Due genitori dello stesso sesso? No, grazie

adozioni_gayVita e Pensiero n.2 marzo-aprile 2008

L’istituto del matrimonio, per principio, non si fonda sulla vita sessuale in senso lato, ma su un’alleanza tra un uomo e una don­na. Ecco perché è opportuno smascherare il progetto di “omoge-nitorialità” che si sta imponendo nelle società occidentali.

Sylviane Agacinski (*)

Oggi si parla spesso di “omogenitorialità” come se si sapesse di cosa si tratta. Eppure abbiamo a che fare con una parola strana, che unisce in maniera inedita omosessualità e “genitorialità” (neologismo degli anni Novanta). L’uso di questo termine composto fa pensare all’idea di un legame, possibile o auspicabile, tra l’omosessualità e la qualità di genitore (padre o madre).

Al tempo stesso la sostituzione della parola genitorialità [in francese parentalité] al termine classico essere genitore [in francese parenté] suggerisce una relazione genitore/figlio di natura educativa, giuridica e sociale, più che filiale o naturale. La “genitorialità” (parenthood) riguarderebbe l’autorità genitoriale più che la filiazione (descent), ma può essa inglobarla o sostituirla? Più precisamente, il modello genealogico basato sulla generazione sessuata dev’essere abbandonato a vantaggio di un legame genitoriale puramente volontario o intenzionale, per il quale non conti più la dualità sessuale? Ecco la domanda che oggi si pone.

Infatti il termine omogenitorìalità non indica il fatto, non raro, che una persona omosessuale abbia dei figli. Esso è destinato a promuovere il principio di coppia genitoriale omosessuale e la possibilità giuridica di dare a un bambino “due genitori dello stesso sesso”. In tal caso non si tratterebbe di semplice innovazione giuridica, ma della creazione di un nuovo istituto che rimette in questione la relazione complessa ma universale, fatta di somiglianza e differenza, tra generazione sessuata e genitorialità. Ma le sessualità devono sostituire i sessi?

Sessualità e identità: quali distinzioni

Per illustrare il rapporto tra la sessualità e il fatto di essere genitore è utile fermarsi a chiedersi se, al di là del senso psicologico o culturale, l’omosessualità debba essere una categoria pertinente nel diritto civile, ovvero se l’identità delle persone debba tener conto della loro sessualità, nel senso attuale della vita sessuale e dei suoi orientamenti, allo stesso titolo, ad esempio, del sesso (che è un elemento del nostro stato civile). Il diritto deve distinguere tra omosessuali ed eterosessuali, e dunque anche bisessuali, transessuali e magari altre categorie ancora?

Finora il diritto si è applicato alle persone, talvolta a uomini e a donne, e non ai seguaci di una forma o di un’altra di sessualità. È evidente che il diritto penale si occupa di comportamenti sessuali considerati pericolosi o criminali (ad esempio, gli stupri). Sanziona peraltro le discriminazioni, gli insulti o le violenze che colpiscano qualcuno a motivo del suo sesso o della sua sessualità. Ma normalmente la legge non è tenuta a conoscere i desideri e i comportamenti sessuali privati. Perché il diritto dovrebbe classificare o identificare le persone in funzione della loro sessualità, e dividere gli individui in omosessuali ed eterosessuali?

Tale distinzione, che può interessare sessuologi, psicologi e sociologi, in campo giuridico sarebbe estremamente complessa e discutibile. La sessualità comprende desideri, pratiche e sentimenti diversi e instabili che dipendono dalla storia individuale e culturale. Anche se oggi ciascuno è libero di assumere o rivendicare pubblicamente il proprio tipo di sessualità, e anche se si sviluppano forme di cultura e di sociabilità funzionali a certi comportamenti sessuali (si pensi alla “cultura gay”), la società e le sue istituzioni devono forse ipostatizzare le sessualità e creare soggetti di diritti specifici, definiti dalla propria sessualità?

