Siamo un Paese a rischio estinzione

Italia_frantumiAvvenire, 23 marzo 2006

L’Istituto di statistica ha diffuso ieri la proiezione che anticipa i risultati ufficiali che consentono di tratteggiare il futuro profilo della nazione. Secondo gli ultimi dati si arriverà a un picco di 59,2 milioni di abitanti e poi inizierà il calo La fecondità dovrebbe passare da 1,33 figli per donna a 1,6. L’età media crescerà di un lustro

di Pier Luigi Fornari

E’ il giro di boa. Finora si è parlato di denatalità, cioè di un calo di nascite anno dopo anno. Ma adesso la notizia è un’altra: è il totale della popolazione italiana che comincia ad assottigliarsi, anche con la trasfusione di 150mila immigrati l’anno, avviando una caduta che sarà molto difficile arrestare. Lo certifica l’Istat datando intorno al 2014 l’inizio del declino che dovrebbe portare la popolazione italiana dagli attuali 58,6 milioni a 55,8 milioni nel 2050.

Da qui ai prossimi otto anni aumenterà al ritmo dell’1,1 per mille, per toccare i 59,2, poi s’avvierà il calo al tasso del meno uno per mille ogni anno. Ma nonostante tutto, la previsione del nostro Istituto nazionale di statistica è basato su una scommessa ottimistica, cioè che la fecondità risalga da 1,33 figli per donna, l’ultimo dato registrato, a 1,6.

L’ipotesi è confortata dal fatto che dal 1995, anno di minimo storico (1,19) si è risaliti a 1,33 nel 2004. Comunque il tasso di fertilità di 1,6 figli per donna sconta un’alta frequenza di famiglie numerose, visto che potrebbe restare consistente la percentuale di donne che non fanno figli del tutto. Se una donna su tre non fa figli, quasi tutte le altre famiglie ne devono fare almeno tre.

Del resto una previsione dell’Onu ci avverte che se la fertilità restasse costante ad 1,3 la popolazione potrebbe addirittura scendere sotto i 45 milioni nel 2050. L’Istat comunque proietta l’accentuazione del fenomeno della posticipazione della maternità oltre i 30 anni e fino ai 40. Il recupero del tasso di fertilità si concentrerebbe però prevalentemente nel Nord e nel Centro.  Comunque il numero di nascite e decessi non lascia, avvertono gli esperti, «spazio all’ipotesi di un recupero di popolazione grazie alla sola dinamica naturale, dal momento che essa si presenta sempre negativa nel periodo preso in esame».

Già dal ’93 infatti si registra il sorpasso del numero dei decessi nei confronti del numero di neonati. Negli anni successivi il divario è andato progressivamente aumentando, e la forbice si allargherà in futuro. Dal 2013 il numero dei nati scenderà sotto la soglia delle 500 mila unità mentre quello dei morti proseguirà la sua crescita ben oltre 600 mila.

Tra il 2020 ed il 2040 il numero di nati si stabilizzerà intorno alle 460-470 mila unità annue, mentre i morti passeranno da circa 660 mila ad oltre 730 mila. Nel 2040 il saldo naturale supererà dunque la soglia negativa delle 265 mila unità e nel decennio successivo arriva a toccare quasi le 330 mila. I nati aggireranno la cifra delle 450 mila unità, mentre i morti supereranno la soglia dei 770 mila.

La dinamica demografica prevista e la struttura di una popolazione già fortemente invecchiata comporterà, infatti, nota la previsione Istat, «una riduzione delle nascite pur in presenza di un aumento della propensione alla fecondità, così come un aumento dei decessi giustificato dalla futura presenza di quote crescenti di popolazione in età anziana, nonostante la popolazione sia nel complesso soggetta a condizioni di sopravvivenza più favorevoli di quelle attuali».

L’altro dato che fa riflettere è la struttura della popolazione: dalla tradizionale “piramide” si avvicinerà ad una “trottola” nel 2050, con una base sempre più ristretta delle fasce di popolazione giovane. Gli ultra sessantacinquenni passeranno dal 19,5 al 33,6%. E gli 85enni e più passeranno dal 2% al 7,8%.

La proporzione di giovani fino a 14 anni si assottiglierà dal 14,2% al 12,7%. Il rapporto tra anziani con più di 65 anni e popolazione complessiva passerà da 1 ogni 5 del 2005 a 1 ogni 4 nel 2030. Nello stesso periodo, per quel che riguarda gli over 85, lo stesso rapporto passerà da 1 ogni 50 a 1 ogni 20.

In questo quadro l’indice di vecchiaia, che misura appunto il rapporto numerico tra anziani e giovani, crescerà costantemente per tutto il periodo previsto passando da 138 anziani per 100 giovani nel 2005, a 222 nel 2030, fino a raggiungere i 264 anziani per 100 giovani nel 2050. Riflessi di questa situazione si ripercuotono anche sulla popolazione in età attiva (15-64 anni), che subirà da qui al 2050 una riduzione di circa nove milioni, da un contingente di 38,8 milioni di individui nel 2005, pari al 66,4% della popolazione complessiva, si scende a 35,5 milioni nel 2030, a un ritmo medio del -3,5 per mille; una discreta riduzione trattandosi di 3 milioni 300 mila individui in termini assoluti e di circa 6 punti percentuali.

Ma ancora poca cosa, considerando che tra il 2030 ed il 2050 la popolazione in età attiva si riduce fino a 30 milioni di individui, poco meno del 54% totale, a un tasso del -8,3 per mille l’anno. Il dato positivo è che si avrà un allungamento della vita media, che cresce nel periodo da 77,4 a 83,6 anni per gli uomini, da 83,3 a 88,8 anni per le donne.

L’Italia si qualificherà sempre più come Paese di immigrazione. Il bilancio netto delle migrazioni internazionali apporterà un flusso migratorio netto dell’ordine delle 150 mila unità aggiuntive annue fino al 2050. Negli ultimi decenni l’Italia ha assunto il ruolo di paese d’immigrazione, e sono radicalmente mutate – oltre alla quantità e alla direzione dei flussi – anche le caratteristiche e le motivazioni dei movimenti con l’estero.