Palmiro il russo

TogliattiArticolo pubblicato su L’Italia Settimanale
del 17 marzo 1993

Il Spagna, in Francia, nell’Italia della guerra civile,Togliatti svolse sempre con coscienza il suo compito  al servizio di Stalin

di Franco Bandini

Sul “Migliore”, al secolo Togliatti Palmiro, rievocazioni, saggi e libri non si contano. tutti però all’italiana, ovvero discettando abulicamente non sui fatti e conseguenti responsabilità, ma sulle idee, le apprensioni, i “tempi difficili”, l’azione politica, palese o coperta. Questo ha permesso di “collocare nella Storia” il tarchiato e sfuggente professore genovese: e ignorare in letizia i tre punto oscuri della vicenda, ce invece sono chiarissimi per chiunque si prenda la briga di guardarci dentro.

Spagna, primavera del 1937. Secondo Hugh Thomas, storico di buon livello di quella tragica guerra civile, Togliatti si trovava a Barcellona nel maggio-giugno del ’37. Anche Jésus Hérnandez, ministro comunista spagnolo dell’Istruzione, ha lasciato scritto che il segretario del Comintern sarebbe stato visto in Spagna nell’ottobre del ’36 e poi, ripetutamente, nella primavera dell’anno dopo. Spriano ha disatteso entrambe le affermazioni, stabilendo, però senza l’ombra di prove, che Togliatti raggiunse Barcellona soltanto nel luglio ’36, dopo un imprecisato soggiorno parigino.

Sappiamo con certezza che il 29 o 30 aprile 1937 Togliatti commemorò davanti agli operai dell’officina “Falce e Martello” di Mosca la morte di Gramsci, avvenuta il 27 all’alba. E sappiamo che egli avrebbe dovuto partecipare al convegno delle due Internazionali ad Annegasse, fissata per il 21 giugno, alla quale però non intervenne, perché – si dice – gli giunse l’ordine di Dimitrov di recarsi in Spagna. per i cinquanta giorni intermedi esistono altre due date: la prima, del 20 maggio, si riferisce ad una lettera che Togliatti avrebbe scritto da Mosca a Pietro Sraffa, a proposito dell’archivio di Gramsci, l’altra è una nota del “Diario” di Aristide Corre (inedito in Italia), secondo la quale Palmiro Togliatti avrebbe partecipato ad un “piccolo Comintern” tenutosi a Parigi tra il 2 ed il 5 maggio 1937, presso la sede del Pcf, al 120 di rue La Favette. La nota di questo giovane oltranzista francese della “cagoule” è molto dettagliata e lascia pochi dubbi sul fatto che al principio di maggio Togliatti si trovasse davvero a Parigi.

Proprio la mancanza di precisazioni “ufficiali” sui suoi spostamenti ci dice che ve ne dovettero essere parecchi. Paolo Robotti, cognato di Togliatti, ha scritto che lo vide a Mosca il 15 luglio, “pronto a partire per la Spagna”: il punto è se partiva o ripartiva.

Rincorrere queste date è essenziale, poiché l’aprile ed il maggio del ’37 sono due mesi cruciali, e tragici, non solo per la vicenda spagnola, ma per la storia del mondo. Nell’agosto 1936 e nel gennaio 1937 la “vecchia guardia” bolscevica è già stata spezzata in due grandi processi, a Mosca, con l’arresto di 350 mila persone e l’uccisione di un numero incalcolabile di deviazionisti. All’inizio del maggio, i comunisti barcellonesi liquidarono nel sangue l’intero anarchismo catalano, lasciando sul terreno 900 morti e 2.500 feriti.

L’11 giugno Andrés Nin, Segretario del Poum catalano, viene arrestato a Barcellona, imprigionato e torturato alla presenza di Vittorio Vidale, ad Alcalà de Henares, e poi ucciso in un falso tentativo di fuga. Lo stesso giorno , mentre a Bagnoles de l’Orne un ciclista mattutino scopre i cadaveri dei due fratelli Rosselli, nei cortili della Lubjanka gli agenti del Nkvd fucilano, con Tukacevsky, Capo di Stato Maggiore dell’Armata Rossa, otto tra i più famosi dei generali sovietici.

A Parigi ed in Spagna, cadono assassinati otto segretari o ex segretari di Trotzky. La chiave di tutto è in Spagna, dove il ministro della Difesa del nuovo governo di Negrin, Indalecio Prieto, tenta di risolvere con un colpo disperato l’agonizzante situazione della Spagna repubblicana. Prieto scaraventa le sue forze navali e aree su Palma e Ibiza, dove si trovano le unità da guerra del Controllo internazionale, allo scopo di provocare, con gravi incidenti, l’allargamento del conflitto alle grandi potenze. Solo se Francia, Russia e Inghilterra, nonché Germania e Italia, saranno trascinate in guerra, la Spagna repubblicana potrà ricevere i rifornimenti che le sono indispensabili per guadagnare la partita.

