Estero vicino od estero condiviso? Si rinnova lo scontro

DOMINO Mensile di approfondimento geopolitico e relazioni internazionali 
a cura del Centro Studi geopolitica. n. 8 settembre 2008

Russia e Stati Uniti d’America stanno scrivendo un altro capitolo della rivalità geopolitica tra terra e mare

di Gabriele Natalizia

USvsRU

La crisi estiva in Georgia ha suscitato grande apprensione nelle stanze dei bottoni della politica globale, sollevando l’interrogativo sul possibile ritorno ad una sfida dal sapore novecentesco tra la potenza marittima, gli Stati Uniti , e quella continentale, la Russia .

La precondizione che ha reso possibile il precipitare degli eventi in agosto va ricercata nel riconoscimento, da parte del gruppo qualitativamente importante di Stati (su tutti: Usa, Canada, Australia, Giappone, Turchia e ventuno paesi membri della Ue), dell’indipendenza dichiarata dal Kosovo lo scorso 17 febbraio. Senza questo precedente, Mosca non avrebbe potuto né giustificare le sue mosse sul campo, né riconoscere la secessione di Ossezia del Sud ed Abkhazia.

Si tratta degli effetti non desiderati del sostegno che Washington spesso ha concordato ai movimenti etnicisti e regionalisti. Ma quali sono i dati più rilevanti da evidenziare a due mesi circa di distanza dal fatidico 8 agosto? Proviamo ad indicarne quattro, di cui tre di ordine macro politico e l’ultimo relativo all’Italia.

1) Anzitutto deve essere confutata la teoria che vuole un’Europa imbavagliata, di fronte all’ avanzata in Georgia dell’esercito agli ordini di Dmitrij Medvedev, a causa della sua dipendenza energetica dalla Russia. Bruxelles dipende da Mosca, nella stessa misura in cui la seconda dipende dalla prima.

Gli effetti derivanti da un’eventuale chiusura dei rubinetti da parte di Gazprom o da un innalzamento eccessivo dei prezzi per rappresa glia, si ripercuoterebbero direttamente sulla società di Alexsei Miller che avrebbe bisogno di almeno dieci anni per riorganizzare il suo sistema di condutture verso i mercati orientali . La via per raggiungerli, peraltro, presenta difficoltà legate al clima, alla morfologia del territorio ed alla sicurezza che rendono poco allettante una virata troppo brusca.

Di certo la Russia sta tornando ad essere un attore geopolitica di primaria importanza, quindi tra i più influenti sui capito li più delicati della vita internazionale.

La tanto citata globalizzazione può riserva re al Cremlino sia vantaggi che rischi. Se l’interconnessione di zone del mondo anche molto distanti genera forme complesse di interazione ed interdipendenza all’interno di un’arena planetaria, favorendo l’azione a tutto campo degli Stati che controllano la “benzina” del motore di questi processi, non dimentichiamo che condicio sine qua non del fenomeno è la reciprocità. Non esiste, come accadeva in passato, un centro da cui le periferie dipendono, ma una serie di poli che interagiscono.

2) Per l’Unione Europea e gli Stati Uniti la piena integrità territoriale della Georgia continua ad apparire ancora la soluzione ideale e per questo Bruxelles, che nonostante tutto è riuscita a non trasformarsi nel classico vaso di vetro tra quelli di coccio, per il momento rifiuta qualsiasi tipo di dibattito in merito all’indipendenza delle due repubbliche secessioniste.

Ma non è sempre possibile giungere ai tavoli delle trattative nella posizione più favore vole e, quindi, occorre una buona dose di pragmatismo per ottimizzare i risultati, sapendo distinguere le situazioni ideali, disegnate sulle carte geografiche, dalla realtà dei fatti. Anche per Tbilisi potrebbe risultare vantaggiosa la rinuncia a territori ormai persi sul campo, in cambio di una nuova stabilità di cui si faccia garante anche Mosca.

L’ omogeneità etnica e la possibilità di non investire quote importanti del proprio Pil nel sistema di difesa, potrebbero garantire un buon ritmo di crescita al paese nel futuro. D’ altro canto, il ripristino del vecchio status quo assicurerebbe maggiore protezione all’ oleod otto Baku -Tbilisi-Ceyhan, che vede come capofila la British Petroleum e la partecipazione di società come Chevron, Eni, Statoil e Total. Ma qui entra in gioco anche Mosca.

Destabilizzare il paese di Mikhail Saakashvili, significa disincentivare in quest’ area gli investimenti esteri, in particolare quelli in campo energetico, che rischiano di lanciare alla ribalta il paese caucasico quale “via della seta” del XXI secolo. La Russia sta risorgendo dalle ceneri dell’ Urss anche grazie al controllo di una porzione consistente del mercato del gas e del petrolio da parte delle compagnie pubbliche. Implicita è l’esigenza di evita re la nascita di nuove pipelines sul modello del Btc, che permette al petrolio estratto sul versante azero del Mar Caspio di arrivare via Georgia nel Mediterraneo, bypassando l’hub di Novorossiysk e l’Armenia in un sol colpo.

