(De Tocqueville): Aveva previsto tutto

De Tocqueville

Alexis De Tocqueville

Libero  6 agosto 2005

De Tocqueville: liberale educato negli Usa denunciò le future tirannie democratiche.

di Gianfranco Morra  

I profeti, ci dice Manzoni, ricordano gli anni futuri. Colui che, in piena crescita della democrazia, seppe intuirne la degenerazione e proporne una cura ricostituente, nacque 200 anni or sono a Parigi. Bastò un viaggio per farlo innamorare degli Stati Uniti, o meglio della loro società civile, di cui descrisse i valori e anche i pericoli. Alexis de Tocqueville fu un moderato, un cattolico liberale.

Era dunque contrario all’assolutismo monarchico, al punto da scorgere in Luigi XIV l’autentico precursore della Rivoluzione Francese, a causa del suo centralismo burocratico e della lotta contro la tradizione pluralistica del vecchio regime.Ma della democrazia, c’egli cercò di difendere e promuovere, intuì i gravi pericoli nel passaggio da una società di élite ad una di massa.

Proprio nell’epoca della reazione oltranzista agli sfaceli della rivoluzione, Tocqueville sostiene che la democrazia, in quanto regime moderato e modificabile, rappresenta quanto ci può essere di meglio tra tutti i regimi politici. Ma solo a certe condizioni. Egli comprende che le due idee della forza della democrazia sono quelle di libertà e di eguaglianza.

Ma sa anche che difficilmente possono andare d’accordo, in quanto regolano due finalità contrastanti: aumentare la libertà significa accrescere la disuguaglianza; puntare sull’eguaglianza comporta, il più delle volte, la riduzione della libertà. Giusto eliminare le forti differenze tra i ceti, in quanto non c’è democrazia senza eguaglianza delle condizioni.

Purtroppo, superati certi limiti, l’eguaglianza diviene “dittatura della maggioranza”. In altre parole, la democrazia diviene “totalitaria”. Egli sa bene che la Francia postrivoluzionaria è ancora più tirannica di quella precedente. La famiglia è stata indebolita, le corporazioni soppresse, i beni degli ordini religiosi espropriati.

Le autonomie, di luoghi e di ceti, del vecchio regime sono state eliminate in uno statalismo asfissiante, che considera i cittadini come una massa da manovrare e dominare, facendole credere di essere libera. La giusta “eguaglianza delle condizioni” si trasforma in un comportamento uniforme, in un ritorno del suddito, solo apparentemente cittadino, dentro l’utero di uno Stato che lo dirige e lo assicura in tutto, dalla nascita al sepolcro.

Lo Stato, centralizzato, inquisitivo, minuzioso, diviene padrone della vita privata del cittadino. Vale la pena di ricordare la più famosa pagina di Tocqueville (oggi non più profetica, ma fotografia della perversa combinazione di centralizzazione e sovranità popolare): “Vedo una folla innumerevole di uomini, travagliati da due passioni contrastanti: provano il bisogno di essere guidati e la voglia di restare liberi.

Simili ed eguali, non fanno che ruotare su se stessi per procurarsi piccoli e volgari piaceri con cui saziano il loro animo. Ciascuno di questi uomini vive per proprio conto ed è come estraneo al destino di tutti gli altri. Al di sopra di costoro si erge un potere immenso e tutelare. E’ assoluto, minuzioso, sistematico, previdente e mite, avvilisce senza tormentare gli uomini, che non solo lo sopportano, ma lo considerano un vantaggio”.

Tocqueville intuì la degenerazione della democrazia, quando essa si riduce ad un edonismo protetto e garantito, al “panem (ora anche penem) et cicenses” del dostojewskiano Grande Inquisitore (pari opportunità, par condicio, etc.). ciò accade quando le generazioni perdono la tradizione storica e vivono nel presente dispersivo della quotidianità: “Poiché il passato non rischiara più l’avvenire, lo spirito avanza nelle tenebre”.

Ma Tocqueville non è un “pessimista culturale” e questo esito non gli sembra fatale. Come mostra l’esperienza degli Stati Uniti, dove una classe democratica e insieme religiosa ha saputo garantire libertà ed eguaglianza (siamo nel 1832, in America il tono sociale era ancora dato dai WASP, gli anglosassoni bianchi e protestanti; se ci andasse oggi, Tocqueville forse sarebbe meno ottimista).

Il segreto della democrazia americana è “l’intima unione della politica e della religione”, il loro “cristianesimo democratico e repubblicano”. Non certo nel senso del vecchio “trono e altare”. Negli Usa religione e politica sono “completamente separate”, tutte le chiese sono libere e protette, con nessuna di esse lo Stato fa concordati. Ma sono anche congiunte, non nelle curie episcopali, ma nella coscienza dei cittadini.

Gli Usa sono nati da uomini fuggiti dalle persecuzioni religiose. La loro Dichiarazione di Indipendenza comincia col nome di Dio e le feste civili sono sempre anche religiose. Gli Usa hanno una radicata “religione civile”, non già sostitutiva delle fedi confessionali, ma esplicativa e unitiva delle diverse credenze: “la religione non esercita un’influenza diretta sulle leggi o sulle opinioni politiche, ma dirige i costumi e, regolando la famiglia, contribuisce a regolare lo stato”.

La democrazia, dunque, può essere liberale (Tocqueville pensava agli Usa) o dispotica (pensava alla sua Francia). Essa non cade nel dispotismo sino a quando conserva quella religione cristiana, con cui è nata: E’ il dispotismo che può fare a meno della fede, non la libertà”. Tocqueville, cattolico liberale tanto stimato dal nostro Rosmini, rifiuta sia il laicismo fanatico, nato ateo col Robespierre, sia il clericalismo, che cerca alleanze, dirette o indirette, con i principi solo per avere più potere mondano e, in tal modo, perde credibilità e ne segue la caduta. 200 anni dopo le profezie di Tocqueville si sono purtroppo verificate.

Occorre smentirle nel futuro. Bisogna combattere la democrazia totalitaria delle sinistre per mezzo di una alleanza dei cattolici aperti agli ideali di libertà e dei laici religiosamente ispirati.