Il lato storicamente straordinario di questi “raid” micidiali, protrattisi per una settimana, è che essi sono condotti da forze navali spagnole, ma soprattutto da apparecchi da bombardamento sovietici, pilotati da aviatori sovietici, in un disegno generale che è certamente noto allo Stato Maggiore di Mosca.

Il mondo trattiene il fiato, sull’orlo di una crisi gravissima: ma a dire “no” sono Hitler e Stalin, il primo ritirando di fatto le sue unità navali dal Mediterraneo, sia pure dopo una dura rivincita col bombardamento di Almeria: il secondo mandando a dire a Prieto di interrompere immediatamente le azioni, pena la testa: non metaforica, visto che furono subito spediti a Barcellona due agenti della Nkvd con istruzioni apposite.

Secondo Jésus Hérnandez, la telefonata allarmata a Stalin, nella notte del 1° giugno, venne fatta personalmente da Togliatti, reduce da una seduta a Valencia del governo spagnolo, nella quale Prieto aveva candidamente spiegato agli esterrefatti ascoltatori gli scopi del suo piano. Non c’è ragione di dubitarne, come non c’è da dubitare dei motivi di fondo per i quali l’intero “staff” politico-militare sovietico di Spagna, e quello militare dell’Urss, venne travolto da una bufera, il cui primo effetto fu quello di trasformate l’Armata Rossa in una massa amorfa, supinamente obbediente.

Su questa gigantesca “purga” dei generali non è ancora comparso alcun documento, per il semplice fatto che si rifugge tenacemente dal metterne in chiaro le vere origini. Quando lo si farà, si scoprirà che su questa via c’era un ostacolo formidabile, da rimuovere, la convinzione rivoluzionaria ed anti-tedesca dell’Armata Rossa e dei vecchi bolscevichi, ingenuamente ma ostinatamente impegnati in Spagna, in aiuto ai “fratelli proletari” di Barcellona e di Madrid. Tra il gennaio e il maggio del ’37, Stalin prepara la sua rete micidiale, ma quando i “raid” di Prieto su Palma ed Ibiza avvicinano ad un punto di non ritorno la crisi spagnola, è costretto ad agire con un cupo e altrimenti inspiegabile bagno di sangue.

Togliatti, dunque, è l’uomo che prima e meglio di ogni altro ha compreso il “nuovo corso”, l’alleanza con i dittatori. Troviamo proprio qui il secondo straordinario punto oscuro.

A fine agosto 1939 la Francia insorge contro il “tradimento” staliniano. Comincia la caccia al comunista, e Togliatti sparisce alla svelta in un rifugio sicuro di rue Charlot, a Parigi. Ma la polizia la sa più lunga di lui: gli piomba addosso il !° settembre, gli infligge una “disumana bastonatura” e lo rinchiude alla Santé.

Togliatti si spaccia per suddito cileno, a nome Antonio Viale e la polizia, benché possegga su di lui un “dossier” di qualche chilo, ricco di fotografie fa finta di credergli. Dopo sei mesi, a febbraio del ’40, il suddito cileno Viale va davanti al magistrato della Senna, che lo condanna a sei mesi, già scontati, per uso di documenti falsi. Scarcerato, Togliatti è ad Amsterdam il 10 maggio, e a Mosca quattro giorni dopo , mentre le armate tedesche dilagano in Francia.

Oggi sappiamo con certezza che le singolari amnesie della Surété francese, e la scarcerazione del più importante comunista che in quel momento si trovasse in Francia , furono propiziate da un ragguardevole flusso di denaro, e soprattutto dall’intervento di Vincent Auriol, già ministro della Giustizia nel ’37, all’epoca del Fronte Popolare, e sfacciato zelota del Cremino in terra di Francia. Del resto, i suoi servigi furono ben pagati, dal momento che gli toccò, subito dopo la guerra, la poltrona di Presidente della Costituente e poi quella di Presidente della Repubblica.

Non sappiamo invece quali furono le ragioni per le quali Togliatti, unico tra tutti i comunisti arrestati, fu rispedito in Russia. Nel ’50, in acre polemica con Gaetano Salvemini, lo stesso Togliatti rivelò che nel 1940, prima che l’Italia scendesse in campo, il Pci aveva avuto contatti con gruppi monarchici italiani allo scopo di evitare la guerra, con o senza l’eliminazione di Mussolini. E questo poteva essere “anche” un interesse francese, ma forse non di Stalin: difatti nel giugno, dopo il crollo verticale francese, la politica del Cremino è chiaramente quella dell’accordo con Mussolini, e non è possibile che Togliatti non vi abbia recitato una parte fondamentale.