Se l’età e il sesso determinano l’identità civile di una persona è perché sono caratteristiche della condizione umana universale, per quanto certe persone, si sa, soffrano a causa della loro età o del loro sesso (non si finga però di credere che il cambio di sesso, come la chirurgia bene o male si sforza di offrire, dipenda da una normale scelta personale e non dal trattamento di una patologia grave).

Quanto alla divisione tra eterosessuali e omosessuali, la vediamo sostituirsi a poco a poco, soprattutto nei discorsi militanti, alla distinzione tra i sessi, per quanto la diversità delle sessualità faccia riferimento in ultimo alla differenza sessuale. Quando Daniel Borillo descrive l’omosessualità come «attrazione sessuale verso persone dello stesso sesso» intende dire che tale sessualità si definisce in rapporto alla sessuazione, ossia relativamente allo «stesso sesso», con riferimento implicito all’altro sesso.

Per quanto la distinzione astratta tra stesso e altro sembri trascurare la differenza antropologica concreta tra uomo e donna, necessariamente vi torna poiché l’omosessualità si divide a sua volta (ad esempio, gay e lesbiche). Tali categorie, in ogni caso semplificanti dal punto di vista della sessualità, riportano dunque, lo si voglia o no, a uomini e donne. E tale ritorno sarà tanto m no evitabile quanto più si porrà la questione dell’adozione e soprattutto della procreazione, che reintroduce la dissimmetria dei sessi.

La pertinenza delle categorie omosessuali/eterosessuali è del resto contestata persino da chi, come Daniel Borillo, le invoca. La sessualità, sottolinea, non può limitarsi a distinguere tra omosessualità ed eterosessualità: «II desiderio sessuale non è necessariamente in funzione del sesso dell’altro». Non lo seguiremo necessariamente in questo approccio molto comportamentista al desiderio, ma terremo valida la sua conclusione: «La dicotomia omosessuale/eterosessuale spesso, più che illuminare, annebbia».

Allora ci si chiede come possa la sessualità, con categorie tanto nebbiose, fondare l’identità delle persone nella società civile, e quale rapporto potrebbero stabilire gli “stimolatori” del desiderio con il fatto di essere genitori. Per dirlo più chiaramente: le rivendicazioni degli “omosessuali” in fatto di matrimonio e di “genitorialità” vengono fatte in nome di un’uguaglianza con gli “eterosessuali”… categoria di soggetti che non è mai esistita.

Gli eterosessuali costituiscono in tal caso la classe immaginaria che si ritiene comprenda coloro ai quali la propria “sessualità” darebbe il diritto di sposarsi e avere figli. In realtà si tratta di mera finzione, poiché a permettere il matrimonio non è mai stata la sessualità degli individui ma solo il sesso, ossia la distinzione antropologica tra uomini e donne. D’altra parte, gli omosessuali non sono immaginali quando sono vittime di discriminazioni, e questo è un problema sul quale la legge deve essere molto vigile. Non lo sono neppure quando formano una comunità. Ma l’esistenza di nuove forme di vita sociale non ha necessariamente a che fare con il matrimonio.

II matrimonio: una questione di sessi, non di sessualità

L’istituto del matrimonio, per principio, non si fonda sulla vita sessuale in senso lato ma su un’alleanza tra un uomo e una donna (anche tra due famiglie, due clan ecc.) tale da fondare su di essa la generazione dei figli. Il matrimonio non è un legame tra due persone qualunque, né un istituto destinato agli “eterosessuali”.

