, il quale era – ed è – tanto poco amico del Suo popolo da essersi reso noto nel 2005 come sostenitore e pubblico difensore delle tesi negazioniste dell’autore britannico David Irving. Lo scopo del KGB era quello di screditare il magistero anticomunista di Pio XII, considerato l’epitome delle posizioni anti-sovietiche e filo-americane nella Guerra Fredda.

Avviata dal KGB, l’azione contro Pio XII è stata ripresa da cattolici o ex-cattolici (ex-seminaristi come John Cornwell e Garry Wills, o ex-preti come James Carroll), i quali intendono attaccare Pio XII e mettere in imbarazzo la Chiesa non più sulla questione del comunismo ma su altre che riguardano gli anticoncezionali, l’aborto o gli omosessuali (tutti temi su cui il magistero di Pio XII ha preparato quello successivo).

Tutto questo è documentato da un buon numero di storici, ma credo Le siano particolarmente familiari gli scritti del Suo collega rabbino, e storico, David Dalin. Sulla scia del rabbino Dalin vorrei invitarLa a riflettere su un paradosso: gli uomini di cultura e i politici israeliani che intervengono oggi su Pio XII sono vittime più o meno consapevoli di manovre che li hanno abilmente attirati prima in una trappola montata dal KGB, poi  in una controversia intra-cattolica dove i progressisti attaccano i Papi per ragioni che non hanno niente a che fare con l’antisemitismo.

Al contrario: i comunisti sovietici prima e i progressisti cattolici sono stati e sono spesso in prima fila quando si tratta di attaccare Israele e sventolare bandiere della Palestina o di Hamas. Davvero per Lei vale la pena di marciare con – anzi, alla sequela di – questo genere di compagnia?

Terza critica, emersa dai media israeliani. Il Papa, se pure proprio non avesse voluto scusarsi per Pio XII, avrebbe dovuto farlo per “il più terribile errore del suo pontificato”, la remissione della scomunica a quattro vescovi della Fraternità San Pio X fondata da monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991), uno dei quali – monsignor Richard Williamson – aveva espresso simpatia per le tesi negazioniste sull’Olocausto.

Dopo il caso Williamson la condanna del negazionismo – di cui Lei, Rabbino Lau, conosce peraltro molto bene le origini, che non nascono certo dal mondo cattolico – da parte del Papa e della Santa Sede è risuonata alta e forte, da ultimo proprio allo Yad Vashem. Ma vorrei invitarLa a riflettere sul fatto che, così come per Pio XII, anche in questo caso personalità del mondo ebraico o israeliano rischiano di farsi arruolare, magari inconsapevolmente, in guerre intra-cattoliche del tutto estranee alla questione dell’Olocausto.

I cattolici hanno bene inteso che ai progressisti che si sono scagliati contro il Papa dopo la remissione delle scomuniche non potrebbe importare meno del negazionismo. Nessuno di questi progressisti sapeva – primo dello scoop di una coppia di giornaliste francesi, militanti anticattoliche particolarmente accese – che monsignor Williamson avesse espresso idee negazioniste. Ancora, il mondo progressista che si è scagliato contro il Papa è spesso lo stesso che s’incontra ai cortei contro Israele.

Che cosa volevano, dunque, costoro? Che non si mettesse in discussione un’interpretazione del Concilio Vaticano II sulla base dei canoni della teologia e della mentalità progressiste. Insieme ad altri gesti, l’avvio di un dialogo – peraltro difficile – con la Fraternità San Pio X attraverso la remissione delle scomuniche era un segno che lo smantellamento di quella interpretazione del Concilio era in corso.

Questo smantellamento avrebbe anche reso più difficile il dissenso intra-cattolico rispetto al Magistero del Papa su temi come l’eutanasia o il matrimonio degli omosessuali. La posta in gioco è dunque, anche qui, tutt’altra rispetto all’Olocausto e coinvolge questioni – appunto in tema di eutanasia e matrimonio omosessuale – su cui, salvo errore, le Sue posizioni sono molto più vicine a quelle del Papa che non a quelle dei detrattori di Benedetto XVI.

La domanda, dunque, anche a proposito della remissione delle scomuniche è perché Ella voglia farsi arruolare in una guerra contro il Papa promossa per obiettivi che Lei non condivide da persone che in gran parte non hanno particolare simpatia per la Sua causa né per il Suo Paese.

L’occasione costituita dalla visita del Papa in Israele in genere, e allo Yad Vashem in particolare, per superare antichi equivoci è storica. Contribuisca a non sprecarla. Cerchi di discernere con equità Lei studioso la voce della ragione, Lei rabbino la voce del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe che certamente ancora parla ai credenti disponibili ad ascoltarla.

Lo ha detto il Papa a Gerusalemme: “Ciascuno di noi qui presenti sa, pure, comunque che la voce di Dio viene udita oggi meno chiaramente, e la ragione stessa in così numerose situazioni è divenuta sorda al divino. E, però, quel “vuoto” non è vuoto di silenzio. Al contrario, è il chiasso di pretese egoistiche, di vuote promesse e di false speranze, che così spesso invadono lo spazio stesso nel quale Dio ci cerca.

Possiamo noi allora creare spazi, oasi di pace e di riflessione profonda, in cui si possa nuovamente udire la voce di Dio, in cui la sua verità può essere scoperta all’interno dell’universalità della ragione, in cui ogni individuo, senza distinzione di luogo dove abita, o di gruppo etnico, o di tinta politica, o di credenza religiosa, può essere rispettato come persona, come un essere umano, un proprio simile?”. Ci aiuti a sperare che la risposta possa essere sì.