Il New York Times demolisce le cure di genere ai minori

Abstract: il New York Times demolisce la narrazione sulle cure di genere ai minori. non esistono prove della transizione ormonale quale misura efficace per la prevenzione del suicidio. Esistono invece bambini con disforia di genere «che spesso presentano una serie di comorbidità psichiatriche, con un’alta prevalenza di disturbi dell’umore e d’ansia, traumi, disturbi alimentari e condizioni nello spettro autistico, tendenze al suicidio e autolesionismo. Ma che invece di essere trattati come pazienti che meritano un aiuto professionale imparziale, diventano spesso pedine politiche».

Tempi 11 Febbraio 2024

Bambini che non erano trans. E che sono diventati pedine politiche

Il New York Times demolisce la narrazione sulle cure di genere ai minori. Detransitioners, pionieri dei bloccanti e terapeuti usciti dal silenzio smentiscono il modello affirming presentato come scienza consolidata: è pericoloso. «Basta guerre culturali sui pazienti»

di Caterina Giojelli

Il 5 aprile scorso The Economist pubblicava una storia di copertina intitolata “What America has got wrong about gender medicine” (“Ciò che l’America sbaglia riguardo alla medicina di genere”). Una premessa secca contro la stigmatizzazione delle persone trans per andare in poche righe dritti al punto: mettere in discussione il trattamento “gender affirming” riservato a bambini e adolescenti con disforia di genere negli Stati Uniti. «Questo trattamento cambia la vita e può portare alla sterilità.

Il pensiero generale in America è che l’intervento medico e l’affermazione di genere facciano bene e che dovrebbero essere più accessibili. In Europa diversi paesi sostengono che manchino prove sufficienti e che interventi di questo tipo dovrebbero essere fatti con parsimonia e debbano essere studiati più a fondo. Gli europei hanno ragione».

A un anno di distanza il New York Times ha pubblicato un lungo intervento di Pamela Paul, “As Kids, They Thought They Were Trans. They No Longer Do” (“Da bambini pensavano di essere trans. Ora non più”). Un’inchiesta tra detransitioners e addetti ai lavori che demolisce lo storytelling sulle cure di genere ai minori (per anni alimentato dallo stesso Nyt) col coraggio della verità e dell’esperienza.

Gli europei hanno ragione: non lo dicono solo i dati ma le persone trattate con bloccanti, ormoni, chirurgia, i pionieri di queste cure, gli ultimi studi che contraddicono e sbugiardano quelli ormai superati ma tutt’oggi presentati in America e Canada (così come in Spagna e in Italia) come scienza consolidata sul trattamento della disforia di genere. Facendo di una questione medica e psicologica una questione politica.

Gender affirming, un approccio obsoleto e pericoloso

«Spesso i progressisti descrivono lacceso dibattito sull’assistenza ai bambini transgender come uno scontro tra coloro che stanno cercando di aiutare un numero crescente di ragazzini a esprimere ciò che credono sia il loro genere e i politici conservatori che non permettono ai bambini di essere se stessi», scrive Paul. «Ma i demagoghi di destra non sono gli unici ad aver infiammato questo dibattito. Gli attivisti transgender hanno spinto il proprio estremismo ideologico, in particolare facendo pressione per un’ortodossia terapeutica che negli ultimi anni è stata sottoposta a maggiori controlli. Secondo questo modello di cura, ci si aspetta che i medici affermino l’identità di genere di un giovane e forniscano persino un trattamento medico prima di o addirittura senza esplorare altre possibili fonti di disagio»

E chi, in primis i genitori, osa far domande o dissentire, viene chiamato transfobo. Un modello di cura tanto obsoleto quanto pericolosissimo. Lo attestano drammaticamente le storie raccontate nell’inchiesta del Nyt.

