Omelia per le esequie di Giovanni Paolo II

esequie_GP_IIPubblicato su il Foglio del 9 aprile 2005

Ecco l’omelia. Dentro c’è tutto il pianto e il rimpianto della Chiesa

“Lui ci guarda e ci benedice” • “Ha cercato sempre la giustizia, ha sofferto e amato in comunione con Cristo e perciò il messaggio della sua sofferenza e del suo silenzio è stato così eloquente e feconda” • “Ha interpretato per noi il mistero pasquale come mistero della divina misericordia”.  “Alzatevi e andiamo: dicendoci così ci ha risvegliato da una fede stanca, dal sonno dei discepoli di ieri e di oggi”. Deponiamo oggi le suespoglie nella terra come seme di immortalità”

“Seguimi” dice il Signore risorto a Pietro,, come sua ultima parola a questo discepolo, scelto per pascere le sue pecore. “Seguimi” – questa parola lapidaria di Cristo può essere consi­derata la chiave per comprendere il messaggio che viene dalla vita del no­stro compianto ed amato papa Giovan­ni Paolo II, le cui spoglie deponiamo oggi nella terra come seme di immor­talità – il cuore pieno di tristezza, ma anche di gioiosa speranza e di profon­da gratitudine.

Questi sono i sentimenti del nostro animo, Fratelli e Sorelle in Cristo, pre­senti in Piazza S. Pietro, nelle strade adiacenti e in diversi altri luoghi della città di Roma, popolata in questi gior­ni da un’immensa folla silenziosa ed orante. Tutti saluto cordialmente. A no­me anche del Collegio dei Cardinali desidero rivolgere il mio deferente pensiero ai capi di Stato, di Governo e alle delegazioni dei vari paesi.

Saluto le Autorità e i Rappresentanti delle Chiese e Comunità cristiane, come pu­re delle diverse religioni. Saluto poi gli Arcivescovi, i Vescovi, i sacerdoti, i re­ligiosi, le religiose e i fedeli tutti giun­ti da ogni Continente; in modo specia­le i giovani, che Giovanni Paolo II ama­va definire futuro e speranza della Chiesa. Il mio saluto raggiunge, inoltre, quanti in ogni parte del mondo sono a noi uniti attraverso la radio e la televi­sione in questa corale partecipazione al solenne rito di commiato dall’amato Pontefice.

Seguimi – da giovane studente Karol Wojtyla era entusiasta della letteratu­ra, del teatro, della poesia. Lavorando in una fabbrica chimica, circondato e minacciato dal terrore nazista, ha sen­tito la voce del Signore: Seguimi! In questo contesto molto particolare co­minciò a leggere libri di filosofia e di teologia, entrò poi nel seminario clan­destino creato dal Cardinale Sapieha e dopo la guerra poté completare i suoi studi nella facoltà teologica dell’Uni­versità Jaghellonica di Cracovia.

Tante volte nelle sue lettere ai sacerdoti e nei suoi libri autobiografici ci ha par­lato del suo sacerdozio, al quale fu or­dinato il l° novembre 1946. In questi te­sti interpreta il suo sacerdozio in par­ticolare à partire da tre parole del Si­gnore.

Innanzitutto questa: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15, 16). La seconda parola è: “Il buon pa­store offre la vita per le pecore” (Gv 10, 11). E finalmente: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi.

Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9). In queste tre parole vediamo tutta l’ani­ma del nostro Santo Padre. E’ real­mente andato ovunque ed instancabil­mente per portare frutto, un frutto che rimane. “Alzatevi, andiamo!”, è il tito­lo del suo penultimo libro. “Alzatevi, andiamo!” – con queste parole ci ha ri­svegliato da una fede stanca, dal sonno dei discepoli di ieri e di oggi.

“Alzate­vi, andiamo!” dice anche oggi a noi. Il Santo Padre è stato poi sacerdote fino in fondo, perché ha offerto la sua vita a Dio per le sue pecore e per l’intera fa­miglia umana, in una donazione quoti­diana al servizio della Chiesa e soprat­tutto nelle difficili prove degli ultimi mesi. Così è diventato una sola cosa con Cristo, il buon pastore che ama le sue pecore.

E infine “rimanete nel mio amore”: il Papa che ha cercato l’incon­tro con tutti, che ha avuto una capacità di perdono e di apertura del cuore per tutti, ci dice, anche oggi, con queste pa­role del Signore: dimorando nell’amo­re di Cristo impariamo, alla scuola di Cristo, l’arte del vero amore.

Seguimi! Nel luglio 1958 comincia per il giovane sacerdote Karol Wojtyla una nuova tappa nel cammino con il Signore e dietro il Signore. Karol si era recato come di solito con un gruppo di giovani appassionati di canoa ai laghi Masuri per una vacanza da vivere in­sieme. Ma portava con sé una lettera che lo invitava a presentarsi al Prima­te di Polonia, Cardinale Wyszynski e poteva indovinare lo scopo dell’incon­tro: la sua nomina a Vescovo ausiliare di Cracovia.

Lasciare l’insegnamento accademico, lasciare questa stimolan­te comunione con i giovani, lasciare il grande agone intellettuale per cono­scere ed interpretare il mistero della creatura uomo, per rendere presente nel mondo di oggi l’interpretazione cri­stiana del nostro essere – tutto ciò do­veva apparirgli come un perdere se stesso, perdere proprio quanto era di­venuto l’identità umana di questo gio­vane sacerdote.

