Wilkileaks. L’arma giacobina della trasparenza

WilkileaksTempi n.50 – 22 dicembre 2010

Nelle scorribande anarchiche di Assange ritorna il vecchio copione dei rivoluzionari di ogni epoca. Che impiccano la civiltà alle sue leggi in nome di una democrazia assoluta in cui l’individuo non avrà scampo

di Rodolfo Casadei

Un grande servizio reso alla democrazia oppure un attacco di ispirazione anarchica, che non mira certo a riformare il potere, ma ad abbatterlo? Un grande contributo a una maggiore sicurezza collettiva attraverso l’accresciuta trasparenza dell’agire degli Stati, oppure un atto che destabilizza la sicurezza degli Stati Uniti e per riflesso quella del mondo intero?

Un’esibizione di terrorismo (o perlomeno di teppismo) informatico, o una nuova frontiera dell’impegno politico e del senso civico?

Sono passate quasi tre settimane dalla diffusione di documenti diplomatici riservati statunitensi da parte dell’organizzazione Wikileaks, veicolata da una cinquina di grandi giornali internazionali, e i giudizi su quello che è successo sembrano dividersi fra i due campi suddetti. Che solo su una cosa si trovano d’accordo: nel considerare senza precedenti quello che sta avvenendo.

Per gli apologeti di Julian Assange, come Barbara Spinelli sul Fatto quotidiano, la novità epocale «è la rivoluzione dei media, che Wikileaks conferma e amplifica straordinariamente. È l’assalto ai Palazzi d’Inverno, che mette spavento ai falsi troni dove siedono, spesso, falsi re. Anche nell’informazione regnava, fino a ieri, l’ordine westphaliano: ogni Stato sovrano ha la sua informazione, chiusa in recinti nazionali accuratamente separati. Invece ecco che Wikileaks parla del mondo e al mondo, apre su di esso un grande occhio indagatore».

I detrattori pensano, al negativo, la stessa cosa: il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini teme sinceramente che Wikileaks possa «distruggere il mondo» perché, mentre le bombe dei vecchi anarchici potevano uccidere al massimo qualche regnante, e i sassi dei black bloc possono al massimo turbare un vertice del G8 rompendo un po’ di vetrine, le bombe e i sassi virtuali scagliati da Wikileaks hanno un impatto planetario e immateriale che disgrega beni fondamentali come la fiducia e l’onore.

In realtà, l’exploit di Wikileaks altro non è che la riedizione, sotto forma telematica, di un vecchio copione che si ripete dal 1945 almeno, cioè da quando il mondo si è diviso nei due blocchi, quello liberaldemocratico a economia di mercato egemonizzato politicamente dagli Stati Uniti e quello totalitario comunista dominato dall’Unione Sovietica, con le autocrazie del Terzo Mondo collocate un po’ di qua e un po’ di là.

Da allora tutti gli avversari dell’Occidente – sia quelli esterni apertamente totalitari che quelli interni che si presentavano come critici radicali del sistema capitalista – hanno adottato la stessa tattica: usare come armi contro l’Occidente i valori, le libertà e le tecnologie proprie dell’Occidente.

Le libertà di espressione, associazione e militanza politica occidentali, proibite e punite come controrivoluzionarie nei paesi socialisti, sono state pienamente sfruttate per organizzare negli anni Cinquanta il movimento pacifista che doveva rallentare l’ascesa militare della Nato,  negli anni Sessanta e Settanta i movimenti studenteschi che dovevano rendere invivibili le città e impraticabili le scuole e le università in America e in Europa, negli anni Ottanta il movimento contro gli euromissili che avrebbero impedito all’Unione Sovietica di ricattare l’Europa col suo arsenale nucleare.

Oggi un vasto arco di forze che va dalle associazioni per la difesa dei diritti umani ai movimenti anti-imperialisti ai fiancheggiatori palesi o mascherati del terrorismo islamista invocano l’intangibilità della libertà personale, lo Stato di diritto, l’habeas corpus, le leggi e le convenzioni contro la tortura nei confronti dei militanti jihadisti, i quali praticano una forma di lotta armata che si fa scudo di questi princìpi quando i militanti vengono catturati ma che non rispetta nemmeno uno di essi quando lotta uccidendo civili inermi, seviziando i prigionieri, condannando a morte i nemici senza processo.