Nella nostra civiltà, erede del diritto romano, il matrimonio è sempre stato l’unione legale di un uomo con una donna che fa la madre dei suoi figli: il termine “matrimonio” conserva traccia del latino matrimonium, che è finalizzato a rendere la donna madre (mater). E se per fortuna ci siamo allontanati molto dal diritto romano e dalla disparità dei sessi che esso istituiva, nondimeno il matrimonio continua a fondarsi sull’unione dei due sessi, complementari nella generazione e associati nella filiazione. Per questo la coppia sposata è sessualmente mista e non “eterosessuale”. Il fatto che, sempre e ovunque, ci si sposi con una persona dell’altro sesso riguarda il principio del matrimonio e non ha nulla d’aleatorio né d’accidentale.

E vero che al giorno d’oggi la durata e la finalità del matrimonio non sono più così evidenti, poiché ci si può sposare senza volere né avere figli e si possono avere figli senza sposarsi. Ma, per quanto certi sociologi spieghino che oggi la gente si sposa “per fare una festa”, tale istituto, anche nella concezione laica del diritto civile, si fonda su una coppia che riunisce i due sessi, ossia su una coppia verosimilmente genitoriale.

E qui arriviamo alla delicata questione della verità del diritto o del rapporto tra ordine giuridico e realtà della cosa. Philippe Malaurie scrive giustamente che il meccanismo del diritto «ricostruisce» sempre la natura «senza peraltro disconoscerla». È proprio in tale scarto tra l’artificio della regola e la natura della cosa (ad esempio, le condizioni reali della generazione) che può elaborarsi la costruzione istituzionale. È indubbiamente per questo che il legislatore ha creato un Pacs, che da un quadro giuridico, diverso dal matrimonio, a unioni di persone dello stesso sesso che vogliono vivere insieme (anche se tale patto è aperto ad altre coppie). È possibile migliorare ancora tale contratto, ma lo spirito della legge non era quello di creare un “matrimonio omosessuale”. È in quanto persona, uomo o donna, che ognuno può firmare un Pacs, e non perché ha tale o tal altro orientamento sessuale.

Dunque la questione è sapere se, ai nostri giorni, la coppia mista di uomo e donna continui o no, e in particolare attraverso il matrimonio, a dare la propria struttura alla coppia genitoriale. In caso affermativo, meglio non confondere Pacs e matrimonio. Se invece si vuole istituire come coppia genitoriale due persone dello stesso sesso, il matrimonio omosessuale è un modo per aprire la strada all’omogenitorialità “

L’omogenitorialità in discussione

Consideriamo ora la nozione di omogenitorialità e alcuni degli argomenti spesso invocati per promuoverla o rivendicarla. Ne richiamerò due: lo stato di fatto (l’omogenitorialità già esiste); l’uguaglianza tra omosessuali ed eterosessuali e l’uguaglianza “tra le coppie”; infine il principio di un culturalismo radicale, o costruttivismo integrale: l’essere genitori non si fonda su nulla, neppure sulla sessuazione. Questi tre argomenti sono discutibili.

Si sente spesso dire che l’omogenitorialità esiste di fatto perché ci sono già molti “genitori omosessuali”. Ma i figli di tali genitori sono stati concepiti a partire dall’unione con una persona dell’altro sesso (si tratti di un legame precedente o di un accordo, oppure, all’estero, di inseminazione artificiale). In altre parole, l’omosessualità dei genitori non ha alcun rapporto con la loro paternità o maternità. Del resto non potrebbe essere diversamente.

Ma allora perché alcuni di questi padri e di queste madri vogliono definire la loro “genitorialità” come omosessuale e vogliono essere considerati “omogenitori”? Una donna lesbica che adotta un bambino è un'”omomadre”? Non si deve dire piuttosto che a essere madre è una donna, e non una omosessuale, e tanto meno, beninteso, una eterosessuale? Le due espressioni – “genitore omosessuale” e “omogenitorialità” – lasciano credere, attraverso un gioco di abilità verbale, che si è genitori perché si è omosessuali, o che si può essere genitori in quanto omosessuali.