3) A differenza di altri contesti, in questo quadrante ci troviamo di fronte a due disegni geopolitica antitetici e di respiro globale. Il primo, quello di Mosca, impone una progressiva riappropriazione, sottoforma di ricongiungimento o di subalternità politica, di quelle ex repubbliche sorelle da sempre considerate quali “estero vicino”. Per conseguire gli scopi prefissati occorre, anzitutto, allontanare un frainteso con gli Stati Uniti e l’Unione Europea, che trattano con questi paesi di nuova formazione come se fossero, viceversa, un “estero condiviso” e manifestano l ’intenzione di integrarli in alleanze militari o politico-economiche.

Il secondo, quello di Washington, si basa sulla dottrina del rimland di Nicholas Spykman, per cui è tassa tivo impedire alla potenza continentale per eccellenza di controlla re le “regioni orlo” dell’heartland (Asia centrale, Mar Caspio e Siberia). Questa dottrina spiega il motivo per cui gli unici conflitti armati successivi al 1945, che hanno impegnato direttamente e in modo massiccio lo Us Army contro eserciti sostenuti dalle potenze del blocco comunista, siano stati quelli in Corea e in Vietnam. Si trattava della cosiddetta strategia peninsulare. Allo stesso modo il contenimento dell’ avanzata russa verso i mari caldi d e ve essere messo in atto in Afghanistan, in Europa orientale e nel Caucaso. Georgia in primis. Le rivoluzioni colorate si sono tutte verificate lungo questo arco.

In questa strategia rientra anche la questione dei missili, che ha inasprito i rapporti con Mosca. In base agli accordi sullo “scudo spaziale” siglati da Washington con i governi di Varsavia e Praga, in Polonia verranno installati, entro il 2012, dieci missili capaci di intercettare e distruggere in volo eventuali missili balistici a lunga gittata , mentre nella Repubblica Ceca sarà impiantato un sistema radar. Ad ogni modo ancora non si può parlare di minacce, piuttosto dell’utilizzo, da ambo le parti, di dissuasione.

Se questa strada non verrà corretta, tuttavia, inevitabilmente si andrà verso un’escalation, capace di caratterizzare l’insieme della vita politica internazionale fino a condurla ad un bivio: o si passa alla fase delle vere e proprie minacce o, come avvenuto durante la guerra fredda, si giunge ad un “equilibrio del terrore”.

4) Infine, risulta interessante il dato “nazionale” che emerge dalla vicenda, ovvero la sostanziale sintonia di vedute nei confronti di Mosca degli inquilini che si alternano a Palazzo Chigi ed alla Farnesina. L’ atlantismo resta tra i cardini della nostra politica estera, in quanto gli interessi italiani, europei e statunitensi continuano a convergere su molte questioni. Ma non lo può più essere in maniera ideologica: in passato si è rischiato di diventare più realisti del re. La prova di questa parziale correzione di rotta è intervenuta nell’ultimo mese. L’intesa tra Berlusconi e Putin era nota a tutti, ma non era mai stata verificata da una pro fonda divergenza di interessi tra Washington e Mosca.

La ricerca di una posizione bilanciata, che permetterebbe al nostro paese di acquistare peso specifico con un’attività di mediazione tra le parti in causa, si trova pienamente nel solco della politica estera italiana e segna un momento di continuità con la linea tracciata da Prodi e D’Alema . L’Italia, se non desidera retrocedere definitivamente nella seconda fascia del sistema internazionale, deve recuperare il suo tradizionale attivismo in favore dell’istituzionalizzazione del sistema delle conferenze per la risoluzione delle questioni geopolitiche più scottanti.

D’altronde non è in  rado di far vale re le sue ragion i con l’hard power, neanche in contesti dalle dimensioni ridotte, sia per un retaggio psicologico che per la particolare congiuntura economica attraversata. Allo stesso tempo, per recuperare il terreno perso rispetto al direttorio europeo, deve necessariamente svolgere un ruolo di collegamento con un player decisivo nelle dinamiche internazionali. Il ponte privilegiato con gli Stati Uniti resterà necessariamente, per ragioni culturali, la Gran Bretagna, sebbene Washington e Roma continueranno ad ave re interessi comuni nel Mediterraneo. L’Italia, nel futuro, potrebbe far valere a Bruxelles i suoi tradizionali rapporti con il Cremlino (senza sottovalutare quelli con il mondo arabo).

Per tale ragione, nonostante la recente guerra in Georgia, non è stata sospesa l’esercitazione aeronavale bilaterale nelle acque dello Ionio (“Ionex 2008”) tra la Marina Militare italiana e tre unità della Marina russa. In questa prospettiva non bisogna dimenticare che l’ Italia fu tra i primi Stati a riconoscere ufficialmente l’Unione Sovietica quando ancora vigeva nei suoi confronti un vero e proprio “cordone sanitario” e che importanti rapporti economici e diplomatici continuarono ad essere intrattenuti anche durante la “ guerra fredda ”. Da Enrico Mattei a Gianni Agnelli, senza dimenticare i viaggi del presidente Giovanni Gronchi e, sebbene in veste di rappresentante della Santa Sede, del cardinal Agostino Casaroli .