Wikileaks ripete il paradigma, con un sovrappiù di sarcasmo: il segretario di Stato americano Hillary Clinton è stata sbertucciata sulle pagine telematiche di Huffington Post per aver condannato la diffusione delle rivelazioni intercettate per il tramite di internet che la mettono in cattiva luce, dopo avere per anni biasimato i regimi (Cina, Iran, Birmania) che conculcano la libertà di espressione in rete.

Wikileaks usa internet, considerato da molti lo strumento che avrebbe dovuto mettere alle corde regimi totalitari e promuovere il trionfo del modello occidentale di democra­zia, per mettere ko la principale democrazia occidentale.

E naturalmente, come già i comunisti e i jihadisti, non intende applicare a sé i princìpi e i doveri che esige dagli altri: la trasparenza integrale vale per tutti ma non per l’organizzazione e il suo capo, che non sono tenuti a esibire il bilancio, l’origine dei finanziamenti, una spiegazione del modo autocratico con cui vengono emarginati i dissenzienti; i documenti riservati della diplomazia americana vengono dati in pasto al pubblico, con grande danno per le relazioni internazionali del paese, ma quelli di Cina, Russia, Iran, Cuba, Corea del Nord e altri avversar! strategici degli Stati Uniti restano al sicuro, determinando un vantaggio strategico per tali paesi, che sono tutt’altro che un modello di democrazia e rispetto dei diritti umani.

L’attacco di Wikileaks al “sistema” ha tutte le apparenze dell’assalto anarchico, ma il risultato pratico è lo stesso di sempre: l’indebolimento dell’architrave politico-militare della liberaldemocrazia occidentale, a vantaggio di potenze totalitarie o autoritarie.

L’utopia del mondo senza potere

Non c’è dubbio che l’ideale che muove Julian Assange e i suoi seguaci sia di tipo anarchico. Come hanno spiegato Carlo Formenti sul Corriere della Sera e Franco La Cecla sul Foglio, qualunque forma di vita in gruppo ha bisogno di segreti e riservatezza per funzionare: dalla famiglia di poche persone alla grande impresa a un’intera nazione, nulla può esistere e nulla può essere governato senza distinzioni e limiti fra cose che tutti possono sapere e cose che non tutti possono sapere.

A questa verità, antropologica e politica nello stesso tempo, gli anarchici contrappongono un’utopia, che Formenti descrive così: «L’obiettivo di Assange e dei suoi fan non è rendere il potere più trasparente, bensì distruggerlo. Siamo di fronte alla versione postmoderna e digitale dell’utopia anarchica che sogna una società orizzontale e senza gerarchie, quindi senza segreti».

Ma una società del genere non è mai esistita né mai esisterà.  Storicamente gli esseri umani hanno avuto a che fare con forme di società che stanno fra due estremi: quello delle società dove il potere ha diritto alla riservatezza totale, mentre i cittadini non possono ave re segreti di fronte al potere, e quello delle società dove sia il governo che i cittadini godono di un certo grado di riservatezza, che non è assoluta ma non è nemmeno violabile impunemente. Il primo modello è quello delle società autoritarie, il secondo è quello delle liberaldemocrazie occidentali

Anche il diavolo dice di non esistere

Quello che Assange e i suoi scudieri probabilmente ignorano è che la democrazia occidentale non è nata come generale processo di cancellazione della riservatezza e di estensione della trasparenza, bensì come estensione della riservatezza caratteristica dei governi ai privati cittadini.

Nel 1766 Lord Chatham prende la parola nel Parlamento inglese, nel corso di un dibattito sull’uso delle garanzie, e dichiara: «II più povero degli uomini può, nella sua casetta, lanciare una sfida opponendosi a tutte le forze della Corona. La casetta può essere fragile, il suo tetto può essere traballante, il vento può soffiare da tutte le parti, la tempesta può entrare e la pioggia può entrare, ma il re d’Inghilterra non può entrare; tutte le sue forze non osano attraversare la soglia di tale casetta in rovina».

