A un Pacs dall’Harem

poligamiaTempi n.9 del 23 febbraio 2006

di Anna Bono

Nell’ansia di rimediare a presunte ingiustizie e di impedire che siano discriminati come «cittadini di serie B tutti coloro che fanno scelte di vita non tradizionali» (per dirla con le parole del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola), i promotori dei progetti di disciplina delle unioni di fatto sottovalutano il rischio di istituzionalizzare in Italia, con i Patti civili di solidarietà (Pacs) così come li hanno concepiti, ben altre forme di ingiustizia e di discriminazione.

Le proposte di legge presentate prevedono infatti, tra le modalità di rottura dei Pacs, la possibilità di una decisione unilaterale. Il progetto depositato dalle sinistre presso la Regione Umbria, ad esempio, specifica che «l’unione di fatto è sciolta anche per volontà di un solo contraente». È sufficiente che, entro tre mesi dalla richiesta unilaterale di scioglimento, uno solo dei partner si presenti per confermare la propria decisione davanti a un ufficiale di stato civile, senza testimoni, perché il Pacs stipulato sia annullato.

«Un divorzio breve per un quasi matrimonio» lo ha definito Assuntina Morresi sulle pagine del quotidiano Avvenire, ma in effetti più che di divorzio si tratterebbe di una sorta di ripudio: tale si definisce lo scioglimento di una coppia per effetto di una dichiarazione unilaterale che, dove è prevista dalla legge, può essere espressa soltanto dal marito.

Per questo, benché tutti – favorevoli e contrari – pensino ai Pacs come a un modo per estendere alle coppie non sposate, in particolare a quelle omosessuali, la stessa dignità e le stesse garanzie sociali di cui godono le famiglie “tradizionali”, in realtà i Patti civili di solidarietà possono diventare la scelta di unione matrimoniale, in certi casi obbligata e comunque preferita, di un numero crescente di persone residenti in Italia che provengono da nazioni in cui il ripudio è praticato per tradizione e non possono o non vogliono rinunciarvi: si pensi a chi professa la fede islamica.

Inoltre il Pacs, nella formulazione del programma elettorale dell’Unione – dove si applica a «persone che fanno parte delle unioni di fatto» e quindi non per forza due soltanto – potrebbe aprire la strada alla regolamentazione e quindi alla legittimazione della poligamia che è praticata in molti dei paesi d’origine dei nostri immigrati.

Saranno felici le donne islamiche

Bisognerebbe dunque sentire che cosa ne dicono le donne immigrate, loro che fuggono in Occidente, come pure tanti uomini, anche per sottrarre se stesse e i propri figli a simili istituzioni: oltre al ripudio e alla poligamia, il matrimonio imposto, quello temporaneo e quello segreto della tradizione sunnita, il prezzo della sposa, la segregazione domestica femminile, il velo, le mutilazioni genitali femminili. In Italia, è ovvio, anche il partner femminile potrà avvalersi del diritto di scioglimento unilaterale di un Pacs, ma la facoltà di cancellare così un legame affettivo e sociale consolidato, a prescindere dal sesso d’appartenenza, non è esattamente il genere di conquiste di pari opportunità di cui andare fieri e, peraltro, la forza contrattuale della donna in un matrimonio islamico rende difficile che sia la componente femminile a potersene avvalere traendone vantaggio.

Di rilevanza tutt’altro che secondaria è infine l’effetto demoralizzante che produrrebbe il fatto stesso di aggirare la legge italiana, che non ammette né ripudio né poligamia, permettendo a chi lo desidera di adottare queste istituzioni approfittando della nuova disciplina.