Tuttavia gli “omosessuali” hanno sempre avuto figli (a titolo individuale, con qualcuno dell’altro sesso), senza definirsi “omogenitori”. Il principio dell'”omogenitorialità” è stato forgiato per costruire l’essere genitori o la “genitorialità” di una coppia omosessuale, non di una persona.

Bisogna allora distinguere tra due alternative: la prima faciliterebbe la possibilità, per due omosessuali, di allevare bambini; l’altra attribuirebbe a un bambino “due genitori dello stesso sesso”. Nel secondo caso verrebbe meno ogni legame tra la forma della filiazione e quella della generazione, e su tale legame torneremo tra poco. Ci sarebbe anche il rischio che tale filiazione concretizzasse giuridicamente, e agli occhi dei figli, la finzione di una generazione omosessuale (e “omosessuata”).

Ma che dire del motivo dell’uguaglianza delle sessualità e di quella delle coppie? La carta forzata di una divisione categoriale moderna (la divisione omo/etero), arbitrariamente sostituita alla divisione dei sessi, fa credere a un’ingiustizia. Si sente dire che “gli eterosessuali” vogliono conservare il monopolio del matrimonio e dei figli, come se fosse mai stato impedito a qualcuno di avere figli.

In realtà la nozione di “uguaglianza delle coppie” è di per sé fallace, poiché nessuna “coppia”, né trio, né gruppo diverso da quello formato dai due sessi ha mai fondato il matrimonio e il fatto di essere genitori. Aperto a ogni uomo e a ogni donna, dunque a tutti, il matrimonio non crea né esclusione né discriminazione. Ma stabilisce, per certo, che i due sessi non sono intercambiabili, che non sono equivalenti (né come elementi della coppia sposata, né come possibili genitori).

Nelle società androcentriche, tale assenza di equivalenza dei sessi è stata a lungo pretesto per la loro disparità. Ma oggi l’uguaglianza dei sessi non li rende di per sé equivalenti a motivo della dissimmetria dei corpi, sia nell’ambito della sessualità sia in quello della generazione. La parità dei sessi e quella delle sessualità non cambiano nulla nella dissimmetria uomo/donna (ruolo dell’erezione maschile, ad esempio, e della gestazione femminile). Il principio di un matrimonio tra due persone dello stesso sesso stabilirebbe invece un’equivalenza dei sessi.

Dunque è difficile separare la questione del “matrimonio omosessuale” da quella dell'”omogenitorialità”, perché nessuno può ignorare che un matrimonio tra due persone dello stesso sesso instaurerebbe simbolicamente quella coppia come coppia genitoriale, permettendo una genitorialità unisessuata, esclusivamente maschile o femminile.

Con le possibilità offerte dalla biotecnologia, nulla impedirebbe allora di privare il figlio di ogni riferimento legale e simbolico all’ordine della generazione sessuata. In alcuni Stati del mondo questo esiste già. Fa riflettere il caso di bambini nati da inseminazione artificiale con donatore anonimo che cercano disperatamente il loro “padre biologico”, come se non sopportassero la cancellazione della loro origine carnale.

Inevitabilmente la possibilità del matrimonio tra due persone dello stesso sesso aprirebbe loro il diritto all’adozione congiunta, se non alla procreazione assistita. In tal caso la società sarebbe portata, se non a prendersi in carico, ad autorizzare la Procreazione Medicalmente Assistita per coppie di donne (inseminazione con donatore), ma anche per coppie di uomini, e allora proprio in nome dell’uguaglianza delle coppie rischierebbe di imporsi la legalizzazione delle “madri incubatrici”.

Bisogna chiedersi se la “gestazione per conto terzi”, che aprirebbe un mercato degli uteri e un traffico di figli, sia conforme alla nostra civiltà, alla nostra concezione dei diritti dell’uomo e del bambino. L’idea che il figlio possa diventare una mercé chiama in causa la concezione stessa dell’uomo. Bisogna dunque rendersi pienamente conto della responsabilità del legislatore in un ambito come quello di cui stiamo parlando.