Le fredde relazioni diplomatiche tra Italia e Urss riprendono difatti e con favore il 1° giugno del ’40, e a luglio Mussolini è pronto a stipulare con l’Unione un Patto del tutto identico a quello che già lega da un anno nazisti e comunisti.

Terzo punto. Il 27 marzo 1944, Togliatti sbarca a Napoli, portando nel cuore quella “svolta di Salerno” che annunzierà quattro giorni dopo. Essa passa, oggi, come il principio della “via italiana al Socialismo”, ed è davvero singolare che tanti storici abbiano accettato questa interpretazione a scatola chiusa, senza chiedersi per quale ragione a Stalin interessasse tanto riconoscere ufficialmente il debole e compromesso Governo italiano del sud, contro le vedute dei suoi alleati, e contro le forze politiche non comuniste, ma anche comuniste, esistenti in Italia.

La verità, come sempre, si trova in un ordine di fatti ben poco noti: e in questo caso nello spinosissimo dilemma nel quale l’Unione Sovietica venne a trovarsi all’inizio del ’44. Nonostante i successi di un’offensiva invernale condotta senza riguardo e perdite, l’Armata Rossa si trovava ancora a 400 chilometri dai Paesi Baltici, dalla Polonia e dai Balcani. C’era la quasi certezza che gli Alleati si sarebbero finalmente decisi a sbarcare in Francia: ma, a parte il fatto che essi avrebbero potuto rimandare ancora una volta, il punto era se ci sarebbero riusciti.

Un fallimento avrebbe avuto ripercussioni decisive sulla guerra in Europa, ed avrebbe lasciato Stalin a vedersela da solo con Hitler: ma in condizioni disastrose, poiché, allontanato il pericolo di un’invasione a ovest, il diabolico Cancelliere sarebbe stato libero di concentrare gran parte delle sue potenti forze contro l’Unione.

Moltissimi segni nella primavera del ’44 lasciavano capire che Hitler aveva scelto la strada più logica: ributtare a mare gli Alleati quando fossero sbarcati, per poi obbligare la Russia o a nuove campagne distruttive e perse in partenza o alla pace. Per tutto l’inverno e fino alla primavera, non una sola delle 60 divisioni tedesche in Francia vennero difatti spostate a sostegno del fronte orientale, precariamente tenuto da 163 divisioni.

Altre 21 erano in Grecia e nei Balcani, 26 in Italia, 18 tra Danimarca e Norvegia e 9 in riserva centrale. Se lo sbarco alleato fosse fallito, avrebbero potuto rifluire contro Stalin non meno di 80 divisioni: ma sarebbe avvenuta quasi la stessa cosa se esso non fosse stato lanciato entro il luglio, che era il termine ultimo per uno sbarco in Francia. Allora, tutto sarebbe stato rimesso in gioco per una Armata Rossa in gravissima crisi.

Togliatti, dunque, sbarca a Napoli non per una “svolta”, ma in funzione delle necessità puramente militari di Stalin. Agitando la bandiera della “Patria”, termine inusitato sulla sua bocca, Togliatti chiede prima a Badoglio, poi a Bonomi uno sforzo particolare per costituire un esercito che si batta immediatamente contro i tedeschi. manda in Sicilia i migliori dei suoi per convincere i “picciotti” disertori a rispondere ai bandi di Badoglio, ma soprattutto radicalizza la Resistenza nei territori occupati: è l’epoca di via Rasella, dell’uccisione di Gentile, delle imprese dei Gap a Torino e Milano.

Se questo è il quadro, allora si deve respingere il piagnucolio di tutti quegli storici secondo i quali Togliatti fu la vittima di tempi corruschi e di una tragedia globale immersa nel sangue. Questi storici hanno affannosamente ricercato nella vita del “migliore” quelle tre o quattro mezze frasi sparse, che testimonierebbero la sua disapprovazione per i crimini staliniani ed il costante desiderio di separarsene.

Ma la verità è diversa. Togliatti accettò, condivise e rese operative le peggiori ribalterie del “Numero Uno”. Non per viltà, ma perché persuaso che così si dovesse agire, nell’interesse non tanto di Stalin quanto della Russia, che era la “casa”, il Tempio sacro nel quale ardeva la fiamma della rivoluzione proletaria.

In altre parole, era un russo che viveva all’interno della stessa lucida paranoia che spiega, ma non giustifica, un Viscinsky, uno Ezov, un Dimitrov. Il che vale a dire che non fu mai italiano, nel senso che si usa dare a questa parola. Considerarlo tale è un colpevole errore di prospettiva: nelle sue scelte, l’Italia non contò mai un accidente.