Grace e i medici terrorizzati dalle accuse di transfobia

La storia di Grace Powell è quella di una ragazzina impopolare, bullizzata, che si convince, navigando in rete, che la spiegazione più ovvia al disagio che prova verso il suo corpo di tredicenne che si sta sviluppando sia trovarsi nel corpo sbagliato. Al liceo inizia ad assumere ormoni sessuali incrociati. Poi una doppia mastectomia. Inizia il college da ragazzo transgender, in camera con un altro maschio. Finisce per sentirsi un gay effeminato. Nessuno nel corso della sua transizione medica o chirurgica, racconta Powell alla giornalista, le ha mai chiesto qualcosa del suo orientamento sessuale, nessuno ha mai indagato le cause della sua depressione, «per questo né i terapisti né i medici», osserva Paul, «hanno mai saputo che aveva subito abusi sessuali da bambina».

Laura Edwards-Leeper, psicologa fondatrice della prima clinica pediatrica di genere negli Stati Uniti, assicura che i pazienti di oggi non somigliano affatto a quelli di dieci anni fa, «in particolare le ragazzine, esprimono disforia di genere nonostante non l’abbiano mai avuta quando erano più piccole. Spesso hanno problemi di salute mentale non legati al genere».

Ma quei medici e terapisti che ritengono ci voglia tempo, personalizzazione, che non si debba automaticamente accettare l’autodiagnosi di una ragazzina, hanno paura di parlare. Gli stessi studenti formati da Edwards-Leeper hanno abbandonato il campo delle cure di genere, alcuni chiarendo che «non si sentivano in grado di continuare a causa delle reazioni, delle accuse di transfobia, per il solo essere a favore di una valutazione e un processo terapeutico più approfondito».

«Davanti a lui, il terapeuta mi ha chiesto: “Vuoi un figlio morto o una figlia viva?”»

Hanno ragione: per il solo fatto di avere chiesto ai colleghi un approccio più ponderato alla disforia di genere e di prestare attenzione ai detransitioner, Stephanie Winn, terapeuta matrimoniale e familiare dell’Oregon, è finita sotto inchiesta. I detransitioner stessi, affermando che solo i media conservatori erano interessati a raccontare le loro storie, sono stati accusati di essere “strumenti nelle mani della destra”.

Proprio loro, «che un tempo erano bambini transidentificati che tante organizzazioni dicono di voler proteggere, ma che quando cambiano idea, dicono, si sentono abbandonati». Quanto ai genitori, «tutti hanno detto di essersi sentiti costretti dai medici, dalle scuole e dalla pressione sociale ad accettare l’identità di genere dichiarata dal figlio anche se avevano seri dubbi. Temevano che la famiglia si sarebbe spaccata se non avessero sostenuto senza riserve la transizione sociale e il trattamento medico».

“Lasciateli transizionare”, era l’ordine dei terapeuti. Ma nei gruppi di sostegno per genitori di giovani transgender «tutti i partecipanti hanno descritto i loro figli come autistici o comunque neurodiversi». Molti dicono «che i loro figli sono stati introdotti a influencer transgender su YouTube o TikTok», fenomeno intensificato durante il Covid, altri in classe «attraverso programmi di studio forniti dalle organizzazioni per i diritti dei trans».

Il figlio quindicenne di Kathleen invece di essere valutato per l’Adhd è stato indirizzato ad uno specialista di genere che al primo incontro si è rivolto alla donna in modo scioccante: «Davanti a mio figlio, il terapeuta mi ha chiesto: “Vuoi un figlio morto o una figlia viva?”».

Boom di trans, da pazienti a pedine politiche

Ma come hanno chiarito l’anno scorso al Wall Street Journal 21 esperti di nove paesi non esistono prove della transizione ormonale quale misura efficace per la prevenzione del suicidio. Esistono invece bambini con disforia di genere «che spesso presentano una serie di comorbidità psichiatriche, con un’alta prevalenza di disturbi dell’umore e d’ansia, traumi, disturbi alimentari e condizioni nello spettro autistico, tendenze al suicidio e autolesionismo. Ma che invece di essere trattati come pazienti che meritano un aiuto professionale imparziale, diventano spesso pedine politiche».

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