II matrimonio e la cultura radicale

Arrivo al terzo argomento da richiamare in questa sede: il culturalismo radicale. Generalmente vi si fa riferimento per affermare che il diritto civile, e in particolare l’istituto del matrimonio e della filiazione, sono mere costruzioni, estranee alla sessuazione e alla generazione. Se così fosse, nulla impedirebbe di istituire come genitori due persone dello stesso sesso, o anche più di due.

Ma così non è, poiché il legame che unisce un figlio ai genitori è universalmente ritenuto bilaterale, anche se le due linee non hanno lo stesso ruolo e lo stesso valore (società patrilineari o matrilineari, società patriarcali o matriarcali ecc.). Ebbene, tale bilateralità sarebbe inintelligibile se non si fondasse direttamente sulla generazione sessuata. È evidente che a fornire il modello per la distinzione dei due lati della filiazione è la coppia complementare e dissimmetrica maschio/femmina.

Il fatto che ci siano due lati non significa – sia chiaro – che i genitori civili, istituiti, coincidano sempre con i generatori o genitori naturali. Si sa che la genitorialità civile non necessariamente coincide con la generazione biologica, come si dice. Ma ciò non toglie che, in generale, si sia cercato di farle coincidere: la fedeltà degli sposi è sempre stata pretesa perché i padri siano anche, se possibile, i generatori. Non dimentichiamo poi che l’ordine civile non cancella ogni legame “biologico”: resta tabù l’incesto tra genitori e figli naturali, e la responsabilità morale dei genitori effettivi non si cancella semplicemente dietro la genitorialità legale.

Comunque sia, è impossibile non vedere l’analogia tra la dissimmetria sessuale che presiede alla generazione e le due linee, maschile e femminile, dell’ascendenza di un individuo, ossia i due rami della sua genealogia familiare. Non c’è, come talvolta si vorrebbe far credere, confusione tra ordine sociale e ordine naturale, bensì c’è analogia, ossia identità di struttura, tra il modello di coppia genitrice e la bilateralità della filiazione.

L’alterità sessuale, con la distinzione maschio/femmina, fornisce il modello formale alla bilateralità degli ascendenti: è per questo, e solo per questo, che sono due, e non tre o quattro, per quanto in certe culture diverse divinità aiutino talvolta la nascita. Oggi sono i medici ad assistere nella procreazione ma, a eccezione delle tecniche di clonazione (che sollevano altri interrogativi), essi non hanno soppresso la doppia origine dei bambini.

Riassumendo, se l’ordine umano, sociale e simbolico da agli individui filiazione doppia, sessuata, maschio e femmina, non è a causa dei sentimenti che possono legare tra loro i genitori, e tanto meno dei desideri che li animano o dei piaceri che si danno: è a motivo della condizione sessuata dell’esistenza umana e dell’ eterogeneità di ogni generazione, della quale finora la cultura ha voluto conservare modello e traccia.

Si tratta dunque di sapere se l’istituto del matrimonio e della filiazione debba fondarsi ancora su tale modello, se debba ancora iscrivere ciascuno nell’ordine di un’umanità sessuata, oppure se si voglia infrangere quel modello nel quale si articolano la generazione, la differenza dei sessi e quella delle generazioni.

(*)Sylviane Agacinski è una scrittrice, giornalista e filosofa francese. Negli anni Settanta ha partecipato alla fondazione del Collége internazionale de philosophie, al fianco di Jacques Derida. Nel 1994 ha sposato Lionel Jospin. Attualmente è ricercatrice presso la Scuola di alti studi e scienze sociali di Parigi; ha scritto numerosi libri incentrati sul rapporto tra i sessi. L’articolo che qui pubblichiamo è comparso sul numero di autunno 2007 della rivista Commentare trimestrale fondato da Raymond Aron

______________________

Leggi anche:

Vivere da figlia con un padre omosessuale