La tradizione a cui Wikileaks si collega è quella post-rivoluzionaria dei giacobini negli anni del Terrore (1793-94), che esalta il principio della trasparenza integrale come base di una vita sociale pienamente realizzata, alla quale nessuno dovrebbe obiettare, perché chi non ha fatto nulla di male non ha nulla da temere dall’esposizione pubblica di tutte le sue azioni.

I giacobini, fortunatamente, furono sconfitti, ma là dove il loro pensiero ha trovato piena realizzazione – la Russia bolscevica e poi gli altri paesi comunisti – l’eliminazione integrale della riservatezza è servita soltanto ad alimentare i regolamenti di conti dentro all’avanguardia della rivoluzione, divenuta élite di potere, e l’oppressione del cittadino comune, ipercontrollato e ricattabile più che ai tempi delle monarchie assolute.

Perciò ha perfettamente ragione Dino Cofrancesco quando su L’Occidentale scrive: «II vero paradosso di tutta la vicenda sta nel fatto che non ci troviamo dinanzi a una distruzione del potere ma a un suo trasferimento dal locus classico della politica – lo Stato, il governo – a un’assemblea mediatica solo virtualmente planetaria, ma in realtà convocata, attivata, infiammata e (sostanzialmente) manipolata da chi fissa l’ordine del giorno, sulla base delle informazioni-bomba di cui è riuscito a impossessarsi. (…) Se l’azione più diabolica di Satana è far credere di non esistere, il capolavoro della mens totalitaria sta nel far credere che nelle forme politiche esaltate dai collettivisti libertari come la Comune di Parigi o la classica assemblea studentesca si realizzi l’emancipazione dalla tradizione e dal Potere, laddove si pongono soltanto le basi del regime totalitario».

Black bloc con le vetrine degli altri

Wikileaks evoca le assemblee sessantottine anche per altri comportamenti di sessantottesca memoria, in particolare la propensione a fare la rivoluzione senza rinunciare alle comodità del sistema che si vuole abbattere, il quale è tenuto a collaborare.

Wikileaks ha messo nei guai il governo tedesco per un bombardamento in Afghanistan che ha causato vittime civili, per aver rivelato gli account telematici di agenti dei servizi segreti tedeschi e per aver causato le dimissioni del braccio destro del ministro degli Esteri Guido Westerwelle, ma le donazioni alla Fondazione Wau Holland con sede a Kassel in Germania, che finanzia stabilmente Wikileaks, sono deducibili dalle tasse a norma della legge tedesca.

Paypal, il sistema di pagamento elettronico a cui Wikileaks si è appoggiata per ricevere donazioni, chiede agli utenti di accettare condizioni di uso dove si specifica che «il nostro servizio di pagamento non può essere usato per attività che incoraggiano, promuovono, facilitano o istruiscono altri a impegnarsi in attività illegali».

Quando il servizio è stato sospeso per violazione delle condizioni d’uso, i “simpatizzanti” di Wikileaks hanno scatenato attacchi informatici al sito. Solo Hillary Clinton deve rispettare la parola data? I rivoluzionari hanno diritto alle bugie? Ecco spiegato perché il primo nickname di Assange è stato “Mendax”

Dossieraggio

IL METODO WIKILEAKS/1 Applicato al suo creatore Assange

Julian Assange nasce in Australia nel 1971, figlio di un’attrice teatrale e attivista pacifista, e non ha mai conosciuto il suo vero padre. Il girovagare della madre legato alla sua professione e alle peripezie legali per la custodia del secondo figlio dopo il divorzio dall’uomo sposato quando Julian aveva un anno, costringono il ragazzo a frequentare trenta scuole diverse durante l’adolescenza; studierà pure in tre università, senza riuscire a laurearsi. Viene arrestato nel 1991 per reati informatici.

IL METODO WIKILEAKS/2 Applicato alla sua fonte Manning

Bradley Manning, caporale di 23 anni nelle forze Usa di stanza in Iraq, omosessuale dichiarato, aspetta in una cella di isolamento il processo che potrebbe condannarlo a 52 anni di carcere per trafugamento di documenti segreti. A causa del divorzio dei suoi genitori non ha mai concluso gli studi. Cresciuto in Galles, i suoi ex compagni di scuola lo consideravano «un tranquillo sfigato».