Si fa presto a dire «indulto»…

indultoCorrispondenza romana n.956/01
12 agosto 2006

Approvato dal Parlamento italiano per iniziativa del ministro della Giustizia Mastella, ed entrato in vigore a partire dal 1 agosto 2006, il provvedimento dell’indulto ha già suscitato preoccupazioni perfino in coloro che ne sono stati promotori, e che ora tentano di tamponarne le prevedibili conseguenze.

Difatti, si fa presto a dire “indulto”. Ma i circa 20.000 condannati che sono appena passati dal carcere o dal domicilio coatto alla libertà, pongono precisi problemi di sicurezza allo Stato e ancor più alle Regioni, che devono controllare i loro movimenti, proteggerne i parenti o le vittime minacciati di vendetta, cercare di sistemarli come alloggio e lavoro nel tentativo di dissuaderli dal tornare a delinquere.

Essi si trovano infatti in una situazione che non favorisce il reinserimento e che anzi li spinge, per abitudine o per necessità di sopravvivenza, a tornare al solito “mestiere”. Molti di loro rischiano quindi di ritornare rapidamente in carcere: è già accaduto ad una ventina di scarcerati nel primo giorno che, dalla mattina alla sera, sono stati reimprigionati per aver commesso un nuovo reato.

Spinta da questo timore, la Regione Veneto, per bocca del suo Presidente Galan, ha avvertito il Governo che essa «si costituirà come parte civile in tutti i procedimenti giudiziari che dovessero essere avviati per fatti commessi dopo la scarcerazione di chi ha beneficiato o beneficerà dell’indulto».

Per arginare la situazione, lo Stato si trova quindi costretto ad assicurare interventi di assistenza e sostegno ai liberati, affinché l’indulto non provochi l’aggravarsi della piaga sociale degli sbandati ed emarginati ma «diventi una occasione di inserimento sociale», come auspica ottimisticamente Rafaella Milano, assessore ai Servizi Sociali di Roma. Il capo del Governo ha convocato una riunione di urgenza con i responsabili dei dicasteri interessati a risolvere il problema e a «limitare i danni dell’indulto».

Il ministro della Giustizia ha proposto di organizzare corsi in cui s’insegna un mestiere ai liberati e li si aiuta a trovare un posto di lavoro sicuro e lontano da tentazioni criminogene; difatti, attualmente solo il 2% dei detenuti è stato abituato dal carcere ad esercitare un mestiere.

Un caso speciale è quello costituito dagli immigrati extracomunitari liberati dall’indulto, oltre 5000. Essi verranno trattati dalle istituzioni con tutti i riguardi e con tutte le facilitazioni, anche se vivranno un una situazione d’irregolarità e di continguità al mondo criminale. Lo ha stabilito il sottosegretario alla Giustizia on. Luigi Manconi: quello stesso personaggio che un tempo era capo del ramo paramilitare di Lotta Continua e che poi è diventato sociologo di fama e infine deputato “verde”.

Il sottosegretario ha stabilito che gli stranieri condannati e liberati potranno mantenere il permesso di soggiorno e che quelli clandestini non verranno puniti per la loro posizione irregolare: «nessuno di noi vuole inseguire il clandestino straniero e non lo spediremo a casa e neppure nei centri di accoglienza temporanea» (“Il Messaggero”, 2 agosto 2006).

A Roma, per esempio, la Consulta cittadina per i problemi penitenziari ha preparato un “piano per l’indulto”, curato da Lillo Di Mauro e da Gianfranco Spadaccia, ex dirigente del Partito Radicale ed oggi Garante per i detenuti romani. Questo piano stabilisce che gli extracomunitari liberati siano provvisti di un kit di sopravvivenza e assicurati di pasti e di un alloggio provvisorio.

Il prefetto romano Serra ha avvertito la Polizia di chiudere un occhio sulle irregolarità che verranno commesse dai neo-liberati, di «non accanirsi su di loro, altrimenti si vanificherebbe l’indulto».

Come si vede, per gli extracomunitari vige sempre uno speciale regime di tolleranza e l’indulto, per funzionare, richiede uno speciale regime di impunità: del resto, anomalia richiama anomalia.

Un caso del tutto particolare è rappresentato dal terzo istituto penale di Milano, quello di Bollate. Questo carcere-modello svolge anche le mansioni di fabbrica polivalente, in quanto i detenuti vengono abituati a svolgere un mestiere e vengono pagati con tariffe di mercato. L’indulto ha liberato oltre la metà degli 870 detenuti, causando una crisi di manodopera e anche una crisi economica, dovendo “liquidare” ben 450 lavoratori-carcerati.

La direttrice dell’istituto ha quindi dovuto chiedere al ministero della Giustizia di poter ricevere nuovi detenuti, in modo da sostituire quelli liberati e portare avanti le attività lavorative.