Seguimi – Karol Wojty­la accettò, sentendo nella chiamata della Chiesa la voce di Cristo. E si è poi reso conto di come è vera la paro­la del Signore: “Chi cercherà di salva­re la propria vita la perderà, chi inve­ce l’avrà perduta la salverà” (Le 17,33). Il nostro Papa – lo sappiamo tutti – non ha mai voluto salvare la propria vita, tenerla per sé; ha voluto dare se stesso senza riserve, fino all’ultimo momento, per Cristo e così anche per noi.

Pro­prio in tal modo ha potuto sperimenta­re come tutto quanto aveva consegnato nelle mani del Signore è ritornato in modo nuovo: l’amore alla parola, alla poesia, alle lettere fu una parte essen­ziale della sua pastorale e ha dato nuo­va freschezza, nuova attualità, nuova attrazione all’annuncio del Vangelo, proprio anche quando esso è segno di contraddizione.

Seguimi! Nell’ottobre 1978 il Cardi­nale Wojtyla ode di nuovo la voce del Signore. Si rinnova il dialogo con Pie­tro riportato nel Vangelo di questa ce­lebrazione: “Simone di Giovanni, mi ami? Pasci le mie pecorelle!” Alla do­manda del Signore: Karol mi ami?, l’Arcivescovo di Cracovia rispose dal profondo del suo cuore: “Signore, tu sai tutto: Tu sai che ti amo”.

L’amore di Cristo fu la forza dominante nel nostro amato Santo Padre; chi lo ha visto pre­gare, chi lo ha sentito predicare, lo sa. E così, grazie a questo profondo radi­camento in Cristo ha potuto portare un peso, che va oltre le forze puramente umane: essere pastore del gregge di Cristo, della sua Chiesa universale.

Non è qui il momento di parlare dei singoli contenuti di questo Pontificato così ricco. Vorrei solo leggere due pas­si della liturgia di oggi, nei quali appaiono elementi centrali del suo an­nuncio. Nella prima lettura dice San Pietro – e dice il Papa con San Pietro – a noi: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto.

Questa è la parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è Signore di tutti” (At­ti 10, 34-36). E, nella seconda lettura, San Paolo – e con San Paolo il nostro Papa defunto – ci esorta ad alta voce: “Fratelli miei carissimi e tanto deside­rati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete im­parato, carissimi” (Fil 4,1).

Seguimi! Insieme al mandato di pa­scere il suo gregge, Cristo annunciò a Pietro il suo martirio. Con questa pa­rola conclusiva e riassuntiva del dia­logo sull’amore e sul mandato di pa­store universale, il Signore richiama un altro dialogo, tenuto nel contesto dell’ultima cena. Qui Gesù aveva det­to: “Dove vado io voi non potete veni­re”.

Disse Pietro: “Signore, dove vai?”. Gli rispose Gesù: “Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi” (Gv 13, 33.36). Gesù dalla ce­na va alla croce, va alla risurrezione – entra nel mistero pasquale; Pietro an­cora non lo può seguire. Adesso – do­po la risurrezione – è venuto questo momento, questo “più tardi”. Pascen­do il gregge di Cristo, Pietro entra nel mistero pasquale, va verso la croce e la risurrezione.

Il Signore lo dice con queste parole: “Quando eri più giova­ne… andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21, 18). Nel pri­mo periodo del suo pontificato il San­to Padre, ancora giovane e pieno di forze, sotto la guida di Cristo andava fino ai confini del mondo. Ma poi sem­pre più è entrato nella comunione delle sofferenze di Cristo, sempre più ha compreso la verità delle parole: “Un altro ti cingerà…”. E proprio in questa comunione col Signore soffe­rente ha instancabilmente e con rinovata intensità annunciato il Vangelo, il mistero dell’amore che va fino alla fine (cf Gv 13,1).

Egli ha interpretato per noi il miste­ro pasquale come mistero della divina misericordia. Scrive nel suo ultimo li­bro: Il limite imposto al male “è in de­finitiva la divina misericordia” (“Me­moria e identità”, pag. 70). E rifletten­do sull’attentato dice: “Cristo, soffren­do per tutti noi, ha conferito un nuovo senso alla sofferenza; l’ha introdotta in una nuova dimensione, in un nuovo or­dine: quello dell’amore… E’ la soffe­renza che brucia e consuma il male con la fiamma dell’amore e trae anche dal peccato una multiforme fioritura di bene” (pag. 199).

Animato da questa vi­sione, il Papa ha sofferto ed amato in comunione con Cristo e perciò il mes­saggio della sua sofferenza e del suo si­lenzio è stato così eloquente e fecondo.

Divina Misericordia: il Santo Padre ha trovato il riflesso più puro della mi­sericordia di Dio nella Madre di Dio. Lui, che aveva perso in tenera età la mamma, tanto più ha amato la Madre divina. Ha sentito le parole del Signo­re crocifisso come dette proprio a lui personalmente: “Ecco tua madre!”. Ed ha fatto come il discepolo prediletto: l’ha accolta nell’intimo del suo essere (eis ta idia: Gv 19, 27) – Totus tuus.

E dalla madre ha imparato a conformar­si a Cristo.

Per tutti noi rimane indimenticabile come in questa ultima domenica di Pa­squa della sua vita, il Santo Padre, se­gnato dalla sofferenza, si è affacciato ancora una volta alla finestra del Pa­lazzo Apostolico ed un’ultima volta ha dato la benedizione “Urbi et orbi”. Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci bene­dice. Sì, ci benedica, Santo Padre. Noi affidiamo la tua cara anima alla Madre di Dio, tua Madre, che ti ha guidato ogni giorno e ti guiderà adesso alla glo­ria eterna del Suo Figlio, Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Joseph Ratzinger